14 Ottobre 2020 | Programmazione e governance

La cura delle patologie croniche degli anziani di fronte alla pandemia: la rete dei servizi domiciliari è necessaria e sostenibile

I bisogni manifestati dagli anziani sono in evoluzione, ma sostanzialmente si esprimono sempre, anche nelle fasi acute, come necessità di protezione dalla perdita di autonomia. Nel contributo gli autori mettono in luce le criticità, rese ancor più evidenti dall’emergenza sanitaria, dell’attuale sistema dei servizi a sostegno degli anziani non autosufficienti ed evidenziano la necessità di ripartire proprio dai bisogni delle persone e delle loro famiglie, all’interno dei contesti, familiari e territoriali, in cui questi si esprimono.

La cura delle patologie croniche degli anziani di fronte alla pandemia: la rete dei servizi domiciliari è necessaria e sostenibile

“…È opinione condivisa che i servizi domiciliari in Italia siano complessivamente deboli, pur con notevoli eccezioni disseminate nella penisola. In merito all’esiguità dell’investimento pubblico non sussistono dubbi, come ci ricorda il confronto internazionale. Ma le risorse economiche rappresentano solo metà del problema (Gori, Trabucchi, 2020)”.

 

Ma se la debolezza dei servizi non è solo legata a carenza di finanziamento, allora non è anche necessario ripensare le loro funzioni in relazione agli altri servizi di territorio o ospedalieri? E da dove ripartire per questo ripensamento se non dall’inizio, dai bisogni cui tali servizi dovrebbero rispondere?

 

Non si tratta di inventare nulla di nuovo, non vi è discussione sul fatto che la sfida al welfare sia rappresentata dall’invecchiamento della popolazione e dalle malattie cronico degenerative età correlate. Per chi si occupa, anche occasionalmente di questi temi, è un déjà vue che rischia di suonare stantio, quasi scontato. Invece il panorama dei servizi della salute sembra vivere in un altro mondo, dove le modalità di assistenza e cura sono tutte dettate da eventi patologici puntuali e risolvibili in un tempo più o meno breve. Incredibilmente, proprio una malattia infettiva e acuta, una epidemia, parola di sapore quasi medioevale, ha messo in luce di nuovo e meglio gli errori e le carenze del sistema sanitario assistenziale quando i protagonisti sono le persone anziane.

 

Le malattie acute degli anziani: crisi del sistema ospedaliero

Il bisogno determinato dalle malattie acute, quando riguarda le persone “giovani – adulte” trova generalmente nella struttura sanitaria risposte efficienti e ben standardizzate, nell’ospedale dove è possibile, più che al domicilio, isolare e decontestualizzare l’evento patologico. Questo naturalmente non funziona in caso di malattie cronico degenerative che esprimono un bisogno che non può essere né definito né trattato al di fuori del contesto in cui si sviluppa, cioè il domicilio e la rete sociale.

 

Questa distinzione fra evento acuto e patologia cronica, pur rimanendo vera, è in molti casi artificiosa se pensiamo che al Pronto Soccorso dell’Ospedale quasi il 70% di persone si presenta con uno o più malattia cronica, di solito riacutizzata perché scompensata (Fimogiari, 2018). In questo caso la Struttura Ospedaliera fa fatica, non riesce a dare risposte adeguate ed efficaci. Da molti anni si stanno proponendo modalità alternative di approccio alla valutazione dell’anziano nel pronto soccorso che evidenziano un alto tasso di vulnerabilità per scarso recupero dell’omeostasi precedente, qualunque sia stato l’evento stressante. Eppure, anche questo semplice ed efficiente “codice argento” non è andato al di là della sperimentazione in 4 regioni, che pur aveva dato risultati positivi (Di Bari et al, 2010).

 

Ma analizzando più di 46.000 ammissioni al PS del policlinico di Roma nel 2014, Legramante e collaboratori, concludono che l’alta presenza di anziani (un quarto del totale) è dovuta per lo più a problemi complessi, con meno codici bianchi dei non anziani, e non è correlata con la numerosità delle patologie croniche, ma con la esistenza o meno di un servizio di cure continue nel territorio.

 

Queste le conclusioni dello studio: “..According to our study, and despite the lack of available data in the literature on this topic, it appears that the major concern in the years to come will be the management of older individuals. Our hypothesis is that poor services and lack of continuity of care could explain the abnormal patterns of ED use in elderly patients. After discharge, these patients often return to the ED, highlighting the need to develop suitable ways for management of issues in this age group of patients. Based on this data, it seems necessary to enhance continuity of care, as well as communication within the territory and the definition of a tracking system for those who are at greater risk of visiting the ED. Evaluations should identify fragile individuals as the highest priority1.

 

 

Poi, sconsolati, propongono di attivare servizi territoriali post acuti da parte dell’ospedale stesso, “Coherently with the persistent lack of services in the territory… “..coerentemente con la persistente mancanza di servizi nel territorio.. (Legramante et al, 2016). Per la fase acuta delle malattie degli anziani il pur efficiente sistema ospedaliero rischia di collassare e comunque di non rispondere al bisogno di questa fascia di pazienti. Si ricorda anche che gli anziani che accedono al pronto soccorso e che poi non sono ospedalizzati presentano nei 6 mesi successivi un declino funzionale maggiore rispetto ai controlli (Nagurney et al, 2017).

 

Certo la causa non è la mancanza di tecnologia diagnostica: un Paese che ha, in rapporto alla popolazione, oltre il doppio di Tac del Canada (15), il triplo dell’Olanda (13) e della Gran Bretagna (9); che presenta analoghi dati per le RM (Canada 10,0; Olanda 13,0, Francia 14,0) (OECD, 2019). Le scelte che hanno privilegiato l’alta tecnologia chirurgica con la riduzione dei posti letto ha prodotto un quadro di carenze gravi che il Coronavirus ha solo svelato. (2,6 per 1000, contro una media UE di 3,7 per 1000, cioè 15.000 posti letto in meno) (Floranello, Caron, 2019). A queste disfunzioni ha contribuito anche la chiusura dei pronto soccorso degli ospedali di piccole dimensioni, distribuiti nel territorio e in grado di risolvere i casi che non richiedono procedure chirurgiche o mediche di alta tecnologia, situazione segnalata già da anni: “…Non si è realizzato un sistema di punti di primo soccorso con la conversione dei piccoli ospedali periferici, ma spesso prossimi o ben collegati ai grandi ospedali (Geddes M. da Filicaia, 2018)”.

TAC e RMN numero di unità per milione di abitanti, nei paesi indicati, anno 2017.
Tabella 1 – TAC e RMN numero di unità per milione di abitanti, nei paesi indicati, anno 2017.

 

Dalla nascita del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), 40 anni fa in poi, c’è stata un’esplosione di tecniche sanitarie e di risorse informatiche applicate su molte patologie, soprattutto in regime ospedaliero, che hanno introdotto notevoli miglioramenti nei loro trattamenti, con le eccezioni che abbiamo visto.
Oggi non è quindi pensabile proporre un ritorno alle origini del SSN, ma è necessario riprenderne un punto importante per tutti ma fondamentale per gli anziani che oggi appare oscurato: intervenire con capacità clinica là dove si manifesta il bisogno “domicilio e territorio di riferimento”, spesso oggi confusa con il massiccio utilizzo della tecnologia.

 

L’attività di cura nel territorio

Nell’ambito familiare si è espressa, anche in tempo di COVID, la quotidiana e coraggiosa solidarietà parentale, del vicinato e delle associazioni di volontariato, che è stata spesso decisiva per la salute e l’autonomia degli anziani e di cui danno testimonianza i molti episodi raccontati nelle cronache della pandemia. La maggior parte delle persone affette da patologie croniche vive al proprio domicilio e rappresenta una parte molto rilevante della popolazione anziana, per cui è importante che questo sistema di relazioni sia sostenuto dai Servizi Territoriali.

 

“Prendendo poi in considerazione la prevalenza delle patologie croniche nella popolazione di età 15 anni e più, l’Italia presenta prevalenze analoghe alla media dell’UE a 28…per quasi tutte le patologie la prevalenza è più bassa in Italia fino all’età di 65 anni, mentre oltre questa età, ed in particolare negli ultra75enni (anche in virtù della già citata maggior quota di ultra 80enni nel nostro Paese), molte malattie (in particolare BPCO, depressione, ipertensione, diabete mellito ed infarto del miocardio) sono più diffuse nel nostro Paese rispetto alla media europea” (Guerrini, 2019).

 

Quindi, come mette in risalto Giuseppe Belleri, medico di medicina generale a Brescia, bisogna adoperarsi per superare i limiti attuali, rispetto ai metodi di cura della malattia acuta: “…La malattia cronica è agli antipodi in quanto:

  • è asintomatica al di fuori delle crisi, delle riacutizzazioni o delle fasi di scompenso d’organo
  • manca una causa specifica e un nesso tra sensazioni corporee e variabili biologiche; spesso è impossibile guarire e l’evoluzione può essere incerta e variabile
  • può dipendere da fattori di rischio ed essere influenzata da abitudini voluttuarie, variabili ambientali e stili di vita.

 

Nella malattia acuta è relativamente possibile isolare il problema “biologico” dalle altre dimensioni dell’esistenza, ad esempio con un ricovero per una “soluzione chirurgica”, radicale e definitiva. Non è così per la cronicità, dove spesso le patologie si intrecciano e si influenzano reciprocamente e sono a loro volta influenzate dalle condizioni socioeconomiche ed ambientali, dalle abitudini di vita, dalle relazioni familiari e con i servizi sanitari e sociali, specie in caso di invalidità, handicap e disabilità. Proprio per questa differenza qualitativa la gestione della cronicità esige un riorientamento culturale e paradigmatico che coinvolge tutti gli attori: assistiti, professionisti ed organizzazione sanitaria (Belleri, 2018)”.

 

Si possono così riassumere gli elementi di debolezza dell’attuale sistema di cura territoriale, imperniato su una medicina prestazionale, che:

  1. identifica la cura nell’erogazione di farmaci ed esami di laboratorio, compresi i goffi tentativi di creare modalità proattive di sostegno alla cronicità e l’equazione malattia + cura (farmaci) = guarigione non è più vera, nel campo della cronicità
  2. identifica l’assistenza con l’erogazione di prestazioni e nessuna presa in carico: gli aspetti di perdita di funzione, a cui deve seguire la presa in carico per una efficace assistenza, non sono considerati
  3. si sottrae al compito di essere punto di riferimento per chi, malato o famigliare, cerca una consulenza per accedere ai servizi
  4. evita di proporsi come punto di valutazione delle condizioni funzionali, cioè dell’impatto delle diagnosi sulla vita della persona, delegandolo alle commissioni per l’invalidità; il compito finisce quando si formula la diagnosi
  5. rivendica la separazione fra sanità e assistenza e nessun punto di raccordo, come se non si trattasse di un unicum che sostiene la salute globale.

 

Occorre, a nostro avviso, cercare strade nuove oppure riprendere in modo aggiornato strade già percorse con buoni risultati e poi abbandonate, piuttosto che applicare in modo pervasivo una managerialità da produzione tayloristica, sempre più distante dai bisogni. La diagnosi è un diritto del malato, un dovere per il medico e rimane un elemento necessario ma non sufficiente: va sempre definita se non c’è, ma la somma delle diagnosi non delinea il bisogno di salute dell’anziano. Già l’OMS nel 1959 scriveva: “…la salute degli anziani è misurabile molto meglio in termini di funzione …il grado di efficienza piuttosto che la presenza di una patologia può essere usato come misura della quantità di servizi che gli anziani richiedono alla comunità (WHO, 1959).

 

Da queste considerazioni discende la fattibilità di un nuovo impianto di Servizi Domiciliari, come da esperienze del recente passato, in città come Milano, dove per molti anni sono stati operativi i C.A.D.A.2.su base di quartiere, collocati in sede appropriate e con professionalità sia sociale che sanitario. Niente di nuovo, la legge di Riforma Sanitaria 833/78 già prevedeva la Rete: “…al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione…” e visto che “è assicurato il collegamento ed il coordinamento con le attività e con gli interventi di tutti gli altri organi, centri, istituzioni e servizi, che svolgono nel settore sociale attività comunque incidenti sullo stato di salute…”.

 

Occorre un superamento dell’organizzazione dei servizi attuale: “…l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), di titolarità delle ASL, offre in prevalenza interventi di natura infermieristico-medica, intesi come singole prestazioni guidato dalla logica della cura clinico-ospedaliera (cure), cioè la risposta a singole patologie, e non da quella del sostegno alla non autosufficienza (care)(Gori e Trabucchi, 2020). Prestazioni preziose ma parcellari, scoordinate e non inserite in un programma assistenziale protesico. È necessario anche il superamento dell’attuale stile di lavoro della U.V.M.D.3, per mettere in campo un sodalizio operativo tra le sue professionalità e la famiglia.

 

Proposte

I punti qualificanti per un nuova rinnovata rete dei servizi discendono tutti dalla presenza nel territorio di equipe multidisciplinari con due caratteristiche specifiche: che intervengano in una area geografica di riferimento e siano all’interno di un servizio o centro operativo, aperto al pubblico con presenze professionali diverse, che definiamo “Consultorio Geriatrico”, sulla base delle positive esperienze del passato (Colombo et al, 1992; Guaita et al, 1991).

Le caratteristiche di un Consultorio Geriatrico sono così riassumibili:

  • l’equipe effettua una valutazione multidimensionale anche in relazione all’ambiente famigliare e sociale, quindi con una quota di valutazioni a domicilio
  • fornisce consulenza riguardo alla rete dei servizi a malati e famigliari e al medico di medicina generale
  • agisce all’interno della rete dei servizi, collaborando a definire corsie preferenziali per il ricovero ospedaliero e le dimissioni protette, con programmi sottoscritti tra la direzioni dei servizi ospedalieri e territoriali, come interfaccia fra l’ospedale e il territorio (ADI, ADI Riabilitativa, RSA aperta e SAD dei Comuni)
  • Collabora con il MMG, cui fornisce consulenze sui piani di cura (non ha capacità prescrittiva in proprio)
  • Programma rivalutazioni a scadenza con intervento proattivo rivolto ad anziani e famigliari.

 

Il Consultorio non è un servizio autorizzativo, ma specialistico territoriale. Non vi è obbligo di utilizzarlo da parte di nessuno, ma ne viene chiesto l’intervento direttamente dai pazienti e dai famigliari per consulenza sulla rete dei servizi e dal MMG per i piani di cura. Ha però un rapporto formale stabilito da modalità operative concordate (PDTAR )4sia con l’ospedale di riferimento, sia con i servizi di assistenza domiciliare, pubblici e privati, presenti sul territorio. Ma questa attività è impensabile venga attuata, garantendone i contenuti, da un organismo burocratico territoriale come ATS, o dal Medico Medicina Generale lasciato solo di fronte alla complessità dei problemi delle persone anziane con patologie croniche invalidanti.

 

Questa complessità esiste, non è una invenzione dei geriatri e costantemente ci interroga per tutti i problemi non risolti lasciati in carico alle famiglie. Quindi è necessario non lasciare le decisioni organizzative alla buona volontà di singoli funzionari che cercano di far funzionare le cose nonostante il sistema in cui operano.
Si può, a nostro parere, a fronte delle gravi carenze di sistema, trovare soluzioni nuove nei contenuti operativi e non nella sola redistribuzione dell’esistente. Distribuire meglio interventi inutili, quando non dannosi, non giova e può al limite aggravare la situazione di chi è affetto da malattie croniche potenzialmente invalidanti.

 

La rete dei servizi è economicamente sostenibile

Che vi sia necessità di riorganizzare il Sistema dei servizi per farsi carico della crescita della cronicità nel Paese appare fuori discussione: la riflessione a questo punto diventa se sia sostenibile dalla finanza pubblica. La domanda sulla sostenibilità del servizio pubblico parte da lontano, fine anni ’90- 2000, quando il trend di spesa sanitaria del trentennio precedente (1960-1992) dimostrava una crescita di circa 2,5 volte, e autorevoli economisti si domandavano se il SSN potesse continuare così o dovesse invece privatizzarsi. Lo sostenevano gli economisti neoliberisti, che proponevano un sistema a doppio binario con una forte crescita delle assicurazioni e del business della Sanità Privata sul modello USA (Geddes, 2018) . Ora se ne parla molto meno perché tutti hanno visto come è andata a finire: il costo della sanità pubblica USA è più del doppio di quella Europea e restano altresì e ingiustamente esclusi dalle prestazioni sanitarie circa 40milioni di americani.

 

Invece i dati ci dicono che nel ventennio 1995 -2015 la nostra spesa sanitaria è rimasta stabile rispetto al PIL, anzi “..la sanità ci costa, pro capite, il 39% in meno della Germania e il 19% in meno dell’Inghilterra e nel confronto con i Paesi dell’Europa occidentale la spesa sanitaria totale italiana risulta inferiore del 31,2% della medi europea (Spadonaro, 2017) Anche in tempi di pareggio di bilancio non siamo di fronte ad una sanità insostenibile, anzi siamo di fronte ad sistema “sobrio” (Longo et al , 2017). Giudizio confermato dalla corte di Conti nel 2016: “i risultati della gestione contabile …fanno propendere per un andamento finanziario di sostanziale equilibrio e chiede un rafforzato impegno solo …nell’appropriatezza dell’attività prescrittiva…. e …. nell’ultimo quinquennio, pur in una condizione generalizzata di forte criticità economica, il comparto sanità ha dato rassicuranti segnali di voler procedere sulla via della razionalizzazione. “(Geddes, 2018, pagg 32-33).

 

Tutto questo conferma che vi sono ampi spazi di Finanza Pubblica perché si possa sviluppare una rete dei servizi all’interno del SSN più capace ed appropriata nella risposta a bisogni diversificati come sono quelli per gli anziani. Ne fa menzione Michelangelo Caiolfa di Federsanità Anci Toscana in un articolo dal titolo “Aspettando il cambiamento”. Egli cita “…da anni analizziamo il profondo cambiamento socio-demografico del Paese. Da anni discutiamo dei nuovi bisogni sociosanitari legati alle non-autosufficienze e alle fragilità. Da anni un vasto circuito composto da persone, famiglie, associazioni, operatori, professionalità, ricercatori, amministratori, cerca di ragionare per fare evolvere i servizi e, nel contempo, cerca in tutti i modi di far comprendere i temi che stanno alla base di questa indispensabile evoluzione. Da anni, gli stessi anni, aspettiamo un cambiamento che non arriva” (Caiolfa M., 2020).

 

In Italia ci sono circa 7500 Comuni, diversificati quanto a densità abitativa e distribuzione territoriale: solo un servizio di Rete integrato che prevede il Consultorio Geriatrico può presidiare e fornire prestazioni, con una modalità di intervento coordinato e condiviso tra operatori della Sanità e degli Enti Locali. Una distribuzione e radicamento territoriale paragonabile a quella con cui hanno operato gli uffici pubblici delle Poste, oppure i negozi di vicinato, le posterie, i “tabaccai”, i fornai, tutti i servizi alla persona che hanno dimostrato essere molto utili, rispetto alla grande distribuzione in tempo di lockdown, perché più vicini e disponibili a chi ha bisogno.

 

Con modalità mutuate da presidi a rete si può organizzare una azione di protezione alla solitudine, posto che vi è un aumento degli anziani soli, per vedovanza e lontananza dei figli. Una condizione sociale in aumento di emarginazione e di malattia, condizionata dall’evoluzione demografica, che se non contrastata porta le persone alla perdita della capacità di gestire le attività della vita quotidiana. La dimensione distrettuale rimane quelle preferibile, con i comuni presenti nel distretto consorziati tra loro e con potere contrattuale di indirizzo e controllo.

 

Due ultime considerazioni

Nonostante l’Italia sia il paese europeo con il maggior numero di individui oltre 65 anni e oltre 85 anni il nostro SSN spende in media 2.545$ per ogni cittadino, rispetto ai 5.289$ della Norvegia, 5056$ della Germania per non parlare dei 8.949$ degli USA. Secondo il 2°rapporto GIMBE 2018 i possibili -teorici- risparmi per riduzione degli sprechi del SSN si attestano intorno al 22%, pari a 25,315 miliardi di spesa pubblica del 2018.

 

Non è un problema di risorse!

 

Quindi, se non vogliamo assistere a nuove stragi di anziani, niente può restare come prima; forse è arrivato il tempo di cambiare, investire e dotarsi anche di servizi territoriali appropriati: ne abbiamo il bisogno, l’opportunità e le risorse tecniche e finanziarie.

 

 Spesa sanitaria pro capite nei paesi OCSE nel 2018 (1) (2) (dollari USA a prezzi correnti, usando PPP) (1) La spesa pubblica include gli schemi assicurativi obbligatori; la spesa privata comprende gli schemi assicurativi volontari e i pagamenti diretti (out-of-pocket). (2) Dati stimati o provvisori; i dati dell’Australia per la spesa pubblica e di Australia e Austria per quella privata sono calcolati con metodologia diversa.
Tabella 2 – Spesa sanitaria pro capite nei paesi OCSE nel 2018 (1) (2) (dollari USA a prezzi correnti, usando PPP) (1) La spesa pubblica include gli schemi assicurativi obbligatori; la spesa privata comprende gli schemi assicurativi volontari e i pagamenti diretti (out-of-pocket). (2) Dati stimati o provvisori; i dati dell’Australia per la spesa pubblica e di Australia e Austria per quella privata sono calcolati con metodologia diversa.

Note

  1. “..Secondo il nostro studio, e nonostante la mancanza di dati disponibili in letteratura su questo argomento, sembra che la principale preoccupazione negli anni a venire sarà la gestione degli individui più anziani. La nostra ipotesi è che i servizi scadenti e la mancanza di continuità delle cure potrebbero spiegare i modelli anomali dell’uso del Pronto Soccorso (PS) nei pazienti anziani. Dopo la dimissione, questi pazienti tornano spesso in PS, evidenziando la necessità di sviluppare modalità adeguate per la gestione dei problemi in questa fascia di età di pazienti. Sulla base di questi dati, sembra necessario migliorare la continuità assistenziale, la comunicazione all’interno del territorio e la definizione di un sistema di tracciamento per coloro che sono a maggior rischio di accedere al PS. Le valutazioni dovrebbero identificare le persone fragili come la massima priorità.
  2. Centro Assistenza Domiciliare Anziani
  3. Unità di Valutazione Multi Dimensionale
  4. Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale Riabilitativo

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