1 Dicembre 2010 | Professioni

Infermieri stranieri in Italia

Infermieri stranieri in Italia

Il contesto nazionale

In Italia, soprattutto nel Centro-Nord, vige una grave carenza di personale infermieristico. Secondo l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) il rapporto tra personale infermieristico e popolazione dovrebbe essere attorno a 6,9 infermieri ogni mille abitanti. L’Italia,con 5,4 infermieri ogni mille abitanti si colloca nelle ultime posizioni europee, dopo Islanda, Irlanda, Olanda (13 per mille abitanti) e seguita da Corea, Turchia, Messico, Grecia (4 per mille abitanti). Abbiamo, inoltre, a differenza degli altri Paesi industrializzati, un numero di medici (354.000) superiore a quello degli infermieri (342.000):basti pensare che in Italia vi è un medico ogni 165 abitanti (FNOMCEO, 2006) per cui l’incidenza percentuale è dello 0,60 (Blasi, 2010).

 

Secondo la Federazione Nazionale dei Collegi degli Infermieri Professionali, Assistenti Sanitari e Vigilatrici di Infanzia – IPASVI – (2006), l’ordine professionale di categoria, gli infermieri attivi sono in totale 342.000, di cui il 70% opera all’interno del sistema sanitario nazionale (SSN), il 20% presso strutture private e il 10% come liberi professionisti. Il numero degli iscritti, tuttavia, sta registrando una progressione importante: infatti, si è passati da 134.449 iscritti nel 1985 a 338.245 nel 2004. Nonostante questo lento ma progressivo incremento negli anni, l’Italia necessita di ulteriore personale infermieristico. Nell’ultimo dossier statistico sull’immigrazione edito dalla Caritas/Migrantes (2006) viene indicata una stima del fabbisogno di nuovi infermieri sulla base dei dati forniti dal Ministero della Salute: esso afferma che nel 2004 tale fabbisogno è oscillato tra le 62.000 e le 99.000 unità (circa 37.000 nel Nord, 15.000 nel Centro, 31.000 nel Sud e 14.000 nelle Isole). L’ipotesi massima si basa sul calcolo del fabbisogno di infermieri stimato sulla media auspicata dall’OCSE del 6,9 per mille abitanti. A livello regionale le situazioni più critiche si registrano in Lombardia (-12.000 infermieri) e in Campania (-10.000). Altre regioni che necessitano di nuovo personale infermieristico sono Sicilia (-7.700), Piemonte (-7.500), Calabria (-5.000), Lazio (-4.600), Puglia (-4.100), Trentino Alto Adige (-3.500) e Veneto (-3.200).

 

L’emergenza è tale che nel 2005 il governo ha autorizzato, con un decreto, la riassunzione dei pensionati o, ancora, il pagamento, con tariffe da liberi professionisti, delle prestazioni extra-orario di chi è di ruolo (Caritas Migrantes, 2006), e nel 2008 il ministero della Salute ha siglato un accordo con le università perché aumentino i posti disponibili nelle facoltà di scienze infermieristiche. La soluzione più efficace per colmare il deficit appare comunque l’assunzione di infermieri stranieri, tanto che nel triennio 2005-2007 gli infermieri immigrati iscritti ai Collegi sono quadruplicati passando da 6.735 a 30.639 unità in tutta Italia. Tra i Paesi più rappresentati vanno annoverati la Polonia, la Romania e la Bulgaria in Europa, il Perù, la Colombia, il Brasile in America Latina, la Tunisia in Africa, l’India in Asia. La distribuzione degli infermieri stranieri nel territorio italiano non è però uniforme; essa è pari all’1112% nel Centro-Nord, mentre scende al 5% nel Sud. In alcuni casi la loro concentrazione raggiunge quote importanti: è il caso di Trieste, dove il 10% di infermieri è di nazionalità slovena, o di grandi strutture private, come il San Raffaele di Milano, che conta il 18% di infermieri non italiani, o ancora di numerose residenze sanitarie assistenziali del territorio lombardo che accolgono molti infermieri stranieri sia in regime di di pendenza che con altre forme contrattuali (soprattutto cooperative).

 

Il lavoro in RSA e a domicilio (in molti casi iniziando come “badanti”) rappresenta spesso il primo impiego in Italia. Molto interessanti sono le stime del fabbisogno espresse dalle aziende del settore sanitario privato. Nell’indagine annuale Excelsior (Unioncamere, 2010) risulta che, a causa della crisi, la variazione occupazionale tra luglio 2009 e giugno 2010 sarà negativa; sono infatti previsti 102 mila dipendenti in meno (-0,9%), anche se sanità e servizi sanitari privati rientrano tra i cinque settori a migliore tenuta occupazionale registrando una flessione pari allo 0,3%. Nonostante il calo delle assunzioni (ne sono previste 4.480), ben il 60% risulta di difficile reperibilità in quanto queste figure professionali sono scarsamente presenti sul mercato.

 

Il contesto lombardo e milanese

I risultati ottenuti dall’indagine, condotta dal Coordinamento dei 10 Collegi IPASVI della Regione Lombardia, indicano che complessivamente gli infermieri italiani e stranieri iscritti agli Albi della regione Lombardia, al 31 dicembre 2009, sono pari a 53.916 unità (di cui circa 4.000 stranieri) a cui si sommano 1.023 infermieri pediatrici. Si evidenzia, pertanto, che i 9.742.676 cittadini residenti in Lombardia al 31 dicembre 2008 potevano contare su una presenza di 5,6 infermieri ogni 1000 abitanti, dato ben al di sotto della media nazionale, che si attesta al 6,2/1000, o di quella europea, pari a 8,9 infermieri per 1.000 abitanti (dati OCSE).

 

Secondo i dati forniti dal Collegio Ipasvi di Milano Lodi, il totale del numero degli infermieri iscritti all’albo nel primo semestre del 2009 è pari a 21.000: di questi, circa il 10% è composto da personale straniero (1200 comunitari e 1000 extracomunitari). Rispetto alla provenienza degli infermieri la situazione si presenta come segue:

  • Africa: 12,64%;
  • America del Nord: 0,24%;
  • America centrale: 1,08%;
  • America del Sud: 51,26%
  • Asia: 13,00%;
  • Europa: 21,78%.

I singoli paesi maggiormente rappresentativi sono Perù (315), Albania (103), Tunisia (57), Filippine (52) e Colombia (45).

 

Il percorso legislativo

L’assunzione di personale infermieristico straniero è stata sempre considerata un modo per coprire il gap tra domanda e offerta. Gli interventi normativi che hanno preso in considerazione la struttura giuridica di questo fenomeno economico-sociale risalgono alla fine del 1989. Il decreto n.416 del 30 dicembre 1989, poi convertito con modificazioni nella Legge n.39 del 28 febbraio 1990, (legge Martelli) prevede la possibilità di impiegare lavoratori extracomunitari per l’esercizio di profili professionali infermieristici nell’ambito del SSN e di stipulare con i lavoratori interessati contratti biennali di diritto privato. Esso stabilisce, inoltre, che i cittadini extracomunitari in possesso di laurea o di diploma conseguiti in Italia, o che abbiano riconoscimento legale del titolo conseguito all’estero, hanno il diritto di sostenere gli esami di abilitazione professionale o di chiedere l’iscrizione negli albi professionali, in deroga alle disposizioni che prevedono il possesso della cittadinanza italiana.

 

Una circolare del Ministero della Sanità del 1995 sostiene che le strutture sanitarie locali devono verificare, per l’esercizio della professione infermieristica, il possesso dei titoli abilitanti sia per i cittadini comunitari che per gli extracomunitari, specificando che l’esercizio dell’attività professionale sanitaria, in assenza di titolo abilitante o con titolo abilitante all’estero non riconosciuto dal Ministero della Sanità, costituisce esercizio abusivo della professione. Alla stessa conclusione si giunge anche nel caso in cui non sia stata effettuata l’iscrizione all’Albo professionale. La circolare specifica che per l’iscrizione agli albi è richiesta la cittadinanza italiana o quella di uno Stato dell’Unione Europea; pertanto i cittadini extra-comunitari non possono essere iscritti presso questi albi, salvo nel caso in cui non sussistano accordi internazionali bilaterali di reciprocità.

 

Successivamente, la legge del 6 marzo 1998 n.40 (Turco-Napolitano, 1999) congela il requisito della cittadinanza italiana consentendo, di fatto, l’iscrizione agli ordini o collegi professionali agli stranieri (comunitari ed extracomunitari) regolarmente soggiornanti. Può quindi iscriversi chi è in possesso di titolo abilitante all’esercizio di una professione conseguito in Italia, o in possesso di un titolo riconosciuto se conseguito all’estero. La circolare del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale n. 53/2001 ha disposto che gli Sportelli Unici presso le Prefetture rilascino le autorizzazioni al lavoro per l’ingresso di infermieri purché in presenza del riconoscimento da parte del Ministero della Sanità del titolo professionale conseguito all’estero. La legge del 30 luglio 2002 n.189 (Bossi-Fini) ha riformato la disciplina delle leggi precedenti, eliminando di fatto qualsiasi limite legato all’accesso a questa professione a causa della cronica carenza di infermieri e sottraendo gli extracomunitari addetti a questa attività alle norme sui flussi. Il decreto del Ministero della Salute 18 giugno 2002 autorizza le regioni Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto e le provincie autonome di Trento e Bolzano a compiere gli atti istruttori di verifica per il riconoscimento dei titoli abilitanti all’esercizio di una professione sanitaria conseguita in Paesi non appartenenti all’Unione Europea. Al termine dell’istruttoria, la copia della documentazione relativa ad ogni singola domanda di riconoscimento viene inviata al Ministero della Salute, Direzione Generale delle Risorse Umane e delle Professioni Sanitarie, che provvede alle opportune verifiche.

 

Il decreto di riconoscimento del titolo, o del diniego, una volta adottato, è trasmesso all’interessato all’indirizzo indicato, e contestualmente viene informato l’Ente che ha istruito la pratica. Con tale decreto il passaggio al Ministero della Salute non risulta eliminato e nel contempo il procedimento amministrativo prevede un ulteriore passaggio alle Regioni.

 

Inserimento degli  infermieri stranieri nelle strutture sanitarie

Nonostante la Legge Bossi-Fini (Legge n. 189 del 30 luglio 2002) abbia introdotto una “corsia preferenziale” per gli infermieri extracomunitari, il loro accesso alle strutture pubbliche rimane ostacolato dai requisiti richiesti per accedere ai concorsi pubblici, in particolare il requisito di cittadinanza (D. Lgs.n. 502 del 30 dicembre 1992 e successive modifiche). Tuttavia, l’inserimento nelle strutture pubbliche, seppure non in organico, è possibile in altre forme, o attraverso una chiamata diretta con un contratto a tempo determinato o tramite l’assunzione da parte di cooperative appaltatrici di servizi infermieristici riconosciute dal Ministero della Salute, o anche tramite le agenzie interinali di lavoro abilitate dalla nota legge Biagi (Legge 14 febbraio 2003, n. 30 e successive norme operative) a operare direttamente anche all’estero.

 

Le cooperative possono inserirsi nel mercato sanitario solo gestendo in appalto intere strutture o singoli reparti, mentre le agenzie interinali possono effettuare un vero e proprio affitto di manodopera che va a compensare temporanee carenze di personale. Sono note le problematiche legate a queste ultime forme di inserimento nelle strutture, ove spesso si assiste ad un vero caporalato. Gli stranieri extracomunitari possono altresì essere assunti da presidi ed istituzioni private con contratto di diritto privato a tempo determinato e/o indeterminato. Secondo i dati dell’Istituto Nazionale Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL) negli anni 20032004 le assunzioni di infermieri non comunitari nel sistema sanitario italiano privato sono così ripartite: – Nord Ovest: 3420; – Nord Est: 3090; – Centro: 1371; – Sud: 500; – Isole: 164. I dati di Unioncamere (2004) forniscono ulteriori indicazioni riguardo al personale straniero solitamente assunto presso strutture sanitarie private; ad essere richiesto è generalmente il personale giovane (tra i 25 ed i 30 anni) che, nei due terzi dei casi, ha un contratto a tempo indeterminato e in un quinto ha un contratto a tempo parziale. Le assunzioni sono destinate nel 27,3% dei casi alle donne, nel 6,8% agli uomini e nell’86,9% ad entrambi i sessi; nei quattro quinti dei casi viene richiesta un’esperienza pregressa anche generica e limitata ad un solo anno (solitamente questo periodo basta nel 52% dei casi).

 

Secondo una ricerca Ires-Cgil il giro d’affari per le agenzie interinali che si occupano di reclutare infermieri dall’estero e di portarli in Italia è attorno ai 300 milioni di euro l’anno (Pasotti, 2009). Negli ultimi anni tutti gli Stati stanno promuovendo politiche volte a coprire il gap esistente tra domanda e offerta: Regno Unito, Finlandia e Irlanda, ad esempio, prevedono un periodo di adattamento e/o di supervisione iniziale. Molti Paesi si sono serviti e si servono di specifici programmi per facilitare l’integrazione di operatori sanitari stranieri. Il governo del Canada ha investito 75 milioni di dollari canadesi (ad oggi circa 53 milioni di euro) per integrare completamente 1.000 medici e 500 operatori sanitari che si trasferiranno in Canada nei prossimi cinque anni. L’Australia ha finanziato programmi di acquisizione delle competenze realizzando risultati molto positivi. In Portogallo esiste un programma supportato da organizzazioni non governative, che assistono gli infermieri immigrati nell’ottenimento del diploma. In Italia, nonostante gli sforzi normativi per il soggiorno e l’assunzione di infermieri stranieri, a differenza dei Paesi sopracitati non vi sono, a livello governativo generale, misure atte a favorire l’inserimento di personale infermieristico straniero nelle strutture sanitarie pubbliche.

 

La situazione della Lombardia, e di Milano in particolare, non fa eccezione rispetto al contesto generale, anche se alcune singole strutture si stanno muovendo con iniziative isolate per migliorare la situazione. Ad esempio, l’azienda lombarda per l’edilizia residenziale (ALER), l’azienda che gestisce buona parte del patrimonio di edilizia pubblica del capoluogo, consegna all’azienda ospedaliera Fatebenefratelli 36 monolocali; si tratta di miniappartamenti inferiori ai 28 metri quadrati che per legge possono essere dati in affitto solo temporaneamente. Di qui la decisione di firmare patti con gli ospedali per metterli a disposizione degli infermieri, spesso in difficoltà per il caro-affitti. “Su 800 infermieri che lavorano nel nostro ospedale, già ottanta hanno fatto richiesta – spiega Gerolamo Corno, direttore generale del Fatebenefratelli –. Sono appartamenti nei quartieri qui intorno”. Il canone mensile sarà di circa 200 euro e gli infermieri potranno rimanervi per 18 mesi. Accordi simili ci sono già col San Paolo, il Sacco e il San Carlo Borromeo” (Pierandrei, 2009).

 

La politica del Consiglio Direttivo del Collegio Ipasvi Milano-Lodi, espressa attraverso l’organizzazione di diverse iniziative in questi ultimi anni a cura di una commissione ad hoc, è sempre stata quella di considerare la componente degli iscritti stranieri come un’importante risorsa per la crescita professionale, una ricchezza e un valore aggiunto alla categoria, nonostante le problematiche legate all’inserimento nelle strutture, in particolare quelle linguistiche. La presenza, da oltre dodici anni all’interno del suddetto Consiglio Direttivo, di un consigliere di origine straniera, l’apertura di uno sportello di ascolto per gli iscritti stranieri e le numerose vendite all’estero del “Manuale della professione infermieristica”, predisposto proprio dall’ordine professionale di Milano e oramai alla terza ristampa, ne sono esempi significativi.

 

Le seguenti riflessioni del Presidente dell’Ordine spiegano meglio i continui sforzi del Consiglio Direttivo: “Il fenomeno dell’immigrazione sta divenendo sempre più pressante e importante, e molti sono gli infermieri che cercano nel nostro Paese uno sbocco professionale attinente al percorso formativo intrapreso. L’iter d’inserimento lavorativo è anche un viatico d’integrazione. Per l’ammissione all’albo (condizione essenziale per accedere alla professione) è necessario l’apprendimento della lingua italiana, che diventa quindi il presupposto per approfondire e conoscere gli aspetti più significativi della professione infermieristica in Italia: pratiche, consuetudini, normativa, linguaggi, ma anche organizzazione delle attività e strumenti a disposizione. Superato questo esame bisogna poi dimostrare di conoscere a fondo la deontologia. L’inserimento lavorativo dei nostri colleghi provenienti da lontano deve essere efficacemente presidiato, a tutela naturalmente dei degenti, ma anche in vista di un’integrazione agevole e graduale” (Muttillo, 2010). Inoltre, i processi di integrazione degli infermieri stranieri risulteranno più efficaci se sono considerate e comprese le loro singole culture e se sono conosciuti i percorsi di formazione vigenti nei vari paesi. Il loro inserimento non può essere lasciato al caso, ma presidiato e guidato da uno o più infermieri tutor nel medio-lungo periodo.

 

L’apporto di forza lavoro straniera rappresenta certamente per il nostro Paese una fonte indispensabile affinché possa essere garantito un adeguato servizio, data la situazione di forte carenza di personale infermieristico. In effetti, se “gli infermieri stranieri decidessero un giorno di scioperare, in Lombardia sarebbe il caos” (Muttillo, 2010). D’altra parte, il fenomeno della mobilità nazionale e internazionale degli infermieri (soprattutto stranieri che dopo pochi anni di servizio mirano al rientro nel proprio paese d’origine) è un ulteriore elemento che riduce la presenza infermieristica nelle strutture sanitarie, soprattutto del Nord e della Lombardia. È chiaro che, per quanto gli stranieri siano una risorsa importante, non possono soddisfare da soli il fabbisogno infermieristico. Occorrono politiche che prendano in considerazione non solo la formazione di base, ma anche l’organizzazione e la gestione del personale all’interno delle strutture sanitarie, sia in termini quantitativi ma anche e soprattutto in un’ottica qualitativa.

Bibliografia

Blasi S. Il personale infermieristico immigrato come risorsa del sistema sanitario italiano: il caso della città di Milano, tesi di laurea in economia aziendale e management, 2010.

Caritas/Migrantes, Immigrazione, Dossier Statistico, XVI rapporto, 2006.

Federazione Nazionale Collegi IPASVI, www.ipasvi.it, rapporto iscritti 2006. Federazione nazionale ordine medici chirurghi e odontoiatri (FNOMCEO), atti 2006.

Muttillo G. In: Scavo N. Boom di infermieri stranieri. Numeri in crescita. «Senza operatori extracomunitari sanità in tilt», Avvenire, 10/1/2009.

Pasotti A. Ospedali e case di riposo: 10mila infermieri stranieri e la corsia è una babele, Il giornale.it, 6/12/2009.

Pierandrei E. La Repubblica Metropoli, 25 giugno 2009. Unioncamere, Indagine annuale Excelsior sul mercato del lavoro, 2010.

 

Riferimenti normativi

Decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416 (gu n. 303 del 30/12/1989), Norme urgenti in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi già presenti nel territorio dello stato (convertito in legge n. 39 del 28 febbraio 1990).

Legge 6 marzo 1998, n. 40, Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero. Ministero del lavoro e della previdenza sociale, Direzione Generale per l’Impiego, Servizio per i problemi dei lavoratori immigrati extracomunitari e delle loro famiglie, CIRCOLARE N. 53 del 18 maggio 2001, “D.P.R. del 30.3.2001 – Documento Programmatico 2001/2003.

DPCM del 9.04.2001 Decreto di programmazione dei flussi per l’anno 2001. Disposizioni attuative”.

Legge 30 luglio 2002, n. 189, Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo.

Decreto Ministro della Salute del 18 giugno 2002, Autorizzazione alle regioni a compiere gli atti istruttori per il riconoscimento dei titoli abilitanti dell’area sanitaria conseguiti in Paesi extracomunitari ai sensi dell’art. 1, comma 10-ter, del decreto-legge 12 novembre 2001, n. 402, convertito in legge dall’art. 1 della legge 8 gennaio 2002, n. 1. (Gazzetta Ufficiale n. 159 del 09 Luglio 2002).

Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n.502, Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421. (G.U. Serie Generale n. 305 del 30 dicembre 1992).

Legge 14 febbraio 2003, n. 30, Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro.

Decreto Legislativo 10 settembre 2003,n. 276, Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30.

 

Bibliografia consigliata

Collegio IPASVI Milano Lodi, rapporto iscritti 2008 e 2009.
Inail, rapporto 2003-2004.
Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale (2001, maggio 24). Decreto flussi 2001. Ulteriori disposizioni alla circ. n. 53/2001.

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