4 Luglio 2023 | Domiciliarità

Competenze per nuovi bisogni di cura nell’evoluzione della società dell’invecchiamento: un nuovo ruolo dei caregiver familiari e degli assistenti familiari

La nuova domanda di competenze nel lavoro di cura e la sua evoluzione nel contesto della crescita esponenziale del “long term care”, interrogano sulla qualità del nostro welfare assistenziale soprattutto nel contesto della domiciliarità. Il mercato del lavoro dell’assistenza familiare, così fluido e in parte ancora non trasparente, si sviluppa nel rapporto con una domanda non sempre matura dei datori di lavoro. Tutto ciò si dovrà misurare con le nuove normative emergenti dalla riforma della non autosufficienza.

Competenze per nuovi bisogni di cura nell’evoluzione della società dell’invecchiamento: un nuovo ruolo dei caregiver familiari e degli assistenti familiari

Negli anni le attese di ruolo, le funzioni, il posizionamento socio organizzativo, il sistema relazionale e i diritti del lavoro1di chi opera come dipendente nel lavoro privato di cura nell’assistenza a persone anziane e non autosufficienti si sono trasformate e articolate. Se da un lato il ruolo chiave rimane il “dare risposta” ai bisogni primari dell’assistito – cura, igiene, alimentazione – dall’altro lato vi è un’evoluzione dei bisogni stessi e delle modalità per soddisfarli. La cura a lungo termine fa i conti con le caratteristiche dell’evoluzione delle patologie cronico-degenerative che deve fronteggiare, mescola le carte, le priorità e gli assetti, facendo emergere la necessità di riprogettare l’assistenza di base tessendo una tela che si compone di umanizzazione delle cure, di nuove tecnologie assistenziali, di lotta all’isolamento e di interazione comunicativa nonché della volontà di porre al centro la salute e il benessere.

 

La cura a lungo temine per essere efficace deve caratterizzarsi per prossimità, continuità e personalizzazione e da questo non possono prescindere il ripensamento e l’innovazione dei profili professionali, dei percorsi formativi e il riconoscimento delle competenze di chi cura. La figura stessa del titolare del contratto di lavoro di cura si diversifica: dalla stessa persona assistita quando in grado di assumere tale impegno, al caregiver familiare convivente o non convivente, in prossimità o a distanza, con relazioni familiari strette o più lasche (vedi nipoti lontani), fino a una crescente presenza di Amministratori di sostegno, anche esterni al nucleo familiare. È evidente che la natura diversa del “datore di lavoro” in questo particolare rapporto condiziona i livelli di autonomia, i controlli e l’ampiezza della delega.

 

Nonostante il contesto lavorativo prevalente rimanga quello del domicilio, si aggiungono anche altre responsabilità per l’assistente familiare, come l’assistenza (anche notturna) in caso di ricovero ospedaliero, l’accompagnamento ai centri diurni e la fornitura di assistenza nel contesto residenziale delle case-famiglie o delle forme di social housing. Nei contratti viene specificato che l’assistente familiare si occupa direttamente dell’ambiente di vita della persona assistita, distinguendo sempre più chiaramente il suo ruolo da quello di un collaboratore domestico e non, facendo riferimento all’intero nucleo familiare, se presente. Nel corso del tempo, anche le modalità di prestazione dell’assistenza si sono evolute. Inizialmente si faceva ricorso alla convivenza, nota come “24 su 24”, successivamente è stata regolamentata in modo adeguato con l’introduzione di periodi di riposo obbligatori. Ora, le modalità di assistenza tendono sempre di più a essere focalizzate sui compiti specifici, come l’igiene personale, l’aiuto nel momento di coricarsi e l’alimentazione. A ciò si aggiunge la nuova funzione di “operatore di sollievo”2. che innestandosi sulla Contrattazione nazionale la integra e la fa evolvere, affidando al prestatore di cura – al di là della qualifica e profilo – compiti di “facente funzione” fiduciario del caregiver, una funzione che inizia a essere recepita a livello contrattuale territoriale con un apposito profilo e interventi formativi.

 

Infine, il mercato del lavoro dell’assistenza domiciliare, tradizionalmente caratterizzato da aree di irregolarità, illegalità e mancata dichiarazione, ha visto negli anni un rafforzamento e un miglioramento dei livelli di copertura previdenziale e assicurativa (Inps, 2023), così come un aumento del trattamento economico. Tuttavia, queste migliorie non sono state adeguatamente compensate dai vantaggi fiscali per le famiglie. Al tempo stesso, c’è una richiesta crescente – sia da parte di chi offre che di chi domanda lavoro – di maggiore riconoscibilità, visibilità, fiducia e garanzie3. Inoltre, si è verificato un incremento della necessità di prendere decisioni rapide, considerando sempre l’intersezione tra domanda e offerta, e individuando soluzioni che combinino qualità, flessibilità, accessibilità e sostenibilità.

 

Ad oggi, il Legislatore nazionale riconosce e valorizza il contributo di coloro che operano nella cura a domicilio nel sistema del welfare assistenziale, adottando una serie di interventi ben strutturati. Questi includono percorsi formativi sviluppati in collaborazione con le parti sociali, sistemi di supporto4, standard nazionali formativi e il riconoscimento delle competenze derivanti dall’esperienza (Legge 23 marzo 2023, n. 33), mantenendo una chiara distinzione tra il ruolo del dipendente e quello del familiare. In questo caso è importante che non sia discriminato il familiare convivente da quello che presta la sua cura mantenendo una propria vita familiare, magari a distanza, impiegando anche le nuove tecnologie per accompagnare e indirizzare la cura. Questo sforzo di trasparenza e impegno alla qualità e alla competenza del lavoro di cura potrà essere chiave di volta anche per la tanto attesa riforma dell’”indennità di accompagnamento”. Quella che, nei progetti, prevede la trasformazione possibile dell’importo economico in buoni servizio per il contributo di assistenti familiari, ovviamente qualificate riconosciute e regolari (Legge 23 marzo 2023, n. 33). Questa situazione richiede che si tenga conto delle linee evolutive sopra menzionate, sviluppando il profilo professionale in modo coerente e mantenendo una visione d’insieme.

 

Le riflessioni che seguono rappresentano un primo indice delle aree di attenzione che le istituzioni competenti dovrebbero considerare quando si preparano ad integrare, aggiornare e innovare le descrizioni dei profili professionali degli assistenti familiari. Attualmente, tali profili sono rammentati in diverse definizioni regionali e parzialmente aggregati in alcune Ada (Aree di attività) dell’”Atlante nazionale delle professioni”5. Queste riflessioni sono emerse, ad esempio, dalle richieste dei caregiver familiari raccolte negli anni in oltre mille casi, attraverso lo sportello di incrocio domanda/offerta messo in campo dall’Unione dei Comuni delle Terre d’Argine nel quadro dei suoi servizi a supporto della domiciliarità, nelle attività dell’Associazione Carer6. Inoltre, sono frutto della partecipazione a molteplici interventi formativi in dieci regioni con diverse migliaia di assistenti familiari, all’ascolto degli operatori di agenzie per il lavoro private e del terzo settore, nonché al confronto con le migliori esperienze europee in decine di progetti di ricerca e sperimentazioni innovative.

 

Nuove aree di competenza

È necessario introdurre un corpus di competenze in grado di rispondere alla sempre più forte richiesta di investimento sulla cosiddetta “umanizzazione delle cure”. Questo implica riconoscere l’importanza dei valori come la dignità, l’autonomia, la qualità della vita, la privacy e la cura dell’assistito con comportamenti eticamente coerenti e valorizzanti. Il paradigma della malattia nell’invecchiamento con la multi-morbilità e disabilità concomitanti rischia di frammentarsi in una miriade di atti sanitari (Giunco, 2019). Nel contesto della gestione delle patologie croniche, l’umanizzazione delle cure non si limita a gentilezza, buone maniere e sensibilità (che comunque sono condizioni necessarie), ma costituisce la natura stessa della cura (care) che valorizza le cure (cure) a partire dal livello di adesione alle cure (compliance) e a buoni stili di vita, promuovendo il benessere inteso come equilibrio nell’evoluzione del percorso di vita (Inapp, 2022).

 

È fondamentale non dimenticare, in una società sempre più multiculturale e complessa, l’importanza di riconoscere il valore delle differenze e di combattere i rischi di esclusione. La crescita esponenziale delle difficoltà cognitive7 richiede di affrontare  adeguatamente  il decadimento connesso all’età e comporta attività di sostegno relazionale svolte nel contesto domiciliare, come parte integrante del tempo di “normale quotidianità”. Questi momenti rappresentano opportunità di benessere e occasioni per conferire significato al tempo, identificando specifiche attività funzionali di attivazione (attenzione, memoria, orientamento, prassia…) e mantenendo livelli di qualità e significatività attraverso l’utilizzo di strumenti e metodologie adeguate. In quest’ambito anche la formazione al linguaggio di cura in italiano sarà elemento da integrare per consentire un accesso qualificato al mercato dal lavoro anche ai lavoratori immigrati.

 

Pratiche sanitarie e somministrazione di farmaci

È evidente che il crescente trasferimento, da parte del sistema sanitario, di interventi, pratiche, strumentazioni di sostegno e prescrizioni farmacologiche nel domicilio del paziente, al fine di assicurare il mantenimento di condizioni accettabili e compensate nel lungo termine, ha imposto ai familiari e agli assistenti familiari funzioni essenziali per garantire la continuità di cura. Questo richiede con continuità ciò che i francesi chiamano “gesti sanitari”. La vexata quaestio della somministrazione dei farmaci viene evitata nella maggior parte dei profili professionali e viene affrontata in alcuni repertori di competenze con formulazioni quantomeno tautologiche: si fa riferimento ad attività previste purché “non richiedano procedure specifiche”8.

 

Nel contesto normativo attuale, ci sono conseguenze penali sia per l’errata somministrazione di farmaci che nel caso in cui non vi sia un danno effettivo, ma sia configurato come “esercizio abusivo della professione “. Il Ministero della Salute ha adottato dispositivi normativi, come nel caso della bronco aspirazione, in collaborazione con le Regioni, al fine di impegnare gli operatori sanitari a una sorta di “certificazione” dei caregiver (professionisti e familiari) nell’uso delle apparecchiature. Tuttavia, queste misure non risolvono il problema, ma indicano una possibile soluzione. La questione richiede un intervento normativo simile a quello recentemente presentato in Belgio, che distingue le attività che possono essere svolte senza “certificazione” da quelle che richiedono una formazione specifica da parte di ciò che viene definito un caregiver “qualificato”(Horowitz, 2023).

 

Diversificazione per patologie

Dato il vasto numero di persone assistite , che includono anziani, portatori di patologie invalidanti e cronico degenerative, con impatti diversificati in termini di indicatori e sintomi e nelle modalità assistenziali, può essere opportuno individuare un livello di approfondimento sotto forma di formazione continua per gruppi omogenei di patologie. Inoltre, come già previsto in alcuni repertori, è necessario porre sempre maggiore attenzione al tema ambientale, sia in relazione allo smaltimento dei rifiuti che dei farmaci. In particolare, in un contesto di rischio pandemico persistente, è fondamentale prestare particolare attenzione al tema della prevenzione della diffusione e trasmissione delle infezioni.

 

L’impatto della tecnologia come fattore di trasformazione delle pratiche di lavoro

L’impatto della tecnologia come fattore di trasformazione delle pratiche di lavoro è ormai riconosciuto come fattore endemico di cambiamento. Questo è particolarmente evidente nel mondo dell’assistenza, dove la pervasività della tecnologia è crescente. Da un lato, la tecnologia consente di gestire con meno fatica, più sicurezza e qualità, le funzioni assistenziali tradizionali come l’eliminazione delle barriere nell’edificio e nell’alloggio, ambienti e attrezzature fruibili e sicure, impianti e tecnologie di controllo ambientale, supporti di assisted e active living, ad esempio, nell’abbigliamento e nella mobilità9. Dall’altro lato, la tecnologia modifica le modalità di connessione ai servizi tramite la telemedicina, la teleassistenza, il telemonitoraggio e la sicurezza, così come le modalità di compagnia attraverso l’utilizzo di robot socially assistive. Inoltre, la tecnologia permette un accesso facilitato alle informazioni finalizzate al miglioramento delle cure attraverso progetti di apprendimento continuo online10. La considerazione dell’impatto delle nuove tecnologie sulle modalità assistenziali è sempre più necessaria nella progettazione dei profili professionali e, di conseguenza, nel processo di apprendimento necessario per affrontare questi cambiamenti.

 

Per quanto riguarda l’assistente familiare, diventa essenziale fornire una formazione riguardante gli strumenti, le loro funzionalità e mantenerlo aggiornato sulle modalità di impiego efficace di tali strumenti. Si riportano alcuni esempi di questi strumenti:

  • applicazioni per gestire scadenze, orari di somministrazione e disponibilità farmaci;
  • applicazioni a supporto alle tecniche di rilassamento e respirazione per favorire l’idratazione;
  • uso di “assistenti virtuali” basati sull’intelligenza artificiale per stimolare le funzioni cognitive e combattere a domicilio i rischi di isolamento ;
  • utilizzo dei dispositivi indossabili per il monitoraggio del benessere;
  • comunicazioni online tramite applicazioni come WhatsApp dedicate e mirate ai caregiver familiari o ai medici;
  • impiego di mappe digitali per i trasporti e l’accompagnamento all’esterno;
  • utilizzo delle funzioni del fascicolo sanitario elettronico e gestione delle prenotazioni di visite ed esami.

 

Dato che la formazione dei caregiver familiari rientra negli obiettivi del legislatore, è fondamentale valorizzare il loro ruolo non solo come assistenti, ma anche, con percorsi specifici, la sua funzione in qualità di datore di lavoro e referente per gli obiettivi organizzativi, per il modello del mix assistenziale, nel supporto alla gestione delle “pratiche burocratiche”, attraverso un sistema di deleghe formalizzato. È importante sottolineare che la conoscenza da parte del caregiver delle funzioni assistenziali di base è cruciale sia per assicurare continuità e integrazione, sia per consentire loro di valutare meglio la qualità delle prestazioni dell’assistente e degli altri operatori di cura.

 

Il legislatore ha aperto la strada al riconoscimento delle competenze acquisite dal caregiver nella sua esperienza, come già previsto da alcune norme regionali11. Importante sottolineare come la fonte dell’esperienza nel lavoro di cura possa essere riconosciuta in base alle modalità e forme di partecipazione al Pai (Piano assistenziale individualizzato) dell’assistito, “certificata” dai servizi sociosanitari in relazione al suo riconoscimento come caregiver12.

 

Modalità del percorso formativo

La durata del percorso e le modalità della sua fruizione hanno generato numerosi problemi per l’effettiva efficacia degli interventi formativi nel settore. Questi rischi di insuccesso sono in contrasto con la crescente domanda di formazione come “riconoscimento di visibilità”. Il numero di ore previsto nelle diverse regolamentazioni regionali13è differenziato fra le 100 e le 200 ore, mentre il percorso promosso dal Fondo interprofessionale EBINCOLF ha una durata di 64 ore e promette al termine la possibilità di una “certificazione” a Norme Uni14.

 

Per quanto concerne le modalità di partecipazione ai percorsi formativi, le disposizioni regionali prevedono, in diversi casi, la realizzazione di “attività pratiche” (in alcuni casi il 30/35% del totale delle ore previste). Tuttavia, risulta complesso definire come includere tali attività nel percorso, in quanto la forma di stage per le persone non occupate presuppone l’individuazione di una organizzazione ospitante, la più affine delle quali potrebbe essere un Servizio di assistenza domiciliare (SAD), con le difficoltà operative immaginabili. Si sono incontrate difficoltà nelle esperienze applicative anche per quanto attiene al riconoscimento e certificazione delle competenze acquisite nell’esperienza, nel quadro delle procedure e dei servizi pubblici previsti dalle regolamentazioni regionali nel quadro del Sistema nazionale del Dlgs 13/2013, al di là di coraggiose e positive esperienze15. Anche la messa a regime di “Registri regionali o territoriali di assistenti familiari”, strettamente collegata ai percorsi di riconoscimento e validazione, in molti casi si è spenta con la conclusione del progetto, dei finanziamenti ad esso collegati che l’avevano fatta nascere16. Una nuova progettazione, che abbia l’ambizione di dare qualità, dignità e riconoscimento al ruolo di assistente familiare e all’impegno di cura messo in campo dai caregiver familiari attraverso un nuovo profilo nazionale, percorsi formativi di qualità e riconoscimento delle competenze comunque acquisite, non può prescindere dal prendere in considerazione la dimensione del fenomeno.

 

La condizione delle persone non autosufficienti affette da patologie cronico-degenerative in un contesto di “long term care” è riconducibile a 3,8 milioni di cittadini in larghissima parte assistiti a domicilio da 2,3 milioni di familiari (con impegno oltre le 20 ore settimanali) e, si stima, da 1,5 milioni di assistenti familiari (di cui circa 900.000 regolari). Ci troviamo davanti a numeri enormi. Stimando in 150.000 all’anno (sulla base del turn-over connesso alla durata media della cura a lungo termine)17i caregiver familiari disponibili effettivamente al rientro o ad un riposizionamento sul mercato del lavoro e in 250.000 (Boccaletti, 2022) gli assistenti familiari coinvolgibili, si può prevedere che un significativo intervento, che sia visibile e in grado di incidere sul mercato del lavoro, debba riguardare ogni anno almeno 100.000 persone per i prossimi 5 anni. Quindi, è necessario che le forme e le modalità formative e di valorizzazione delle competenze debbano essere sostenibili economicamente, accessibili e in grado di conciliare lavoro e vita quotidiana.

 

Sulla durata dei percorsi è evidente che l’ ampia gamma dei contenuti di base (igiene, alimentazione cura della persona, salute, relazione e comunicazione…), ulteriormente arricchita dalle tematiche sopra proposte (umanizzazione delle cure, “gesti “sanitari, accompagnamento relazionale e nuove tecnologie della cura…), non consente di  comprimere la durata, pur  non essendo richiesta una conoscenza a fondo dei principi e delle teorie,  quanto degli effetti e del loro concatenarsi nella pratica  assistenziale. Potrebbe essere interessante allora mettere in campo, sull’esempio di quanto previsto dal modello europeo ECVET18dei “mattoncini di competenza”, descritti come learning outcomes, componibili anche in relazione alle caratteristiche dell’assistito e riconoscibili attraverso un sistema  di attestazione a badge da garantire con sistemi tipo “block chain.In un percorso di “formazione continua” attestata e riconoscibile, magari riesumando il modello del “libretto formativo19ovviamente digitalizzato. Per le persone che già lavorano (o hanno lavorato) si potrebbe prevedere almeno un datore di lavoro in grado di attestare le esperienze acquisite e impiegare anche la nuova funzione attribuita ai PAI come allargamento della base dei soggetti “attestanti”, anche al di fuori del sistema formativo accreditato. Per questo sarà necessario definire degli standard di verifica basati su learning outcomes formalizzando indicatori e prove standard basate sui criteri europei  di qualità previsti dal CEDEFOP20, cioè percorsi: accessibili, replicabili a basso costo e omogenei in grado di garantire equità di valutazione.

 

In questo mercato del lavoro, così fluido e semisommerso ma nel quale qualità significa miglioramento dell’intero sistema di welfare del paese, sarà importante (nel rispetto delle normative) dare valore e riconoscimento a quella parte del sistema di certificazione che è il “riconoscimento e validazione”, al servizio di  una  nuova rete  pubblico/privata e del terzo settore di “punti accreditati” che faccia dell’incrocio domanda offerta di  lavoro cura un’occasione di fiducia, garanzia, inclusione e qualità. Questo nuovo sistema (un vero e proprio piano Marshall per una leva di nuove competenze di cura) non potrà fare a meno dell’impiego massiccio delle nuove tecnologie per l’apprendimento, sia per “smaterializzare le “lezioni” di aula, sia per un impiego di strumenti di autoformazione online interattivi e coinvolgenti controllati attraverso test rigorosi di apprendimento che sostengano in back office” il “monte ore” richiesto, simulazioni e prove on line, studio di casi con percorsi decisionali alternativi. Tutto ciò consentirà, oltre ad assicurare migliore conciliazione e accessibilità, una riduzione significativa dei costi21, permettendo di estendere in modo capillare la rete dei punti di accesso al riconoscimento, adeguamento e sviluppo delle nuove competenze di cura.

 

Un ruolo decisivo può essere ricoperto dalla recente Legge Delega, la quale prefigura un ruolo importante dell’assistente familiare nel sistema delle risorse assistenziali e indica la necessità di un unico profilo professionale nazionale e di nuovi percorsi formativi. La sfida è di assicurare che queste nuove competenze siano apprese (anche tramite l’esperienza), riconosciute e valorizzate in una dimensione significativa in grado di incidere rapidamente sul mercato del lavoro. Un progetto centrato sui risultati di apprendimento, su moduli “componibili e integrati” in grado di impiegare al massimo le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione. In questo contesto tanti caregiver familiari, terminato l’impegno di cura, potranno accedere a questo mercato del lavoro portando in dote un ulteriore patrimonio di competenze acquisite.

Note

  1. Si fa riferimento di seguito al più rappresentativo Contratto Collettivo Nazionale sulla disciplina del rapporto di Lavoro Domestico, stipulato tra le associazioni datoriali, ovvero FIDALDO, costituita da ASSINDATCOLF, Nuova Collaborazione, Adlc, Adld, e Domina e le organizzazioni sindacali dei lavoratori, Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, Uiltucs-Uil e Federcolf.
  2. Si fa riferimento al “Memorandum del 13/12/21 su Profilo organizzativo, percorso formativo e attestazione di competenze dell’operatore per il sollievo a domicilio del caregiver familiare” firmato da Unione dei comuni delle terre d’argine, Anziani e non solo, Synergie italia s.r.l. e Umana s.p.a. (Agenzie per il lavoro) con Camera del lavoro/Cgil di Carpi, Cisl di Zona Carpi/Correggio, Nidil /Cgil di Modena.
  3. A questa domanda prova a fare fronte l’iniziativa di Ebincolf (Ente Bilaterale Nazionale del Comparto Datori di Lavoro Collaboratori Familiare) che certifica le professionalità degli assistenti familiari sulla base della norma UNI 11766:2019 “Attività professionali non regolamentate. Assistente familiare: colf, baby-sitter, badante – Requisiti di conoscenza, abilità e competenza”.
  4. Si fa riferimento a: Legge 30 dicembre 2021 n. 234; Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022; Bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024; DPCM 3 ottobre 2022, adozione del Piano per la non autosufficienza 2022-2024.
  5. Attualmente sono vigenti “qualificazioni” nel profilo Assistente familiare (o definizioni assimilabili) nelle Regioni: Abruzzo, Lazio, Liguria, Piemonte, Sicilia, Umbria, Basilicata, Campania, Puglia, Veneto, Sardegna, Calabria, Toscana, Trento e Valle d’Aosta. Mentre nell’Atlante nazionale del lavoro sono presenti due Ada: ADA.20.02.01- Svolgimento di attività di assistenza a soggetti non autosufficienti e ADA.19.02.15- Realizzazione di interventi assistenziali volti a favorire la domiciliarità dei soggetti deboli con necessità assistenziali limitate.
  6. Un’associazione che si batte da dieci anni per i diritti dei caregiver familiari.
  7. Uno studio del 2020, condotto dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS, ha dimostrato che l’incidenza della demenza (i nuovi casi in un determinato periodo) continua a crescere anche nelle età più avanzate, Attualmente in Italia si registrano circa 350.000 nuovi casi di demenza ogni anno, due terzi dei quali fra i grandi anziani di 80 o più anni.
  8. Art.348 C.P. Abusivo esercizio di una professione. “Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da lire duecentomila a un milione. Vedi regime regolato dal D.P.R. 14 marzo 1974, n. 225 e dalla L. 26 febbraio 1999, n. 42.
  9. Il Governo Federale del Belgio ha infatti approvato nel febbraio 2023 il Disegno di legge “caregiver qualificato”. Lo status di caregiver qualificato dovrebbe vedere la luce alla fine di settembre 2023.
  10. Vedi Outthink Aging, ricerca di IBM e della Consumer Technology Association (CTA) Foundation.
  11. Vedi dell’art. 6 L.R 2/2014 dell’Emilia Romagna riconoscimento competenze dei caregiver familiari.
  12. Il ruolo del PAI come nodo programmatorio di base dei percorsi assistenziali è riconosciuto nella Determina Regionale n.15.465 dell’Emilia Romagna in attuazione della L.R.2/2014 ed è anche individuato nella legge 23/03/23 n. 33 (Legge Delega) comma 164 “.
  13. La durata è di 120 ore in Campania e in Puglia, in Lombardia il percorso base è di 100 ore, nelle Marche 110, 200 ore in Sardegna,  300 ore in Toscana, poi ridotto a 200.
  14. A norma dell’articolo 4, comma 58, della Legge 28 giugno 2012, n. 92.
  15. Vedi esperienza realizzata nella Regione Liguria e nella Provincia Autonoma di Trento
  16. Una recente overview ha consentito di verificare che in oltre un decennio poco è cambiato rispetto a quanto rilevato da Giselda Rusmini (2012).
  17. I caregiver familiari in età lavorativa e impegnati per oltre 20 ore settimanali sono 1,49 milioni (ISTAT, 2021) e prevedendo una disponibilità potenziale sul mercato dal lavoro per termine della cura del 20% di questi ed effettiva della metà di loro avremmo ogni anno circa 150.000 persone.
  18. Il modello ECVET (European Credit system for Vocational Education and Training) è un sistema europeo di riconoscimento e trasferimento dei crediti per l’istruzione e la formazione professionale.
  19. art.2, comma 1, lettera i) del D.Lgs. 276 /2003“«libretto formativo del cittadino».
  20. Il CEDEFOP (Centro Europeo per lo sviluppo della formazione professionale) ha definito le “Linee guida europee per la convalida dell’apprendimento non formale e informale”.
  21. Una stima basata sull’esperienza pluriennale acquisita dalla cooperativa Anziani e non solo in progetti formativi con modalità di apprendimento ibrido: presenza, online (sincrono e asincrono) e autoformazione in cloud, consente di prevedere la riduzione dal 30 al 40% dei costi rispetto alla formazione tradizionale di aula.

Bibliografia

Boccaletti F. (2022), Care Learning open net: per una rete aperta votata al riconoscimento dell’apprendimento di cura attraverso microlearning -open badgeblock chain, in I luoghi della cura, n.5 27 novembre (www.iluoghidellacura.it).

Giunco, F. (2019), Sono vecchio, ma già da un po’. La provocazione della normalità, in Mazzucchelli F. (a cura di), Essere anziani oggi, Franco Angeli.

Horowitz, J. (2023), “Chi si prenderà cura degli anziani? I robot forse? in The New York Times 25 marzo, (www.nytimes.com)

Inapp, (2022), Lavoro e Formazione: l’Italia di fronte alle sfide del futuro. Focus su Stato dell’arte e traiettorie future in tema di non autosufficienza.

Inps, (2023), Lavoratori domestici, in Statistiche in breve

Istat, (2021), Ricerca EHIS Rapporto sulle condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari in Italia e nell’Unione Europea. Dati 2019.

Legge 23 marzo 2023, n. 33, Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane.

Rusmini, G. (2012), I registri delle assistenti familiari: quantità o qualità?, in Qualificare, n.32.

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