
La cura può essere definita come l’attitudine propria di chi assume per vincolo affettivo, educativo e professionale, il compito di accudire una persona particolarmente vulnerabile come il bambino, il malato, l’anziano, il disabile. Questa attitudine si può manifestare dalla nascita (cure materne), sviluppare nelle fasi dell’adolescenza (cura educativa), consolidare nella maturità mediante il mantenimento del benessere e, infine, nelle fasi della malattia e della senescenza.
Introduzione
Una definizione essenziale di cura sotto il profilo fenomenologico è quella di preoccuparsi, avere premura, dedicarsi a qualcosa. La cura nella sua essenza risponde quindi ad una necessità ontologica che include una necessità vitale, una etica ed una terapeutica (Mortari, 2015). La cura assume una valenza più ampia quando si proietta all’esterno dei confini del singolo: si può aver cura della propria casa, del proprio vicinato, dell’ambiente in cui si vive, della natura, di un progetto di lavoro, ecc. Si parte dall’assunto filosofico per riflettere sulla dimensione ontologica della cura e per delineare gli elementi fenomenologici rispetto al tempo, al luogo in cui la cura si realizza e a come i mutamenti sociali possono modificare il suo significato profondo, in particolare, la percezione soggettiva dell’individuo e la conseguente estensione collettiva.
Assunto filosofico del concetto di cura
Il concetto di cura rappresenta un fondamento epistemologico dell’uomo, tanto che ad occuparsene furono antichi filosofi come Platone e Socrate. Nel Carmide, Platone analizza la connotazione più pragmatica della cura, spiegando che il rimedio alla malattia non consiste solo nel farmaco biologico (le erbe) ma anche nel farmaco fatto di logoi, cioè di buoni discorsi1. Alle origini della tradizione culturale dell’Occidente, le parole che designano “la cura” alludono a una condizione soggettiva (quella di chi si “preoccupa”) e non al contenuto specifico nel quale si oggettiverebbe tale “preoccupazione”. L’idea di fondo a questo modo di concepire la cura è che il “servizio” più importante che possiamo rendere agli altri è “preoccuparci” per loro, avere a cuore la loro condizione, provare interesse per ciò che accade (Curi, 2017).
Tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo, Kierkegaard, dopo aver preso le distanze dall’ “assoluto hegeliano”, sposta la sua attenzione dall’universale astratto, all’individuo concreto, introducendo la comprensione dell’altro come possibilità: io devo vedere la realtà dell’altro come possibilità per me. Quando mi trovo in questo tipo di relazione con l’altro, quando la realtà dell’altro diviene una possibilità per me, io curo (Grompi, 2008). Martin Heidegger, il maggiore esponente dell’esistenzialismo, è stato uno dei filosofi che ha dedicato un impegno specifico al concetto di cura. Nel saggio “Essere e tempo” affronta, a più riprese, la cura in chiave ontologica-esistenzialista. Quanto ai modi positivi dell’aver cura ci sono due possibilità estreme. L’aver cura può, in un certo modo, sollevare l’altro dalla cura sostituendosi a lui nel prendersi cura, intromettendosi al suo posto. L’altro risulta allora espulso dal suo posto, per ricevere a cose fatte dagli altri ciò di cui si deve prendere cura, risultandone del tutto sgravato. Questo aver cura, che solleva l’altro dalla cura, condiziona largamente l’essere-assieme e riguarda per lo più il prendersi cura degli “utilizzabili”.
In opposto a questa modalità esiste la possibilità di aver cura, la quale, anziché intromettersi al posto degli altri, li presuppone nel loro poter essere esistentivo, non già per sottrarre loro la cura, ma per inserirli autenticamente in essa. Questa forma di aver cura, che riguarda essenzialmente la cura autentica, cioè l’esistenza dell’altro e non qualcosa di cui si prende cura, aiuta l’altro a divenire trasparente nella propria cura e libero per essa2.
Se tutta la filosofia fenomenologica invita a superare il dualismo tra anima e corpo, Edit Stein si spinge oltre. Nel superare questo dualismo, non suggerisce una logica associativa tra anima e corpo, ma invita a pensare all’esserci come ad un tutt’uno, composto di un corpo che vive di un respiro spirituale e di un’anima incarnata (Mortari, 2015). Se per Noddings, ogni persona vorrebbe essere oggetto di cura e il mondo sarebbe migliore se tutti ci curassimo di più gli degli altri3, Levinas intende la cura come il principio morale fondamentale, introducendo una modalità di riflessione morale che sembra superare l’etica dei diritti di origine kantiana, basata sul rispetto astratto dei principi universali. Levinas afferma un’etica della solidarietà che prevede la compartecipazione di giudizio, riflessione ed emozione, a differenza dell’etica dei diritti che crea invece separazioni in riferimento ad un tacito “contratto” che non contempla il coinvolgimento emotivo (La Torre, 1999).
Per quanto la nozione di cura abbia radici antiche, il dibattito sulla possibilità di proporre un approccio di etica e filosofia morale, risale agli anni Ottanta del 900. In quegli anni, all’interno del movimento femminista statunitense si è iniziato a parlare di care ethic (etica della cura). Con la pubblicazione nel 1982 dello studio “In a Different Voice”, la psicologia Carol Gilligan richiamava l’attenzione su quella “voce differente” (voce della cura) da prendere in considerazione nello sviluppo morale. Nel corso degli anni la discussione si è diffusa oltre il movimento femminista statunitense, coinvolgendo autori di diverse tradizioni di pensiero e di diverse nazionalità. In questo filone culturale rientrano le autrici Noddings, Ruddick, Tronto, Kittay e Held. Dai lavori di queste autrici emerge la critica verso gli approcci morali più diffusi di stampo deontologico o consequenzialista. Il richiamo a una visione più ampia della moralità e ad un approccio razionalista più flessibile, delineano una prospettiva della vita morale più vicina all’esperienza rispetto a quella offerta dalle concettualizzazioni dominanti, a partire da quella liberale. Al momento, non si è arrivati a una formulazione univoca della care ethic e sembra prematuro parlare di un’etica della cura come teoria morale normativa (Tusino, 2021).
Criticità dei servizi sanitari e problematiche sulla cura delle persone
Il tema della “crisi della cura” è spesso delineato all’interno dei dibattiti nella mancanza di tempo e nella ricerca dell’equilibrio tra famiglia e lavoro, riferibili a pressioni che comprimono quelle disponibilità sociali necessarie per prendersi cura dei figli, degli amici, dei famigliari, e più in generale, per sostenere i legami sociali. Questa crisi della cura viene interpretata da Nancy Fraser come un’espressione, più o meno acuta, delle contraddizioni socio-riproduttive del capitalismo finanziario (Fraser, 2017).
Da oltre un decennio il Servizio sanitario nazionale italiano è sottoposto ad un logoramento, che più recentemente, ha comportato il prolungarsi dei tempi di attesa delle prestazioni e una forte crisi nel settore del personale sanitario: carenza del personale medico e infermieristico, stagnazione dei salari, fuga all’estero dei professionisti, ecc. La crisi del personale sanitario si inserisce in uno scenario nazionale che risulta complesso sotto più profili. Tra questi, l’invecchiamento della popolazione, la riduzione della presenza del pubblico in molti settori e la decrescita dei salari, si configurano tra le questioni più problematiche. La recente pandemia avrebbe dovuto rimarcare la necessità e l’urgenza di un adeguato servizio sanitario pubblico (soprattutto territoriale), attraverso riforme, finanziamenti e valorizzazione del personale.
Al momento, la situazione del personale desta giustificate preoccupazioni, soprattutto per alcune professionalità come gli infermieri, la cui media rispetto alla popolazione si attesta a 6.3 per 1000 abitanti, mentre quella europea è di 8,3. Se chi cura, dovrebbe essere messo nelle condizioni di farlo, i dati sulla sicurezza degli operatori sanitari evidenziano, invece, un sostanziale paradosso: i professionisti della salute sono sottoposti a stress cronico, turni logoranti e aggressioni, con le inevitabili ricadute sul piano psico-fisico e sulla qualità complessiva della cura. Negli ultimi 50 anni l’invecchiamento della popolazione italiana è stato uno dei più rapidi tra i Paesi maggiormente sviluppati, e si stima che nel 2050 la quota di ultra 65enni ammonterà al 35,9% della popolazione totale, con un’attesa di vita media pari a 82,5 anni. Parallelamente all’aumentata aspettativa di vita, si è verificata una transizione epidemiologica nella patologia: da una situazione in cui erano prevalenti le malattie infettive e carenziali, si è passati a una preponderanza di quelle cronico degenerative.
Cronicità e disabilità rappresentano condizioni molto diffuse in una popolazione sempre più anziana, bisognosa di assistenza a lungo termine. In Italia, circa 24 milioni di persone soffrono di almeno una patologia cronica e poco meno di 4 milioni, risultano le persone con disabilità. L’attuale sistema di assistenza delle persone con disabilità grave non è adeguato rispetto ad una dinamica crescente della disabilità complessiva nella popolazione. Attualmente, l’indice di dipendenza degli anziani è pari al 36%, e si arriverà al 70% nel 2050. La quota di caregiver sulla popolazione attiva oggi pari all’8%, è prevista al 15% nel 2040 e al 20% nel 2050.
Nuove tendenze di cura: estetica e benessere
L’interazione costante con i social e la proliferazione di corsi di benessere, programmi di fitness e interventi estetici, rivela una tendenza preoccupante: in un’epoca dove la visibilità e l’apparenza sembrano prevalere su ogni aspetto della nostra vita, il valore di una persona è spesso misurato in base a quanto essa riesce a conformarsi agli standard di bellezza, successo e visibilità dettati dai media e dalle mode. La cura dell’estetica viene esasperata fino a divenire una priorità che distoglie lo sguardo da aspetti più profondi dell’esistenza.
In Italia, il mercato della medicina estetica registra un trend in aumento per tutte le età, compreso quello riguardante giovani e giovanissimi. Nonostante il mercato internazionale sia dominato dagli Usa (5,3 milioni interventi di medicina estetica nel 2021), l’Italia è il Paese con il maggior numero di procedure di medicina estetica in rapporto al numero di abitanti. Il settore cosmetico italiano si conferma un settore industriale di rilievo con un fatturato 2023 che ha superato i 15 miliardi di euro, aumentando del +13,8% rispetto all’anno precedente. L’Italia si posiziona come terzo sistema economico della cosmetica in Europa, dopo Germania e Francia.
Prospettive sulle buone pratiche di cura
Contrariamente alle tendenze della cura intesa come ricerca del benessere personale e adesione ai modelli estetici prevalenti, l’aver cura è pratica relazionale guidata dall’intenzione di procurare benessere per l’altro. Se la cura è dimensione ontologica primaria e l’intenzionalità primaria dell’essere, secondo l’etica aristotelica, è la ricerca del bene, allora l’intenzione che guida una buona azione di cura non può che essere la ricerca di ciò che fa bene. Una filosofia della cura che intenda costituirsi come sapere rigorosamente fondato non può dunque che coltivare i due differenti piani dell’indagine: mirare a definire l’essenza generale, tenendo lo sguardo sempre radicato nel concreto ed esaminare la molteplice fenomenicità concreta (Mortani, 2015). Come affermava Immanuel Kant nella Fondazione della metafisica dei costumi, abbiamo l’obbligo di agire “in modo da trattare l’umanità, sia nella sua persona, sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo”. In considerazione delle criticità presenti all’interno dei servizi sanitari e delle problematiche che interessano i professionisti della cura, si evince la necessità di interventi su vasta scala che richiedono l’impegno dei decisori politici, della classe dirigente, delle parti sociali, del volontariato, del Terzo settore e degli stessi professionisti, verso nuovi modelli della cura.
Sul piano concreto, l’adesione alle buone pratiche per la sicurezza nella sanità dell’Agenas, alle Good clinical practice, alle Best nursing practice, alle pratiche di Medical Humanities e al rispetto dei criteri di accreditamento delle strutture sanitarie e socio-assistenziali, rappresenta un passo importante per la garanzia di una cura di qualità, soprattutto, quando risulta parte integrante di un’etica di sistema generalizzata.Per entrare ancora maggiormente nella concretezza delle pratiche di cura, il singolo professionista della salute, in considerazione della sua soggettività, formazione ed esperienza, risulta insieme a famigliari, caregiver e altri professionisti, figura centrale dell’attualizzazione di un’autentica cura. La cura per essere autentica, necessita di requisiti che i professionisti della salute dovrebbero acquisire attraverso la formazione, l’esperienza sul campo, le relazioni interprofessionali e un continuo percorso di crescita professionale: intelligenza, curiosità, pazienza, generosità, tolleranza, capacità tecnica, accuratezza, ottimismo e resilienza. La cura affianca e non sostituisce, valorizza la capacità di resilienza, non annulla la possibilità di trasformare i problemi in nuove opportunità (Trabucchi, 2018).
Infine, nella dimensione educativa della cura, emerge l’importanza del dialogo che si interroga sui percorsi possibili nel valorizzare lo spazio di autonomia e autodeterminazione della persona. Il fine ultimo dell’educazione, infatti, è quello di valorizzare le potenzialità di ciascuno verso la realizzazione del proprio progetto esistenziale, nonostante la sua finitudine; in altre parole, il “dover essere” dell’azione educativa in termini kantiani, ossia l’imperativo categorico che si pone come universale ed assoluto. Il futuro di un malato non è prevedibile solo nella sua diagnosi e nella sua prognosi, ma nell’accoglienza di quelle potenzialità, che l’atto di cura, il gesto e la parola dei professionisti sanitari devono saper promuovere e sviluppare. Sperare per un malato implica il riappropriarsi della propria vita senza doverla delegare ai tecnici della cura (Demozzi, 2020).
Conclusioni
La cura nella sua essenza risponde ad una necessità ontologica che include una necessità etica ed una terapeutica, ed assume una valenza più ampia quando si proietta all’esterno dei confini del singolo: dalla cura della persona, all’ambiente in cui si vive, ad un progetto di lavoro, ecc. L’attualità in cui viviamo evidenzia una “crisi della cura”, sintomo delle contraddizioni socio-riproduttive del sistema economico predominante. Da diversi anni, infatti, diversi settori del sociale, come scuola, sanità e welfare, sono in forte difficoltà per cause interne al sistema e per fattori economici e geopolitici a carattere globale. L’invecchiamento della popolazione e il conseguente aumento della cronicità aggravano il quadro complessivo del sistema cura.
Se da un lato, in ambito sanitario e socio-assistenziale, si osservano problematiche sulla cura che richiedono tempi e risorse ingenti per soluzioni efficaci, dall’altro lato, si osservano fenomeni emergenti sempre più socialmente riconosciuti come “cura”, basati essenzialmente su bisogni individuali di visibilità, autostima e successo. In considerazione di questa complessità, si evince la necessità di rivedere l’obiettivo della cura sulla base di un equilibrio sostenibile fra bisogni individuali e bisogni di comunità, e ribadire il valore universale della persona. Partire da questo presupposto, significa assegnare senso, continuità ed efficacia, a tutte le misure che potranno essere adottate a vari livelli, da quello politico a quello sociale e organizzativo,
Questa centralità si rinnova e si riscopre nel potere del dialogo, della parola e del gesto, perchè la cifra concreta della cura si misura sulla disponibilità verso l’altro, in un reciproco riconoscimento all’interno di uno spazio più ampio, che trova nella relazione autentica un destino comune.
Note
Bibliografia
Curi U, (2017), Le parole della cura, Raffaello Cortina Editore, p 57.
Demozzi S. (2020), La parola che cura è parola che educa?, I libri di Emil di Odoya.
Fraser N., (2017), La fine della cura, Mimesis edizioni, pp 11-12.
Grompi A. (2008), Il concetto di cura: un modello per la pratica infermieristica?, in Scenario; 25 (2): 8-10.
Heidegger M. (2006), Essere e tempo, edizione italiana a cura di Volpi F. sulla versione di Chiodi P. Milano Longanesi, pp 149-154
La Torre MA. (1999), Curare e prendersi cura. Le nuove dimensioni della relazione terapeutica, Macro.
Mortari L. (2015), Filosofia della cura, Raffaello Cortina Editori, pp 14-33.
Tusino S. (2021), L’etica della cura. Un altro sguardo sulla filosofia morale, Franco Angeli Editore.
Trabucchi M. (2018), Il significato della cura, in I luoghi della cura, n. 1.