1 Settembre 2014 | Professioni

Sugli effetti del parlare e del fare degli operatori geriatrici

Sugli effetti del parlare e del fare degli operatori geriatrici

Misuro la pressione, cambio un pannolone, estraggo un numero della tombola: sono gesti tanto quotidiani che l’operatore compie in modo automatico. Il medico, l’operatore socio sanitario, l’animatore, sono abituati a guardare immediatamente al risultato. Al medico interessa conoscere i valori della pressione arteriosa del suo paziente, all’operatore interessa che l’anziano sia pulito e asciutto, all’animatore interessa che ci sia un clima lieto e giocoso. Questi gesti non producono solo risultati immediatamente evidenti, ma producono anche effetti meno evidenti ma che sono altrettanto importanti. Lo stesso fenomeno succede con il parlare: l’operatore è abituato a svolgere le proprie mansioni accompagnando i gesti con le parole in modo spontaneo, senza rendersi conto che non solo i gesti, ma anche le parole producono effetti che vanno oltre l’esecuzione del compito programmato.

 

In questo articolo metto a fuoco proprio questi effetti, che potremmo definire, nascosti, per rendere l’operatore più consapevole e per evitare che le conseguenze dei gesti di cura siano lasciate al caso o si ritorcano contro l’operatore stesso. A scopo didattico suddivido questi effetti in varie categorie, pur sapendo che nella pratica non sono così nettamente distinguibili fra di loro e che talvolta si sovrappongono: effetti comportamentali, conversazionali, comunicativi, relazionali, emotivi e terapeutici o “dementi geni”.

 

Effetti comportamentali

Marco è un anziano con emiparesi destra, lo sto aiutando a vestirsi. Si possono presentare diversi scenari. Nel primo scenario comincio a infilargli la manica destra poi la manica sinistra. Nel secondo scenario mi fermo davanti a lui mostrando la camicia e aspetto 1a sua reazione. La differenza tra i due scenari è piccola ma rilevante. Nel primo caso io sono attivo e l’anziano resta passivo; nel secondo caso io mi pongo in un atteggiamento di disponibilità e di attesa che favorisce la comparsa di un comportamento attivo dell’anziano.

 

Anche di fronte ai disturbi psicologici e comportamentali associati alla demenza (BPSD) ho imparato a rendermi conto che i comportamenti patologici non nascono casualmente, ma sono la risposta (effetto) di quello che succede nell’ambiente, spesso sono una conseguenza di quello che io ho detto o fatto. Tornando all’esempio di Marco, l’Approccio Capacitante® vede nel primo scenario il disconoscimento della competenza a contrattare e a decidere, nel secondo scenario invece questa competenza viene riconosciuta (Vigorelli, 2011): Marco sceglie di porgere il braccio sano, il sinistro, poi l’operatore gli spiega la situazione e contratta con lui di infilare prima l’arto paretico, il destro.

 

Effetti conversazionali

Buongiorno signora Giovanna. Queste semplici parole non sono solo un saluto, ma producono anche un effetto conversazionale, sono cioè in grado di favorire la produzione di altre parole da parte della signora Giovanna. Se dopo averla salutata io resto in silenzio e in attesa, lei prenderà spontaneamente la parola. Si tratta di una legge generale della conversazione, l’alternanza dei turni di parola, per la quale il silenzio di un parlante al termine del suo parlare favorisce l’emergere della parola da parte dell’altro interlocutore. Un aspetto interessante di questa legge generale è che essa mantiene la sua validità anche con le persone affette da demenza.

 

In effetti, il modo più semplice per favorire l’emergere della parola da parte delle persone affette da demenza non consiste nella stimolazione e nel fare domande, atteggiamenti che spesso provocano chiusura e opposizione, ma nel pronunciare poche parole con tono pacato, poi tacere e restare in attesa. Per chi non ha ancora provato a farlo sarà una piacevole sorpresa scoprire che persone affette da demenza abitualmente mutaciche riprendono a parlare. L’approccio capacitante ha mutuato dal Conversazionalismo di Giampaolo Lai (Lai, 1993) alcune tecniche conversazionali che sono risultate adatte per tenere viva la competenza a parlare anche nelle persone con disturbi di linguaggio e di memoria, in particolare la tecnica di Non fare domande e quella di Restituire il motivo narrativo (Vigorelli, 2004).

 

Effetti comunicativi

Entro frettolosamente nella camera di Paola e ritiro la tazza della colazione senza dire nulla, convinto di avere svolto il compito dovuto (ritirare la tazza) in modo neutro ed efficiente, senza comunicare nulla. Non è vero. Come ci ha insegnato la pragmatica della comunicazione (Watzlawitck, Beavin Jackson,1971)non si può non comunicare. Nel caso descritto l’operatore che entra e esce dalla stanza senza dire nulla a Paola, in realtà ha comunicato, ha lanciato dei messaggi importanti: per me è come se tu non esistessi, tu mi sei indifferente. Si potrebbe dire che l’operatore ha effettuato un disconoscimento, esattamente l’opposto di quanto propone l’approccio capacitante, cioè offrire alla persona, momento per momento, il riconoscimento che lui esiste, che per noi è importante e che gli siamo accanto.

 

L’approccio capacitante, inoltre, propone di offrire alla persona con deficit cognitivi anche il riconoscimento della sua competenza a comunicare, così come la persona effettivamente fa, nel momento in cui lo fa. Il problema non consiste tanto nel fatto che la persona affetta da demenza non sia capace di comunicare quanto nel fatto che noi operatori non siamo capaci di riconoscere ciò che ci vuole comunicare e la sua competenza a comunicare.

 

Effetti relazionali

Gaetano è una persona affetta da demenza che partecipa ad un colloquio terapeutico con cadenza quindicinale (terapia del riconoscimento). Ogni volta si dimentica quello che ha detto nella seduta precedente e tende a ripetersi. Il suo decadimento mnesico ha cancellato tutto? No. Gaetano dimentica i contenuti di quanto è stato detto, ma ricorda la situazione e torna volentieri al colloquio perché ricorda il piacere di essere stato accolto così com’è e di essersi sentito riconosciuto come interlocutore valido e come persona dotata di competenze. Questo tipo di approccio contrasta quella che Tom Kitwood chiama Psicologia Sociale Maligna (Kitwood, 1997; Bissolo, Fazzi, Gianelli, 2009). Incontro dopo incontro, si stabilisce un clima di fiducia e si costruisce una relazione, nel caso di Gaetano una relazione capacitante.

 

Dobbiamo sempre ricordare che quando parliamo e interagiamo con un’altra persona, oltre che parlare e agire noi stiamo costruendo una relazione. Quando sono vicino a un anziano con deficit cognitivo mi rendo conto che in ogni momento sto costruendo una relazione e che le mie parole i miei gesti non hanno solo effetti che si esauriscono nel momento presente, ma producono anche effetti che durano nel tempo, proprio perché modellano il tipo di relazione. Qualche volta si ha l’impressione che fermarsi un minuto a parlare con un anziano sia tempo perso, invece è un investimento importante che darà risultati nel tempo, positivi o negativi a seconda di come gli incontri, le parole e i gesti hanno influito nel costruire la relazione. Gli interventi basati sul riconoscimento lasciano una traccia positiva ed è per questo motivo che l’approccio capacitante propone di restituire all’anziano con deficit cognitivo il riconoscimento delle sue competenze elementari (competenza a parlare, a comunicare, competenza emotiva, a contrattare, a decidere), così come lui le esprime, in ogni occasione.

 

Effetti emotivi

Alice non reagisce mentre le faccio le spugnature al letto, non partecipa, sembra indifferente. Anche se l’anziano oggetto di cura sembra indifferente, preferisco pensare che provi emozioni e credo che sia più corretto prendere atto che l’anziano in quel momento non le esprima. Ritengo, infatti, che anche l’altro, come succede a me stesso, abbia sempre una risposta emotiva a quanto gli succede intorno, tanto o poco importante che sia. Provare emozioni è una costante della vita, così come il respirare. Le mie parole e i miei gesti, oltre che suscitare altre parole e gesti da parte dell’interlocutore, suscitano anche delle emozioni.

 

Naomi Feil (2003) ha basato la sua Validation Theraphy sulla comprensione delle emozioni dei grandi anziani disorientati. Il Metodo Validation propone di accettare le persone per quello che sono e aiuta a comprendere le ragioni che determinano il loro comportamento. Dal punto di vista dell’approccio capacitante offrire alla persona affetta da demenza il riconoscimento della sua competenza emotiva costituisce un intervento terapeutico e favorisce una Convivenza sufficientemente felice tra chi assiste e chi è assistito (Vigorelli, 2012).

 

Effetti terapeutici o “dementigeni”

Marco, Giovanna, Paola, Gaetano e Alice sono cinque persone con deficit cognitivo. Il loro cervello è alterato a causa dei depositi di amiloide, dei grovigli neurofibrillari e delle placche senili che ne impediscono il corretto funzionamento. L’operatore mentre presta la sua attività di cura non può influire sulla malattia e sulle alterazioni cerebrali che sono all’origine dei deficit. I casi descritti però testimoniano come le parole e il comportamento dell’operatore non sono ininfluenti, ma possono modificare l’ambiente in senso capacitante o incapacitante.

 

Gli interventi che vanno nel senso del disconoscimento favoriscono la Psicologia Sociale Maligna e sono “dementi geni”, fanno cioè risaltare i deficit cognitivi. Se è vero che l’operatore non può modificare le alterazioni anatomiche e funzionali del cervello del paziente è anche vero che l’operatore può modificare le sue performance cognitive imparando a scegliere parole e gesti che vadano nel senso del riconoscimento delle sue competenze elementari. Tutti gli operatori possono diventare terapeuti, nel senso americano del termine, possono cioè influire positivamente sul benessere delle persone che assistono.

 

Conclusione

Riflettere sugli effetti di quello che diciamo e che facciamo durante la normale attività di cura, aumenta la nostra consapevolezza. Se diventiamo più consapevoli, se impariamo cioè a riconoscere gli effetti comportamentali, conversazionali, comunicativi, relazionali, emotivi, terapeutici o “dementigeni” del nostro operare, potremo scegliere meglio che cosa dire e che cosa fare e, soprattutto, come parlare e come operare nell’attività assistenziale di tutti i giorni per favorire una Convivenza sufficientemente felice tra operatori e anziani con deficit cognitivo.

Bibliografia

Bissolo G., Fazzi L., Gianelli M.V. Relazioni di cura. Introduzione alla Psicologia sociale maligna. CarocciFaber, Roma, 2009.
Feil N. Validation. Il metodo Feil. Ed it. a cura di V. de Klerk-Rubin. Minerva Edizioni, Bologna, 2003.
Kitwood T. Dementia reconsidered: the person comes first. Open University Press, Buckingham, 1997.
Lai G. Conversazionalismo. Bollati Boringhieri, Torino, 1993.
Vigorelli P. (a cura di) La conversazione possibile con il malato Alzheimer. Franco Angeli, Milano, 2004.
Vigorelli P. Aria nuova nelle Case per Anziani. Progetti capacitanti. Franco Angeli, Milano, 2012.
Vigorelli P. L’Approccio Capacitante. Come prendersi cura degli anziani fragili e delle persone malate di Alzheimer. Franco Angeli, Milano, 2011.
Watzlawitck P., Beavin J.H. e Jackson D.D. Pragmatic of human communication. A study of interactional patterns, pathologies and paradoxes, W.W. Norton, New York, 1967. Tr. it. Pragmatica della comunicazione umana. Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1971.

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