8 Aprile 2021 | Programmazione e governance

Invecchiamento attivo tra inerzia, rinnovamento e innovazione: traiettorie di policy a confronto tra Italia e Norvegia

Dal 2010, in seguito alle raccomandazioni Europee, Italia e Norvegia hanno avviato un percorso culturale e normativo sull’invecchiamento attivo. Premesse e conclusioni sono differenti, ma entrambi gli Stati sono ancora lontani da una piena attuazione del paradigma dell’IA per l’inclusione e la partecipazione dei soggetti anziani. Nel caso italiano, perché trascinato da una certa inerzia legislativa, mentre nel caso norvegese perché radicalmente innovativo.


L’idea della ‘società per tutte le età’ e il policy framework sul tema dell’invecchiamento attivo (IA) sono diffusi a livello internazionale da circa una ventina d’anni, rivestendo altresì un obiettivo cruciale per l’Agenda Europea (Commissione Europea, 2010, Commissione Europea, 2014) e dunque, implicitamente, anche per le politiche previdenziali, occupazionali, sanitarie e assistenziali degli Stati membri.

 

Il tema della cura come nuovo rischio sociale è ampiamente riconosciuto e discusso in letteratura (Saraceno, 2010; Ranci, Pavolini, 2015; Gori, 2011), come conseguenza al rilevamento di cambiamenti sostanziali nel quadro socio-demografico ed economico europeo. In particolare il dibattito verte sull’aumento della richiesta per le cure a lungo termine (LTC) e la necessità di creare un welfare più moderno per gli anziani, attraverso un nuovo patto sociale tra caregiver formali e informali, all’interno della più ampia cornice dell’IA.

 

In particolare, l’aspettativa di uniformità legislativa promossa dagli organismi sovranazionali sul tema viene richiamata attorno ai seguenti obiettivi strategici:

  • Servizi accessibili, sostenibili e di alta qualità
  • Servizi innovativi e moderni anche attraverso l’uso di tecnologie (TIC)
  • Investimento nella prevenzione, promozione della salute a copertura di tutto il ciclo di vita
  • Approccio politico multisettoriale, integrato, coordinato e potenziativo delle attività di community care.

 

Il nuovo paradigma è senz’altro promettente, a favore di una maggior sostenibilità e qualità dei sistemi di welfare. Tuttavia, la capacità dei diversi sistemi di affrontare vecchi e nuovi rischi sociali e di ripensare ad un patto sociale integrato e multi attore dipende da dimensioni di ordine e genere diverse, implicite ed esplicite: dai meccanismi di path dependency, alle caratteristiche strutturali del contesto e al network degli stakeholder nel quale esso si (ri)costruisce. Pertanto, questo articolo propone un’analisi comparata del contenuto in evoluzione delle principali policy e iniziative riguardanti l’IA in due contesti europei, Italia e Norvegia (quest’ultima pur non essendo tra i paesi membri dell’Unione, ne ha sempre recepito le direttive).

Il metodo d’analisi
Tabella 1 – Il metodo d’analisi

 

La vecchiaia: un concetto da problematizzare

Uno dei criteri fondanti il paradigma dell’IA sta nel riconoscimento del capitale umano e sociale degli anziani, e dunque nel mantenimento e rafforzamento delle loro capacità funzionali, per accrescerne il valore come risorse per le loro famiglie, comunità e economie. Inoltre, (almeno formalmente) il paradigma dell’IA fa riferimento ai concetti di prevenzione e investimento sociale (Commissione Europea, 2014), a cui consegue un approccio integrato, intersettoriale di organizzazione dei servizi. I contenuti strategici finora promossi e sostenuti dai vari organismi europei sono riportati nella Tabella 2.

Evoluzione policy europea IA
Tabella 2 – Evoluzione policy europea IA

Tuttavia, l’idea dell’IA si pone come concetto da problematizzare nella dimensione produttiva, sociale e politica della vecchiaia. Infatti, quella degli anziani è una categoria particolare, poiché interseca vari settori della politica: quello previdenziale (pensioni), sanitario (long-term care) e assistenziale (servizi domiciliari, semi-residenziali e residenziali). Ciò ha contribuito a diffondere – almeno nella cultura occidentale – un’immagine della vecchiaia come ‘peso’ o ‘costo’ per la società e per la politica. Dunque, la necessità formale di identificare con l’aggettivo ‘attivo’ il processo della vecchiaia, punta a scardinare questo disvalore, promuovendo invece un significato di valore sociale opposto.

 

Da un punto di vista strettamente sanitario, ‘attivo’ enfatizza la dimensione di responsabilità individuale verso la cura di se stessi (auto-trattamento) e l’adozione di misure preventive ad ampio spettro che agiscono sullo stile di vita. Mentre sul versante sociale, l’idea dell’IA si connette ai principi di autodeterminazione e partecipazione, laddove riesce ad agevolare o stimolare la capacità degli individui anziani nel soddisfare i propri bisogni sociali. Tuttavia, spesso, una vecchiaia maggiormente attiva o in salute è veicolata dalle condizioni di benessere economico individuali, che se assenti o ridotte possono allontanare gli anziani meno abbienti dalla prospettiva di IA, creando forme di discriminazione o esclusione sociale.

 

Inoltre, si noti che l’indice di misurazione dell’IA proposto dalla CE è valutato in prima istanza in termini di partecipazione al mercato del lavoro regolare e pagato. In pratica, secondo la capacità produttiva ed utilità allo sviluppo economico del paese degli anziani. Infatti, essendosi allungata la prospettiva di vita, di concerto a nuovi (dis)equilibri del mercato (ingresso più tardivo dei giovani nel mercato, e significativo divario numerico nel flusso di lavoratori in pensione e quelli in sostituzione) la vita produttiva si è estesa anche nella cosiddetta terza età, come contromisura per “alleggerire” le preoccupazioni legate al fenomeno dell’invecchiamento demografico.

 

E` indubbio che il mantenersi attivi possa potenziare o rinnovare le risorse individuali delle persone, condizionandone positivamente il processo di invecchiamento e producendo altresì un valore aggiunto nella e per la collettività. Ma, per evitare stigmatizzazioni, sarebbe opportuno discostarsi da quell’idea distorta che tende quasi forzatamente a voler creare un parallelo e finto ideale di vecchiaia come seconda giovinezza. L’ideale paradigmatico dell’IA dovrebbe essere concepito in termini probabilistici, possibilistici, e non come obiettivo raggiungibile a qualsiasi costo, contraendo il più possibile le barriere culturali e sociali che tuttora lo impediscono.

 

Traiettorie di policy per l’invecchiamento attivo a confronto

La produzione di politiche coerenti con il paradigma dell’IA implica la combinazione di azioni perseguite a livello locale – di comunità- volte a rendere gli utenti meno dipendenti dai servizi sanitari primari e specialistici, con azioni di promozione e potenziamento di stili di vita più salutari e attivi. Tuttavia, nonostante le sollecitazioni normative, la promozione dell’IA e la sua declinazione in termini pratici si può presentare non priva di tensioni e disuguaglianze.

 

Invecchiare in Italia significa la stessa cosa che invecchiare in Norvegia? Come i determinanti di salute condizionano l’esperienza della vecchiaia nei due diversi Paesi? A mio avviso la prospettiva comparata può essere una chiave di lettura molto interessante, sia a livello di analisi micro sociale – di esperienza diretta degli individui – che macro sociale, per evidenziarne similitudini, differenze e principali nodi problematici nelle traiettorie di policy.

 

Italia

Ad oggi in Italia non esiste una legge nazionale organica in materia di invecchiamento attivo, ma esistono già dal 2008 leggi regionali (LR) o disposizioni regionali a cui far riferimento. Tuttavia, a livello nazionale esiste la proposta di legge n. 3538/2016 per favorire l’invecchiamento attivo della popolazione attraverso l’impiego delle persone anziane in attività di utilità sociale e le iniziative di formazione permanente; ed è stato avviato un progetto triennale 2019-2022 con l’obiettivo di creare un coordinamento nazionale partecipato, multilivello, delle politiche a favore dell’IA, per giungere ad una legge quadro che lo disciplini.

 

Dall’analisi dei contenuti legislativi regionali italiani si può affermare che sono numericamente superiori gli interventi trasversali o che promuovono l’IA in termini generici – mi riferisco in questo caso alle LR denominate “Promozione e valorizzazione dell’invecchiamento attivo”, introdotte negli ultimi 5 anni da alcune regioni (tabella 3) – evidenziandone le seguenti dimensioni:

  • Prevenzione
  • Benessere e promozione salute
  • Formazione permanente
  • Partecipazione attiva.

 

Per quanto riguarda la formazione permanente sembra esserci una certa omogeneità attorno ad interventi di potenziamento (anche economico) delle Università della Terza Età (UTE) per il contributo significativo che offrono per l’inserimento delle persone anziane nella vita socio-culturale della comunità.

 

Anche per quel che riguarda la categoria della partecipazione attiva sembra esserci una certa omogeneità attorno ai concetti di volontariato civile e di agricoltura sociale, per favorire l’inclusione, la socialità, l’integrazione sociale e il benessere degli anziani a rischio isolamento. Nella macro-categoria prevenzione e promozione della salute, si trovano, invece gli interventi più eterogenei, che per praticità di lettura e analisi sono stati accorpati in due sotto categorie principali: quella dei piani sociali regionali, e/o piani regionali di prevenzione, e quella della “sanità d’iniziativa” di cui fanno parte attività sportive generiche o finalizzate all’acquisizione di stili di vita utili a migliorarne la qualità, e programmi per l’autogestione delle malattie croniche.

 

L’analisi della policy italiana, dunque, identifica dapprima questi tre nodi (macro-categorie), che rappresentano i principali ambiti di intervento legislativo per l’IA, a cui si aggiungono interventi a potenziamento del terzo settore e tutela dei cosiddetti caregiver informali, e programmi regionali o europei innovativi per i servizi. Queste ultime due dimensioni sono emerse come significative per la comprensione della policy man mano che la lettura dei documenti si faceva più approfondita. Infatti, alcune regioni hanno sistematizzato norme per il riconoscimento, la tutela e il sostegno dell’assistenza informale – molto diffusa su tutto il territorio – riconoscendo il ruolo chiave dei vari soggetti della solidarietà sociale, e dell’associazionismo in generale, attivamente coinvolti anche alla progettazione ed erogazione dei servizi.

 

Infine, sul territorio italiano si registrano approcci innovativi ai servizi nel conseguimento di obiettivi inerenti l’IA, attraverso l’adozione di progetti regionali o europei. Tuttavia, la registrata disomogeneità territoriale riflette i principali limiti politici e organizzativi dei vari contesti locali, rivelandone anche le problematiche attorno alle quali si raccoglie maggior sensibilizzazione, e le risorse reali o potenziali per la costruzione di un’efficiente politica per l’IA.

 

La tabella 3 intende ricapitolare schematicamente le informazioni sin qui descritte.

 

invecchiamento_attivo_nelle_regioni_italiane
Tabella 3 – L’invecchiamento Attivo nelle Leggi Regionali italiane

Norvegia

La ricerca ha permesso di rintracciare 7 principali documenti programmatici e strategie nazionali del Governo centrale norvegese in linea con gli obiettivi dell’agenda internazionale per l’IA. Come mostra la Tabella 4 che li riassume sinteticamente, non c’è un documento specifico sul tema. Al contrario, esso può essere letto come elemento costitutivo di una più ampia ed olistica strategia di rinnovazione dei servizi sanitari e di welfare. In generale, si può affermare che in questo contesto la priorità politica per l’invecchiamento attivo si consolida a partire dal 2011, quando vengono stabilite le direzioni della nuova policy per i servizi socio-assistenziali alla luce delle principali sfide demografiche e sociali.

 

Inoltre, l’anno 2013 rappresenta un altro importante punto di svolta per le linee programmatiche e la strategia norvegese per il potenziamento e l’innovazione dei servizi assistenziali, soprattutto attraverso il lancio del Care Plan 2013-2020, contenente gli obiettivi e le azioni chiave per una policy moderna della cura informale e per lo sviluppo di servizi innovativi, guidati dalla tecnologia, su tutto il territorio nazionale. L’organizzazione semi-centralizzata dei servizi, pone anche per la Norvegia una tendenza alla disomogeneità territoriale, amplificata tra l’altro dalla particolare conformazione geografica, che qui agisce in due direzioni opposte: da un lato, in senso ostativo per l’uniformità e l’accessibilità ai servizi; ma anche come abilitatore di innovazioni (welfare technology) nel dominio dei servizi assistenziali.

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Tabella 4 – Invecchiamento Attivo nella legislazione norvegese

 

Discussione

L’analisi fin qui prodotta, mostra sia le divergenze di percezione, descrizione e attivazione politica, che gli elementi più simili in tema di IA in Italia e Norvegia. Si può affermare che per entrambi i paesi si registra una svolta significativa in termini di produzione normativa, soprattutto dopo il 2010, sicuramente influenzate dall’agenda sovranazionale, che a partire da quegli anni si fa più strutturata e matura in tema di IA. Ciononostante, si notano già sottotraccia elementi di welfare peculiari (quello italiano più squilibrato, mentre quello norvegese più consolidato) da cui conseguono razionalità politiche e tematizzazioni della (responsabilità di) cura molto diverse.

 

La principale differenza che emerge dall’analisi della policy per l’IA in Italia e in Norvegia è legata alla percezione comune e dunque alla trattazione politica dei cittadini senior e alla costruzione del concetto di vecchiaia. Il paradigma vigente in Italia sembra mostrare due tratti principali: il primo che indica l’anzianità come un problema sociale, che spesso associa  indiscriminatamente (tutti) gli anziani come puri costi per il sistema pensionistico e sanitario; il secondo che evidenzia il valore intrinseco degli anziani in quanto memoria storica, e salvaguardia dei ‘veri’ valori. Tale ambivalenza è particolarmente evidente nei regimi di welfare a stampo familistico, conservatore – come è definito quello italiano in molti studi comparativi – dove gli anziani svolgono un ruolo fondamentale come “ammortizzatori sociali”, come rete di protezione per molte famiglie.

 

La Norvegia, invece, nella sua narrazione, concettualizza la vecchiaia in termini più realistici, sia distinguendo all’interno della generica fascia anziana della popolazione, gli “anziani in condizioni di bisogno e assistenza”; sia riferendosi spesso alla “futura generazione di anziani” come cittadini con più risorse in termini di salute, educazione, conoscenze e abilità e anche in ambito finanziario. Così, in questo contesto, da un lato non si nasconde la possibilità reale di incontrare difficoltà funzionali o cognitive durante il processo d’invecchiamento, ma allo stesso tempo si guarda alle risorse concrete di cui gli anziani del futuro disporranno, per poter creare servizi del futuro più adeguati.

 

Una possibile spiegazione può essere rintracciata nelle generali condizioni di benessere economico norvegese, nonché nella tendenza ad una vita attiva mediamente più alta nei contesti scandinavi rispetto al resto d’Europa. Secondariamente, potrebbe risiedere nel fatto che la Norvegia affronterà il fenomeno dell’invecchiamento demografico più tardi rispetto a molti altri paesi, poiché anche l’indice di natalità è sempre stato ben più alto che nel resto d’Europa. Infine, il fatto che il sistema di welfare norvegese – e più in generale quello nordico – abbia sempre goduto di un ampio riconoscimento in quanto a inclusività, generosità, qualità, efficienza e sostenibilità, soprattutto in termini comparativi; lo può effettivamente aver reso meglio equipaggiato per affrontare i nuovi rischi sociali. Ciò non significa che le risposte attuali in termini di assistenza siano perfette, anzi, i documenti analizzati riportano il contrario, però, è indubbio che la direzione degli sforzi innovativi norvegesi sia maggiormente organica.

 

Il concetto politico e sociale di vecchiaia sembra dunque costruito in maniera quasi antitetica nei due paesi, provocando ripercussioni significative anche sulle strategie e sugli interventi di policy. Le due principali conseguenze in questi termini si identificano, a livello italiano, con una certa “inerzia legislativa”, (Costa, 2013) sia in tema di  anziani non-autosufficienti, che in tema di IA, e con un forte orientamento assistenzialistico delle policy. Sebbene non mancano singole iniziative a livello regionale e territoriale, il quadro italiano si presenta oggi come un “patchwork di modelli regionali diversi per la non autosufficienza, in cui servizi formali, trasferimenti monetari e lavoro di cura informale si intrecciano in maniera e con livelli di impegno e di spesa assai diversificati” (Costa, 2013).

 

L’analisi evidenzia quindi un carattere eterogeneo, altamente diversificato tra le regioni italiane e parziale, data l’assenza di interventi mirati a gestire organicamente la sfida dell’invecchiamento demografico, sotto i vari aspetti che lo riguardano. Inoltre, l’analisi del contenuto italiano mostra un orientamento ancora prettamente assistenzialistico nelle policy per anziani; nonostante un dato positivo si evince nella tendenza che sembra essersi diffusa in alcune regioni (9, da nord a sud) a partire dal 2014 in cui sono stati adottati Piani di Prevenzione. In questo senso, le strategie di prevenzione rappresentano il contraltare dell’assistenzialismo, riducendo la forte discriminazione associata alla fascia anziana della popolazione, agendo invece in un’ottica più ampia e universalistica. Le politiche di prevenzione, infatti, non hanno un target strettamente specifico, e non mobilitano risorse solo in conseguenza alla determinazione dello stato di bisogno. Al contrario, esse sono potenzialmente destinate a tutti i cittadini, con l’obiettivo di diffondere stili di vita e attività che possono ridurre le condizioni ostacolanti all’inclusione sociale, al benessere e alla salute.

 

La costruzione del concetto di vecchiaia e della categoria degli anziani nel contesto norvegese, comporta strategie ed interventi di policy diversi. Sebbene, o proprio per il fatto che le politiche e i servizi sociali sono di pertinenza comunale in quanto ad organizzazione, finanziamento ed erogazione (in Norvegia ci sono 11 contee e 365 municipalità), il Governo centrale ha da tempo maturato un dibattito e adottato piani e programmi nazionali a garanzia di una certa omogeneità nazionale. La strategia che ne emerge mostra una visione olistica e orientata ai servizi e alla loro organizzazione. In particolare il tema ricorrente è quello della “caregiving challenge”, vale a dire della sfida assistenziale che i servizi sociali pubblici incontreranno in conseguenza all’invecchiamento demografico.

 

La differenza con l’Italia qui è sottile, ma sostanziale: la società norvegese registrerà un aumento vertiginoso di cittadini senior nei prossimi anni, e dovrà attivare una transizione verso forme moderne e diverse dei servizi di cura e assistenza. Pertanto, gli interventi proposti sin dal Care Plan 2015 sottoscritto nel 2005, si contraddistinguono per un forte orientamento preventivo, integrato e un approccio life-course, finalizzato a sensibilizzare e preparare le organizzazioni locali dei servizi sociali ad un significativo cambio di rotta anche in favore della prospettiva dell’IA.

 

Nei documenti norvegesi, inoltre, si insiste per l’esplorazione di esistenti o per lo sviluppo di nuove tecnologie entro il dominio del WT per garantire un maggiore allineamento tra preferenze, necessità di assistenza degli utenti, e qualità, sostenibilità dell’offerta dei servizi. L’implementazione e l’utilizzo di tali tecnologie sono pensate per il duplice fine di migliorare il benessere individuale, potenziare le abilità di self-care e l’autonomia di coloro i quali si trovano in condizioni di non-autosufficienza, e dall’altro lato di supportare i professionisti dei servizi di cura e assistenza. Il primo programma a livello nazionale in tema di WT è stato adottato dal governo norvegese nel 2013, con l’obiettivo di testare, diffondere ed integrare soluzioni tecnologiche ai servizi di cura e assistenza tradizionali, e stimolare le municipalità a servizi sociali e comunitari più innovativi, entro il 2020.

 

Infine, c’è un elemento comune ad entrambe le traiettorie di policy. Esso riguarda la valorizzazione della cura ad opera dei caregiver informali. Tuttavia, la necessità di modernizzare questo aspetto muove da motivazioni differenti. In Italia, infatti, gli attori della cura informale hanno sempre sopperito alle carenze dei servizi pubblici, e rappresentato un’alternativa economicamente vantaggiosa ai servizi privati, creando un vero e proprio mercato informale fatto principalmente di familiari, badanti e volontari di organizzazioni del terzo settore che assolvono a ruoli di caregivers. Ciononostante, questi tre grandi attori informali non sono mai stati tutelati o riconosciuti allo stesso modo. Le organizzazioni del terzo settore, per esempio, a differenza della categoria delle badanti che è stata a lungo sottostimata e ignorata, risultano più disciplinate e tutelate nelle politiche pubbliche italiane.

 

Il sistema di welfare pubblico norvegese, al contrario, è sempre stato in capo all’erogazione dei servizi socio-assistenziali di qualsiasi natura in forma esclusiva, facendone il suo grande tratto distintivo. Tuttavia, alcuni documenti analizzati in entrambi i contesti, richiamano significativamente alla necessità di integrare formalmente attori privati e dell’associazionismo locale, riconoscendoli come elemento della rete del welfare locale, funzionale ad un’offerta migliore e più sostenibile dei servizi pubblici assistenziali.

 

Più recentemente, il rapporto tra caregivers formali e informali è stato un importante oggetto della narrazione politico-sociale dell’emergenza sanitaria da COVID-19. Essa, soprattutto in alcuni paesi come l’Italia, rischierebbe di creare nuove forme di familizzazione della cura, redistribuendo asimmetricamente compiti e responsabilità tra uomini e donne e tra famiglia e società. Al contrario, proprio questa emergenza dovrebbe essere l’occasione per adeguare e rivitalizzare il sistema pubblico sanitario, rafforzando le attività di prevenzione primaria, e lo spazio per la community-care che è requisito imprescindibile per il pieno sviluppo della salute degli anziani in piena ottica di invecchiamento attivo. La tabella 5 riassume le principali categorie comparative e gli elementi ad esse associati.

Codificazione e comparazione policy
Tabella 5 – Codificazione e comparazione policy

Concludendo, le traiettorie di policy che si è cercato di delineare mostrano come strategie e pratiche innovative nell’area dell’IA siano costruite diversamente da contesto a contesto, sebbene talvolta incorporano concetti molto simili. Le traslazioni dei contenuti programmatici nei contesti nazionali e l’evoluzione delle policy sembrano essere il frutto di due processi (spesso in tensione): da un lato quello trasformativo dei servizi e dall’altro quello di continuità culturale. Infatti, sebbene in entrambi i paesi sia diffusa una certa consapevolezza a livello politico, sociale e accademico verso le attuali sfide demografiche, si intravedono ancora spazi di immaturità organizzativa che impediscono una strategica e piena attuazione del paradigma dell’IA per l’inclusione e la partecipazione dei soggetti anziani. Nel caso italiano, perché trascinato da una certa inerzia legislativa, mentre nel caso norvegese perché radicalmente innovativo.

 

La vignetta (la classica “fa ridere ma anche riflettere”) qui è emblematica, e apre un dibattito sulle contraddizioni dell’ideale dell’IA, ma anche sulle aspettative create dall’avanzamento tecnologico. In un mondo in cui anche la nuova frontiera dei servizi di cura e assistenza passa attraverso la mediazione tecnologica, bisognerebbe forse chiedersi quali aspetti di tali servizi la rendono umana e quindi diversa da persona a persona, da contesto a contesto, lontana da molti ideali paradigmatici e insostituibile da qualsiasi strumento tecnologico o digitale.

Figura 1 – Vignetta

Bibliografia

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Commissione Europea, (2010), Europa 2020. Per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva, Brussels.

Commissione Europea, (2014), Pacchetto Investimenti Sociali (SIP), Brussels.

Costa G., (2013), L’Italia del Patchwork: le politiche regionali per anziani, in Kazepov Y., and Barberis E., a cura di, Il welfare frammentato: le articolazioni regionali delle politiche sociali italiane, Carocci.

Gori C., (2001), a cura di, Le politiche per gli anziani non autosufficienti. Analisi e proposte, Franco Angeli.

Ranci C., Pavolini E, (2015), Not all that glitters is gold: Long-term care reforms in the last two decades in Europe, Journal of European Social Policy, 25(3).

Saraceno C., (2010), Tra vecchi e nuovi rischi. Come le politiche reagiscono alla modifica del contratto sociale, in la Rivista delle Politiche Sociali, 4/2010.

World Health Organization, (2012), Active Ageing. A Policy Framework, Geneva.

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