21 Dicembre 2023 | Professioni

L’assistente sociale nelle strutture residenziali per anziani, fra vuoto normativo e opportunità

L’assistente sociale che opera nelle strutture residenziali per anziani è chiamato a svolgere un lavoro socio relazionale finalizzato a garantire, in integrazione con gli altri membri dell’équipe, la centralità di anziano e famiglia nei percorsi di cura e assistenza. A partire dal Quaderno del Gruppo Anziani dell’Ordine degli Assistenti Sociali della Lombardia, l’articolo presenta alcune peculiarità del lavoro svolto dagli assistenti sociali in questi servizi, nel loro “stare in relazione continua” con anziani, famiglie e operatori.

L’assistente sociale nelle strutture residenziali per anziani, fra vuoto normativo e opportunità

Nonostante la crescente attenzione verso i setting di cura domiciliari e verso la territorializzazione degli interventi, le strutture residenziali rimangono uno dei pilastri dell’assistenza alle persone anziane fragili, soprattutto laddove non è possibile garantire un’adeguata assistenza a domicilio; ma esse devono rispondere alla necessità di un’apertura più incisiva con il territorio e con le reti di prossimità, allo scopo di rafforzare la componente comunitaria e sociale del vivere in struttura residenziale. L’assistente sociale (AS), nell’équipe interdisciplinare, può supportare questi processi di interazione e reciprocità costruttiva e funzionale tra enti, tra interlocutori, tra persone, esprimendo appieno il proprio ruolo di promotore delle reti e valorizzando l’importanza del lavoro sociale relazionale e di comunità, anche in un contesto di cura residenziale.

 

 

Le strutture residenziali per anziani: non solo luoghi di cura, ma anche luoghi di vita

Il DPCM 22/12/1989, emanato a seguito dell’art. 20 della legge finanziaria 1988, fornisce a Regioni e Province Autonome linee di indirizzo per la realizzazione di strutture sanitarie residenziali per anziani non autosufficienti, non assistibili a domicilio o nei servizi semiresidenziali. In tale decreto si definisce Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) una struttura extraospedaliera finalizzata a fornire accoglimento, prestazioni sanitarie, assistenziali e di recupero a persone anziane prevalentemente non autosufficienti; presupposto per la fruizione della RSA è la comprovata mancanza di un idoneo supporto familiare che consenta di erogare al domicilio i trattamenti sanitari continui e l’assistenza necessaria (DPCM 22/12/1989, allegato A, criterio 1).

 

A distanza di quasi vent’anni, la Commissione Nazionale per la definizione e l’aggiornamento dei LEA del Ministero della Salute ha esaminato il tema delle prestazioni residenziali e semiresidenziali, con l’obiettivo di definire i contenuti tecnico-professionali delle prestazioni. Nel documento elaborato (Ministero della Salute – Commissione LEA, 2007) si sottolinea che le basi normative nazionali inerenti le prestazioni residenziali sono relativamente modeste e che si rilevano, come elementi di criticità, la sostanziale assenza di un flusso informativo integrato a livello nazionale e la forte eterogeneità regionale dei modelli autorizzativi e organizzativi e delle modalità di erogazione del servizio. Il documento esplicita che la denominazione corrente di Residenza Sanitaria Assistenziale ha assunto nelle singole Regioni significati diversi, con confini spesso mal definiti rispetto a case di riposo, case protette, residenze protette, istituti di riabilitazione geriatrica, lungodegenze riabilitative, ecc.1.

 

Il documento si è avvalso del lavoro svolto parallelamente nell’ambito del Progetto Mattoni del Servizio Sanitario Nazionale, la cui relazione conclusiva ha definito le prestazioni residenziali come il complesso integrato di prestazioni socio-sanitarie erogate, all’interno di servizi accreditati per la specifica funzione, a persone non autosufficienti non assistibili a domicilio. La prestazione residenziale non è un singolo atto assistenziale, ma il complesso dell’assistenza erogata; si caratterizza come prestazione di assistenza a lungo termine a persone non autosufficienti, in condizioni di cronicità e/o relativa stabilizzazione delle condizioni cliniche, distinguendosi quindi dalle prestazioni di terapia post-acuzie svolte di norma in regime ospedaliero o in strutture extra-ospedaliere specializzate per la riabilitazione (Ministero della Salute – Progetto Mattoni SSN, 2007).

 

Il ricovero in RSA qualifica pertanto un ambito di erogazione che si caratterizza per gli aspetti di umanizzazione e personalizzazione dell’assistenza, anche in ragione della prolungata durata della degenza: nelle strutture residenziali per anziani è prioritario realizzare progetti assistenziali personalizzati e multidisciplinari, promuovere il benessere della persona, coinvolgere la famiglia garantendo continuità nelle relazioni significative per l’anziano. A queste realtà è richiesta una capacità gestionale e progettuale capace di coniugare gli interventi concreti di cura e assistenza con l’attenzione agli aspetti socio-relazionali-familiari, promuovendo rapporti e valorizzando legami con il territorio, la comunità, le risorse informali e istituzionali disponibili a livello locale.

 

Le linee di sviluppo del sistema sociosanitario hanno portato all’introduzione di misure e servizi che hanno coinvolto le RSA quali strutture di riferimento territoriale per la presa in carico degli anziani. Questo ha consentito di attuare un significativo orientamento verso un modello “multiservizi” e “di filiera”: in diversi territori le strutture sedi di RSA propongono quindi anche servizi ambulatoriali, servizi domiciliari (SAD, ADI, RSA Aperta2), servizi diurni (CDI, Alzheimer Café), servizi residenziali specifici (nuclei Alzheimer, hospice, ecc.), in un’ottica di integrazione sociosanitaria e di potenziamento della risposta verso i cittadini anziani più fragili, nei diversi contesti di vita.

 

Nel tempo le RSA sono state oggetto di riflessione critica e di dibattito riguardo al loro senso e ruolo, in una società sempre più longeva e attraversata da cambiamenti nelle strutture familiari e nell’organizzazione dei tempi di vita e di lavoro delle famiglie3. Più di recente, la pandemia da Covid-19 e le sue conseguenze – sia all’interno di questi micro-cosmi, che fra la popolazione anziana generale – hanno riacceso il dibattito su questo setting assistenziale, anche in relazione a riflessioni sull’assistenza domiciliare e territoriale.

 

 

L’assistente sociale nei contesti residenziali

Gli atti normativi regolatori del funzionamento dei servizi per anziani evidenziano la necessità di adottare un approccio multidisciplinare e integrato alla presa in carico degli anziani fragili, garantendo così la centralità degli aspetti sociali, di umanizzazione dei percorsi di cura e di continuità nelle relazioni familiari. Tuttavia, la presenza dell’AS nelle strutture residenziali per anziani non è cogente nella maggior parte delle regioni italiane: gli atti normativi regionali che definiscono le figure professionali obbligatorie per l’autorizzazione al funzionamento o per l’accreditamento delle strutture residenziali per anziani e che individuano gli standard di dotazione del personale non prevedono infatti questa figura.

 

Il reperimento di informazioni al riguardo non risulta semplice4. Alcune regioni del Centro-Sud (Lazio5, Campania6, Sicilia7) si sono espresse in merito, in tempi non recenti; attualmente tale normativa non pare applicata. Fra le regioni del Nord, la Regione Veneto8prevede la presenza di un AS ogni 120 ospiti nei centri di servizi per persone anziane non autosufficienti.

 

Anche riguardo all’effettiva presenza della figura dell’AS nelle strutture residenziali per anziani i dati sono difficilmente reperibili e confrontabili. Un’analisi puntuale a partire da dati ISTAT – pur non recenti – fa emergere che a livello nazionale la figura maggiormente presente è l’OSS (52%), seguita da altri addetti all’assistenza alla persona (20%), infermieri (16%), figure riabilitative (4%), educatori/animatori (4%), medici (2%); secondo tale analisi la presenza dell’assistente sociale, in modo simile a quella dello psicologo, non raggiunge nemmeno l’1% (Pelliccia, 2019).

 

Il box 1 evidenzia da un lato le potenzialità e le competenze che caratterizzano lo specifico professionale dell’AS, dall’altro gli aspetti in cui – all’interno della cornice di senso delineata – tali potenzialità e competenze possono esprimersi concretamente9.

 

Box 1 – Il “valore aggiunto” apportabile dalla figura dell’assistente sociale nelle strutture residenziali per anziani

 

Tutto ciò appare in linea con quanto espresso nel 2007 dal progetto Mattoni Servizio Sanitario Nazionale del Ministero della Salute, che – come abbiamo visto – sottolineava una visione non spezzettata ma multiforme e integrata delle prestazioni sociosanitarie destinate agli anziani non autosufficienti ricoverati in RSA.

 

Oggi gli anziani ricoverati in RSA sono di età elevata, molto fragili, con comorbidità e politerapia farmacologica, spesso affetti da demenza: il livello di assistenza sanitaria necessario è molto superiore rispetto al passato, per la maggiore complessità clinica degli ospiti, e il carico assistenziale è più impegnativo. La presenza di importanti disturbi psichiatrici e comportamentali ha un ruolo sempre più determinante nella scelta di ricoverare un proprio familiare in RSA, per la fatica prolungata e totalizzante del caregiving e l’impossibilità di garantire cura e sorveglianza fra le mura domestiche. Le famiglie che si rivolgono alle strutture residenziali hanno alle spalle anni di assistenza, spesso fornita in sostanziale solitudine; esprimono la necessità di informazioni sul funzionamento della struttura, hanno bisogno di un tempo di riconoscimento e di ascolto, necessitano di ricevere un orientamento competente sulle risorse di aiuto disponibili a livello locale e sulle misure e opportunità previste dalle istituzioni territorialmente competenti.

 

Accogliere le famiglie che si rivolgono alle strutture residenziali, garantendo ascolto e orientamento rispetto alla rete dei servizi formali e informali presenti sul territorio, valorizzare la centralità delle componenti socio-familiari per un buon esito della presa in carico, accompagnare le famiglie nel complesso processo di elaborazione del ricovero promuovendo azioni di reciprocità e socialità all’interno della struttura e valorizzando legami funzionali con il territorio, promuovere percorsi di protezione giuridica nelle situazioni di maggior fragilità… queste sono alcune delle azioni che vedono gli AS, attualmente in servizio presso le strutture residenziali per anziani, impegnati attivamente nell’esercizio del proprio ruolo istituzionale, nell’obiettivo di garantire ai cittadini – per la parte di propria competenza – una presa in carico multidimensionale e multidisciplinare.

 

Riguardo alle famiglie, va sottolineato che l’intervento professionale dell’AS “entra dentro” alle relazioni familiari e non può prescinderne, neppure quando vi sono patologie e disfunzioni che rendono difficile costruire un percorso collaborativo. In questi casi l’AS è chiamato a occuparsi delle relazioni familiari affinché possano distendersi, per quanto possibile sanarsi e diventare risorsa, o almeno non ostacolare l’intervento di supporto e tutela dell’anziano non autosufficiente. È un’attività spesso nascosta, che però risulta determinante affinché l’eventuale presa in carico possa essere attivata in un contesto favorevole e possa quindi portare i risultati sperati; molti interventi, infatti, rischiano di essere vanificati a causa di dinamiche disfunzionali presenti nei nuclei familiari (Corradini, et al., 2019).

 

 

Dall’accoglienza alla dimissione: la relazione con anziani e famiglie

L’accoglienza delle richieste di ingresso presentate dai cittadini alle strutture residenziali per anziani e la gestione delle liste di attesa rimandano a processi di lavoro che richiedono competenza e responsabilità. La gestione della lista di attesa – di cui l’AS, laddove presente, è spesso la figura professionale responsabile – comporta un continuo e delicato lavoro, sia all’interno che all’esterno della struttura residenziale, che è molto più che un atto meramente burocratico-amministrativo e implica relazioni di vario genere, con diversi interlocutori10.

 

La chiamata all’ingresso rappresenta un momento particolarmente critico, sia per l’anziano che per la sua famiglia: attraverso le azioni concrete di avvicinamento alla RSA i familiari vivono una fase cruciale della loro storia, legata alla decisione (spesso inevitabile) del “luogo altrove” in cui l’anziano trascorrerà gli ultimi anni della sua esistenza. L’ingresso è il momento di avvio di un complesso processo di cambiamento radicale nell’esistenza di tutti, sia dal punto di vista pratico-organizzativo, sia dal punto di vista psicologico e relazionale: la messa a punto di una strategia dell’accoglienza risulta quindi essenziale; obiettivo è ridurre il più possibile criticità e fatiche provate dall’anziano e dalla famiglia in questo fondamentale momento di cambiamento11.

 

A seguire, durante il primo periodo di ricovero in struttura si avvia una conoscenza reciproca, in cui da un lato l’anziano è chiamato ad adattarsi a un nuovo ambiente di vita e, dall’altro, gli operatori devono conoscere il nuovo ospite sotto una molteplicità di punti di vista: carattere, abitudini, interessi e attitudini (passate e attuali), legami familiari e sociali, il tutto connesso alla sua storia di vita. Le informazioni raccolte che riguardano il passato dell’anziano accolto, la sua vita precedente (anche in età giovane e adulta), i legami familiari e amicali sono elementi importanti per un inserimento adeguato in RSA e per un percorso di cura più personalizzato e rispettoso12.

 

L’assistente sociale in servizio presso la RSA è uno dei riferimenti a cui ospiti e familiari possono rivolgersi durante il ricovero per presentare richieste, proporre suggerimenti o esporre difficoltà. Nel percorso di presa in carico dell’anziano è infatti fondamentale mantenere un’attenzione costante alle sue esigenze e a quelle dei suoi familiari, nel loro divenire e mutare, cercando di proporre soluzioni soddisfacenti, in coerenza con il lavoro di cura svolto da tutti i professionisti13La figura dell’AS svolge un ruolo fondamentale per favorire l’integrazione dell’anziano nella sua nuova comunità di vita quotidiana e per supportare caregiver e familiari. Per il proprio specifico professionale, più di altri professionisti che lavorano nella RSA l’assistente sociale deve avere presente che l’accoglienza in struttura non riguarda solo l’anziano ma tutto il suo sistema di relazioni, con la loro storia e le loro specificità: più l’équipe riuscirà a tenere presente questo aspetto, più sarà possibile trovare, nella continuità, soluzioni di assistenza soddisfacenti per anziano, familiari e operatori.

 

In questa direzione, è fondamentale la dimensione del tempo: dare e darsi tempo per conoscere e per conoscersi. Da un lato l’adattamento alla RSA per l’anziano e la famiglia non sono immediati: è un processo non breve, attraversato da stati d’animo diversi (senso di colpa, paura, rifiuto, accettazione); dall’altro lato assistente sociale e altri operatori dell’équipe hanno bisogno di tempo per entrare in relazione con le diverse dimensioni dell’anziano e del suo ambiente. È quindi essenziale dare e darsi tempo per pensare e fornire risposte utili e mirate; per ripensarle e adattarle alla situazione che progressivamente cambia sul piano fisico, psicologico, relazionale; per definire i problemi in modo più consapevole, per trattarli, per rispondere evitando la trappola della richiesta di soluzioni immediate al problema, spesso cercate ma non sempre possibili (Vaghi, 2016).

 

Sul piano giuridico e dei bisogni quotidiani, la tutela dell’anziano e del suo benessere sono al centro di tutti i processi di cura; a tale scopo è necessario riconoscere sempre pieno valore all’espressione di volontà e autodeterminazione dell’anziano stesso, con l’obiettivo di mantenere vivo l’interesse alla partecipazione attiva alla propria vita e alla vita comunitaria. Si tratta di facilitare processi di empowerment volti a promuovere le capacità di ogni singola persona e a restituirle il più possibile percezione di competenza, ruolo e potere, ad esempio attraverso la partecipazione attiva nella definizione di progetto individualizzato (PI) e piano assistenziale individualizzato (PAI). Nel contesto delle RSA, l’empowerment è un processo sociale di riconoscimento e promozione della persona anziana volto a valorizzarne le capacità (anche se residue) e il miglior benessere raggiungibile, coinvolgendo la famiglia quale mondo vitale principale.

 

L’autodeterminazione si traduce nel principio che a ciascuno debba essere garantita la possibilità di scegliere, senza condizionamenti, i modi in cui affrontare le situazioni che si presentano nel corso dell’esistenza: questo principio ha rappresentato una pietra miliare nel servizio sociale, al punto da essere considerato come una delle ragioni d’essere della professione. L’autodeterminazione è direttamente collegata alla promozione di potenzialità e autonomia e a una visione della persona come soggetto attivo (Fargion, 2022). Nell’esperienza quotidiana, tuttavia, accade di incontrare persone che manifestano difficoltà ad autodeterminarsi o che nel farlo compiono scelte potenzialmente nocive per sé e/o per altri: queste situazioni interrogano profondamente l’assistente sociale, poiché configurano un dualismo fra diritto all’autodeterminazione e protezione delle persone, rappresentando un vero e proprio dilemma etico (Filippini, 2020).

 

Dal punto di vista metodologico i colloqui con anziani e familiari possono essere proposti dall’assistente sociale in itinere, secondo un approccio preventivo e partecipativo, oppure avvenire su loro richiesta, al verificarsi delle necessità; possono rappresentare una straordinaria occasione strutturata per verificare l’inserimento dell’anziano nella RSA, raccogliere preoccupazioni e osservazioni, fornire informazioni su diritti, opportunità normative vigenti e processi di protezione giuridica che potrebbe essere opportuno attivare a beneficio dell’anziano14.

 

In virtù della fragilità delle persone accolte, le strutture residenziali devono garantire attenzione personalizzata nelle situazioni di dimissione (ad esempio per trasferimento in altra RSA o per ritorno al domicilio su decisione della famiglia). In questi casi l’AS è chiamato a organizzare la dimissione protetta cercando di costruire un progetto di continuità assistenziale, da definirsi con la famiglia e l’anziano, in collaborazione con il servizio sociale del Comune di residenza/provenienza, il medico di medicina generale e l’azienda sanitaria territoriale. Anche nel momento del fine vita l’AS è chiamato, come tutte le figure dell’équipe, a mettere a disposizione le proprie competenze, garantendo presenza e ove necessario supporto operativo, e sostenendo la famiglia nell’elaborazione di questo delicato e importante momento.

 

 

Il ruolo dell’AS nell’organizzazione e nell’équipe interdisciplinare

Dal punto di vista organizzativo e professionale, la RSA è un sistema complesso di relazioni. All’interno dell’organizzazione ogni settore e ogni servizio hanno una propria traccia e uno specifico orientamento professionale, che li differenziano l’uno dall’altro: questa dinamica è visibile in RSA nelle tre culture presenti (amministrativa, sanitaria e sociale), spesso in difficile dialogo ed equilibrio fra loro. Specie in una fase come l’attuale, in cui l’attenzione all’anziano e alla famiglia in ogni punto del processo di assistenza e di cura non sempre si concilia con l’obiettivo di contenere i costi di gestione, la necessità di negoziazione continua fra le varie culture è molto presente. L’input implicito a “fare bene, in fretta e con poche risorse”, proveniente dal gestore e diretto a tutte le figure professionali che si confrontano quotidianamente con le necessità degli anziani assistiti e delle loro famiglie, è un terreno di confronto da presidiare, in cui l’assistente sociale è chiamato ad affermare il proprio specifico professionale (Vaghi, 2016). Viceversa, orientarsi alla “gentilezza organizzativa” potrebbe generare i presupposti per una gestione di eccellenza, con effetti straordinari sulla qualità di vita degli operatori, degli anziani e delle famiglie (Verzini, 2018).

 

Sul piano professionale, in ambito geriatrico l’integrazione tra le competenze sanitarie e quelle socio-relazionali non è un’opzione, ma una necessità, atta a far emergere la complessità e l’unicità di ogni singola persona e situazione e ad attivare risposte coerenti ed efficaci a bisogni e desideri rilevati ed espressi. Nell’équipe le singole identità professionali si fondono e si rafforzano in un’identità complessiva di gruppo: un’identità plurima e dinamica, sottesa all’agire di ciascun operatore, in cui vengono condivise sia lettura e analisi del contesto e delle situazioni, sia scelta di strategie e di piani di intervento. La valutazione multidimensionale richiede il coinvolgimento di diverse figure professionali (medico, infermiere, operatore socio-assistenziale, operatore socio-sanitario, fisioterapista, educatore professionale, assistente sociale, ecc.), che, agendo in équipe, soddisfano il criterio organizzativo del lavoro interdisciplinare previsto dal DPR 14/1/1997.

 

L’interdisciplinarietà è più della multidisciplinarietà:

  • un’équipe multidisciplinare è composta da figure professionali di diversa formazione, che lavorano insieme ciascuna attingendo alle proprie conoscenze disciplinari, derivanti da studi ed esperienze differenti;
  • un’équipe interdisciplinare realizza l’integrazione di conoscenze e metodi di diverse discipline, in un processo continuo di osmosi intellettuale e metodologica, contaminazione di saperi e competenze, sintesi di approcci e visioni, reciprocità di scambi e arricchimenti.

 

L’organizzazione di periodiche riunioni, dove i diversi professionisti si confrontano e condividono le informazioni rilevate nel proprio lavoro, permette di avere una visione più globale e completa delle persone di cui ci si occupa, ognuno secondo il proprio ruolo e la propria prospettiva. Inoltre, all’interno di tali riunioni e momenti di confronto si creano i presupposti e gli spazi per una formazione “sul campo” che consente a ciascun professionista di apprendere e farsi contagiare dal sapere altrui, favorendo una lettura del bisogno e dell’ospite a 360 gradi. Interdisciplinarietà, quindi, e non solo multidisciplinarietà.

 

 

L’approccio socio-relazionale nel lavoro di rete con il territorio e con la comunità

Nel quadro complessivo delle sue competenze e nel suo agire professionale, l’assistente sociale:

  • opera con un’ottica trifocale, cioè con un’attenzione costantemente rivolta, in modo sinergico, al singolo/famiglia, all’istituzione/organizzazione, alla comunità;
  • conosce gli attori della filiera dei servizi in campo sociale (pubblici, privati, del terzo settore) del territorio di riferimento;
  • favorisce e sostiene la collaborazione e la condivisione di obiettivi comuni che rispondano, in maniera articolata e differenziata, ai bisogni espressi ed esistenti, arrivando a superare in tal modo la logica puramente assistenzialistica e contribuendo a promuovere un sistema di rete integrato.

 

Con trifocalità si intende la peculiarità di intervento del servizio sociale, che considera contemporaneamente tre oggetti di attenzione migliorativa (Gui, 2022):

  • l’esperienza personale, soggettivamente percepita in modo unico e originale, che impone il rispetto della dignità e del diritto all’autodeterminazione, richiede di implicare – con partecipazione consapevole – ogni persona nei processi che la coinvolgono, necessita di ascoltare e comprendere a fondo le sue attese e le sue mete esistenziali, senza sostituirvi i desideri e le mete dominanti;
  • il contesto sociopolitico, istituzionale e organizzativo entro cui le vicende di aiuto si snodano e si sviluppano;
  • l’intreccio relazionale, comunitario, di contesto entro cui ogni persona fa esperienza di sé, costruisce la sua identità, trae nutrimento materiale, affettivo ed esistenziale; nel lavoro dell’assistente sociale la dimensione comunitaria, reticolare, più o meno densa, è un elemento imprescindibile, che richiede continuamente di essere osservato e incontrato; la comunità locale rappresenta – quanto le singole persone – una soggettività plurale che va potenziata e sostenuta nella capacità di generare senso e agio per i propri componenti.

 

Nelle strutture residenziali per anziani, rapportarsi con “l’ambiente esterno” prevede la realizzazione di diversi interventi: fornire risposta alle richieste di informazioni provenienti da enti e istituzioni, collaborare nella gestione dei ricoveri permanenti o temporanei che vengono richiesti dai servizi anziché dalle famiglie degli anziani, lavorare in rete con i servizi sociali dei Comuni e con i servizi sociali ospedalieri del territorio, promuovere collaborazioni funzionali e proficue per gli anziani ricoverati, per le famiglie e per la comunità. Dal punto di vista operativo e riguardo in specifico ai contatti fra AS, gli obiettivi, le modalità e la frequenza dei contatti fra AS della RSA e AS di altri servizi sono definiti dalla diversa tipologia di interlocutori: servizi sociali territoriali

15, servizi sociali ospedalieri16, altri servizi che accolgono membri del nucleo familiare di un anziano ricoverato nella RSA17.

 

In termini più generali, il lavoro di rete – nello sviluppo di un’interazione reciproca con il territorio e con la comunità locale – rende essenziale un contatto costante e generativo fra l’AS della struttura residenziale e i diversi riferimenti della rete stessa dei servizi territoriali, in una logica sinergica e di continuità dei processi di cura a livello locale. Il legame con il territorio in cui la residenza è situata e con la comunità che lo abita può consentire di definire la RSA non semplicemente come uno spazio fisico, ma come uno spazio relazionale, identitario, storico, cioè un luogo antropologico (Augé, 2005): una realtà in cui, a differenza dei nonluoghi, si esprimono relazioni sociali, storie condivise, segni di appartenenza collettiva. Anche su questo fronte la figura dell’assistente sociale può fornire un contributo molto rilevante, con ricadute positive sia dal punto di vista culturale, sia dal punto di vista del benessere e della qualità di vita di persone e famiglie.

Note

  1. Nell’articolo verranno quindi utilizzate sia la locuzione Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA), sia la locuzione struttura residenziale per anziani.
  2. La RSA Aperta è una misura innovativa introdotta sperimentalmente in Lombardia con la DGR 856/2013, confermata con la DGR 2942/2014 e attualmente normata dalla DGR 7769/2018. La finalità di tale misura è attivare progetti di cura orientati a mantenere e migliorare le capacità residue, motorie e cognitive, e ad affiancare e addestrare il caregiver nelle attività assistenziali; in questo senso si differenzia dal tradizionale aiuto a domicilio realizzato tramite il SAD e si propone una presa in carico globale, che si avvia già in fase iniziale tramite la valutazione multidimensionale al domicilio.
  3. L’attenzione è stata posta sia su aspetti generali, quali l’estrema disomogeneità sul territorio nazionale e regionale e l’adeguatezza alle esigenze di ospiti sempre più anziani e compromessi, sia su aspetti specifici, quali il costo delle rette e la loro sostenibilità da parte delle famiglie (o della collettività, visto l’aumento degli anziani soli).
  4. A questo proposito si ringraziano Mirella Silvani (vicepresidente del CNOAS Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali, già presidente del CROAS Consiglio Regionale Ordine Assistenti Sociali Lombardia), Rose Marie Tidoli (coordinatrice dell’area anziani di Lombardia Sociale) e Marco Noli (esperto di programmazione, organizzazione e gestione di servizi alla persona) per la disponibilità e il confronto su questo specifico tema.
  5. La Regione Lazio ha incluso la figura dell’assistente sociale nell’organico delle residenze per anziani a prevalente vocazione socio-assistenziale e/o alberghiera, con presenza programmata nelle strutture di dimensioni piccole (casa famiglia, comunità alloggio) o medie (casa di riposo); non si è espressa, invece, riguardo alle RSA. Cfr. DGR 1305 del 23/12/2004 Regione Lazio, Autorizzazione all’apertura e al funzionamento delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale che prestano servizi socio-assistenziali. Requisiti strutturali e organizzativi integrativi rispetto ai requisiti previsti dall’art. 11 LR 41/2003.
  6. La Regione Campania ha contemplato per le RSA la dotazione, in numero variabile – in relazione alla tipologia del modulo assistenziale, al numero di ospiti e alla loro tipologia – di medici, infermieri, operatori socio-sanitari, operatori socio-assistenziali, fisioterapisti, terapisti occupazionali, animatori di comunità, assistenti sociali, psicologo (solo nel modulo per demenze), amministrativi. Più in specifico, si è operata una distinzione fra “assistente sociale” e “assistente sociale con funzioni di responsabile delle attività sociali”, a fianco del “medico referente con funzioni di direttore sanitario della struttura”. Cfr. DGR 2006 del 5/11/2004 Regione Campania, Linee di indirizzo sull’assistenza residenziale, semiresidenziale per anziani, disabili e cittadini affetti da demenza, ai sensi LR 8/2003.
  7. La Regione Sicilia ha previsto la presenza in RSA di un assistente sociale per 20 ore settimanali, in rapporto a un modulo/tipo di 40 posti letto; per tale modulo sono stati previsti inoltre gli standard per medici, infermieri, tecnici della riabilitazione, addetti all’assistenza, animatore, amministrativi, addetti ai servizi tecnici e generali. Cfr. Decreto del Presidente della Regione Sicilia del 25/10/1999, Approvazione degli standard strutturali e funzionali delle residenze sanitarie assistenziali per soggetti anziani non autosufficienti e disabili e istituzione dell’albo degli enti pubblici e privati che intendono concorrere all’attività socio-sanitaria erogata presso le residenze sanitarie assistenziali.
  8. Cfr. DGR 84 del 16/1/2007 Regione Veneto, Allegato A: Standard relativi ai requisiti di autorizzazione all’esercizio e accreditamento istituzionale dei servizi sociali e di alcuni servizi socio-sanitari della regione Veneto (complemento di attuazione della LR 22/2002).
  9. Per molti di questi aspetti, il lavoro dell’AS in RSA avviene spesso in collaborazione e sinergia con gli AS dei Comuni del territorio di riferimento.
  10. Tale lavoro include la tenuta dei contatti con coloro che si ritrovano inseriti nella lista d’attesa (per aggiornare le situazioni sociali e sanitarie spesso in continua evoluzione e supportare attivamente, attraverso un orientamento professionale, la gestione assistenziale nell’attesa del ricovero) e con altri soggetti del territorio (ad esempio servizi sociali Comunali, servizi sociali ospedalieri, aziende sanitarie territoriali, associazioni) che segnalano le urgenze e le situazioni sociosanitarie maggiormente critiche o che possono mettere a disposizione servizi e interventi di tipo supportivo per coloro che hanno presentato richiesta di ingresso in RSA.
  11. Alcune strutture, oltre a garantire un colloquio telefonico di preparazione all’ingresso, invitano anziano e famiglia a un colloquio pre-ricovero; altre effettuano una visita domiciliare (esperienza poco diffusa già prima della pandemia da Covid-19 ma utile, specie nel caso di inserimento di una persona con demenza), volta a osservare come l’anziano si muove e si orienta al proprio domicilio e a individuare alcuni elementi che possano essere portati o riprodotti in RSA, per favorire l’inserimento e l’orientamento della persona stessa dopo il ricovero.
  12. Nel corso dei primi giorni di ricovero l’AS visita spesso la persona appena entrata, si confronta con i referenti dei vari servizi (es. educativo, riabilitativo) e verifica con i familiari e con gli operatori l’andamento del primo periodo di ricovero. Fra i vari aspetti oggetto di osservazione, vengono monitorati il nucleo / reparto di inserimento, la camera condivisa con altri ospiti, le necessità particolari da tenere presenti e mantenere attenzionate nel tempo.
  13. Insieme agli operatori dell’équipe di reparto, l’assistente sociale può quindi essere chiamato a gestire i problemi quotidiani legati al vivere in una comunità, con un ruolo di mediazione attiva tra i bisogni dell’anziano e l’ambiente che lo circonda: capita infatti che anziani o familiari si rivolgano all’assistente sociale affinché “intervenga” in caso di problemi e incomprensioni che si verificano nella quotidianità. Questo lavoro, che in alcune situazioni può occupare molto tempo, richiede capacità di mediazione tra i soggetti coinvolti, di manutenzione del clima relazionale, di prevenzione dell’escalation dei conflitti.
  14. Per le sue competenze in materia di diritto e protezione giuridica dei soggetti più fragili, all’interno dell’équipe socio sanitaria l’assistente sociale rappresenta la figura professionale più indicata per informare i familiari sulle modalità di attivazione, ad esempio, dell’amministrazione di sostegno prevista dalla legge 6/2004, laddove la situazione specifica dell’anziano ne indichi l’opportunità. Più specificatamente, nei casi ove non sia presente una rete familiare l’AS è chiamato a valutare la procedura più idonea per attivare la protezione giuridica per l’anziano; nei casi in cui la rete familiare presente sia ritenuta gravemente inadeguata o pregiudizievole per la cura e la gestione degli aspetti patrimoniali (e non solo) dell’anziano, l’AS è chiamato – dopo analisi attenta della situazione – a valutare l’opportunità di effettuare in prima persona una segnalazione motivata alla Procura della Repubblica, in collaborazione con il responsabile sanitario della struttura residenziale.
  15. Il rapporto con i servizi sociali territoriali è fondamentale sia riguardo a chi presenta richiesta di ingresso in RSA, sia riguardo a chi è già ricoverato. La buona conoscenza, da parte degli AS territoriali, di caratteristiche e potenzialità della specifica struttura residenziale può facilitare un orientamento efficace di singoli e famiglie che stanno ipotizzando o decidendo il ricovero, con riguardo all’adeguatezza ai bisogni emersi e alle situazioni in atto e prevedibile. Nei casi in cui l’anziano e i familiari siano già conosciuti dal servizio sociale territoriale, l’AS del Comune di residenza può risultare una fonte di informazioni preziosa, complementare all’anziano e ai familiari, sia nella fase di accoglienza e di inserimento, che durante il ricovero.
  16. Il rapporto e il lavoro di rete con i servizi sociali ospedalieri avviene in vista e in funzione di ricoveri per trasferimento dell’anziano dall’ospedale alla RSA. Lo scambio di informazioni e la collaborazione riguardano la disponibilità di posto letto in RSA, il reperimento e la trasmissione della documentazione necessaria, la comunicazione fra i reparti di provenienza e di destinazione per concordare il trasferimento dall’ospedale alla RSA, in accordo anche con la famiglia dell’anziano.
  17. Nei casi in cui membri del nucleo familiare di un anziano siano in carico ad altre RSA o altri servizi (es. comunità terapeutiche per persone con problemi di dipendenza, residenze per persone con problemi psichiatrici), il rapporto con l’AS che opera in tali realtà (o ne è referente) è finalizzato a favorire e mantenere gli scambi relazionali e affettivi fra l’anziano ricoverato e i suoi cari (es. coniuge, fratelli/sorelle, figli o nipoti) ricoverati in altre RSA o in altri servizi residenziali.

Bibliografia

Augé M. (2005), Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Elèuthera.

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