Demenza e disturbi motori
L’aumento dell’aspettativa di vita degli ultimi decenni ha determinato un incremento della popolazione anziana e degli individui affetti da demenza con un aumento stimato del 100% tra il 2001 e il 2040 nei paesi industrializzati (Ferri et al., 2005). Il corso della malattia è caratterizzato dalla progressiva perdita delle abilità cognitive e da una graduale riduzione delle abilità motorie, con aumentato rischio di cadute e perdita di autonomia. Molti studi hanno, infatti, dimostrato che l’avanzare dell’età e la presenza di demenza portano ad alterazioni nel cammino (King, Tinetti, 1996) con incremento dell’incidenza di cadute che, a sua volta, è causa di aumento della mortalità e della morbilità. La difficoltà a camminare in sicurezza riduce l’allenamento e porta ad uno stile di vita più sedentario. Si instaura un circolo vizioso per il quale al minor movimento si associano aumento della debolezza muscolare, riduzione dell’equilibrio, ipotensione ortostatica, deficit respiratori, apatia, depressione e riduzione delle funzioni cognitive. A questo si associa la paura di cadere legata alla mancanza di forza di equilibrio e alla presenza di deficit cognitivi, con riduzione della mobilità e delle attività di vita quotidiana. L’immobilità o la compromissione funzionale sono tra i principali predittori di istituzionalizzazione ad un anno in pazienti affetti da demenza residenti al domicilio con il caregiver.
Nonostante il progressivo deterioramento delle funzioni cognitive ed in particolare della memoria, studi di letteratura hanno dimostrato che i pazienti con demenza possono apprendere nuove competenze ad esempio nel contesto della memoria procedurale, ovvero ad un livello automatico, iperappreso ed inconscio. Yu e colleghi (Yu et al., 2006) hanno ipotizzato che i soggetti con deterioramento cognitivo possano trarre beneficio dalla riabilitazione motoria perché essa si basa su un riallenamento di competenze contenute a livello di memoria procedurale, funzione che spesso rimane intatta anche quando altre aree cognitive sono compromesse.
Uno studio italiano ha valutato l’associazione tra funzioni cognitive all’ingresso in riabilitazione e recupero funzionale alla dimissione e dopo un anno in 306 pazienti con frattura di femore, dimostrando maggiori possibilità di recupero in relazione ad un miglior funzionamento cognitivo. Tuttavia, è rilevante sottolineare come un terzo dei pazienti con decadimento cognitivo moderato-severo, definito con un punteggio al Mini Mental State Examination (MMSE) tra 0 e 15/30, fosse in grado di recuperare un cammino indipendente alla dimissione mantenendo tali performances ad un anno (Morghen et al., 2011) (Figura 1). Un ulteriore studio canadese ha valutato gli effetti delle terapie riabilitative dopo frattura di femore in una popolazione di 11.200 persone anziane con demenza. I pazienti venivano assegnati a quattro gruppi: nessuna riabilitazione; riabilitazione in unità di cure subacute, riabilitazione domiciliare e riabilitazione intensiva. Lo studio ha dimostrato come si potesse ottenere un miglior recupero funzionale e minor rischio di istituzionalizzazione nei pazienti trattati con una riabilitazione domiciliare ed intensiva. Gli studi sottolineano come nessun paziente anziano con demenza dovrebbe essere escluso da un trattamento riabilitativo (Seitz et al., 2016). E’, però, necessario evidenziare che ad oggi non vi sono indicazioni specifiche su come riabilitare la persona con demenza ed in particolare su quale possa essere il migliore approccio, l’intensività, la durata anche in considerazione del grado di deficit cognitivo. E’, quindi, utile indicare quali possano essere le metodiche migliori per ottimizzare la riabilitazione della persona con demenza.
L’approccio riabilitativo nella persona fragile con demenza
L’insieme delle problematiche cognitive e comportamentali associate alla demenza rappresenta per il team riabilitativo una vera e propria sfida terapeutica. Affinché la partecipazione del paziente durante l’intervento fisioterapico possa essere garantita e si amplifichi la possibilità di ottimizzare il potenziale riabilitativo, attraverso lo sfruttamento della preservata memoria procedurale, è necessario adottare un approccio riabilitativo che concepisca gli interventi sulle problematiche funzionali/motorie, alla luce dei deficit cognitivo-comportamentali presenti nel paziente. Ciò può avvenire da parte degli operatori soltanto attraverso un approccio globale che preveda al suo interno non solo l’inquadramento del deficit motorio/funzionale, ma anche l’identificazione delle disabilità cognitive, l’acquisizione del punto di vista del paziente, l’analisi delle possibili fonti di disagio e la conseguente implementazione di strategie compensative per i disordini cognitivo-comportamentali riscontrati.
Il punto di partenza per programmare il lavoro con la persona affetta da demenza è una precisa ed attenta valutazione delle abilità motorie premorbose ed attuali. E’ necessario ricavare tutte le informazioni riguardanti il paziente, raccogliendo i dati sia dalla cartella clinica sia mediante colloquio con i familiari o il caregiver principale. Dall’intervista con i familiari è opportuno raccogliere il maggior numero di informazioni per comprendere le capacità motorie residue del paziente: se è in grado eseguire i passaggi posturali, di spostarsi dal letto, di camminare e se utilizza ausili (ad es., bastone, canadese, walker). E’ indispensabile conoscere anche le attività di vita quotidiana che riesce a svolgere in autonomia: lavarsi, vestirsi, alimentarsi, eseguire l’igiene, utilizzare il bagno. Inoltre, bisogna sapere se nel periodo antecedente alla valutazione, il paziente ha ridotto la sua mobilità, se il suo stile di vita è cambiato o se è apparso più ansioso, aggressivo o depresso.
Una volta raccolte queste informazioni è fondamentale acquisire notizie sull’aspetto socio-familiare: caregiver principale, coniuge e/o figli conviventi, presenza di supporto assistenziale. E’ opportuno sapere quale lavoro svolgeva, quali hobbies o attività eseguiva con piacere e valutare se il paziente presenta deficit di acuità visiva od uditiva. Queste informazioni sono utili per creare la relazione con il paziente ed adattare il trattamento alle necessità della persona.
Solitamente è consigliabile eseguire la valutazione iniziale nella stanza del paziente che rappresenta un ambiente tranquillo senza eccessive distrazioni. La comunicazione non verbale è essenziale nei primi contatti con il paziente, così come è importante eseguire un primo colloquio conoscitivo per promuovere il senso di fiducia e familiarità, prima di procedere alla vera e propria valutazione funzionale, in cui gli aspetti principali che dovranno essere indagati, attraverso strumenti standardizzati, sono: la capacità di muoversi nel letto e di mettersi seduto, l’esecuzione dei trasferimenti, l’equilibrio e il cammino. Gli strumenti standardizzati di valutazione motoria che più frequentemente vengono utilizzati sono specificati in Tabella 1 in base al grado di decadimento cognitivo ed agli obiettivi riabilitativi ipotizzabili.
Per ogni attività è necessario monitorare il tempo impiegato per eseguirla, le strategie utilizzate, il livello di assistenza necessaria, la presenza di dolore o ipotensione ortostatica. La raccolta di tali informazioni consente al fisioterapista di fornire informazioni gestionali sia al reparto sia ai familiari durante la degenza.
Nel lavoro con i pazienti affetti da demenza, per garantire una maggiore collaborazione nel trattamento riabilitativo, è fondamentale individuare attività task-oriented, ovvero attività note di vita quotidiana che indirettamente prevedano al loro interno l’esecuzione dei nostri obiettivi riabilitativi (Teri, Logsdon, McCurry, 2008). Oltre all’utilizzo di attività familiari è fondamentale introdurre delle strategie volte a by-passare i disordini cognitivi in relazione al grado di decadimento cognitivo (Tabella 2).
Il paziente affetto da demenza lieve generalmente presenta dei deficit selettivi all’interno di un quadro cognitivo parzialmente conservato. I deficit più rilevanti presenti in questa fase sono quelli imputabili alle funzioni attentive e alle funzioni esecutive. Un’importante strategia riabilitativa per il superamento delle difficoltà attentive riguarda la riduzione delle richieste verbali e ambientali interferenti, che riducono la capacità di concentrazione durante l’esecuzione di un compito. Per evitare che le risorse attentive si spostino su un altro stimolo è necessario non interrompere il paziente mentre esegue un compito motorio distraendolo con richieste verbali. Per lo stesso motivo, l’ambiente dove viene svolta l’attività deve essere il più possibile silenzioso, senza evidenti appigli visivi (ad es. colori forti, linee colorate). Un’altra strategia riabilitativa è l’utilizzo di segnali di allerta verbali (ad es. ‘ora facciamo un esercizio diverso’, ‘preparati’) mirati a richiamare l’attenzione del paziente. Può essere utile frazionare l’intervento in più momenti, prevenendo l’esaurimento delle risorse e dunque massimizzando l’efficacia del momento terapeutico. I pazienti con deficit delle funzioni esecutive possono mostrare difficoltà nel pianificare autonomamente un’azione o l’insieme dei passaggi richiesti per il raggiungimento di un obiettivo finale, difficoltà nel ragionamento logico o presentare difficoltà nella flessibilità cognitiva e nell’utilizzo attivo e spontaneo di strategie. Se il paziente presenta difficoltà di pianificazione è necessario scomporre i compiti in sequenze circoscrivibili, per poi eventualmente procedere a seconda delle abilità al concatenamento delle sottocomponenti l’una con l’altra. Di fronte alla presenza di difficoltà di ragionamento logico o di critica può essere utile spostare temporaneamente l’attenzione su altri stimoli, possibilmente piacevoli per la persona, e riprendere l’attività in seguito.
Il paziente affetto da demenza in fase moderata presenta anche deficit di memoria, orientamento ed una possibile parziale compromissione delle abilità di linguaggio. Per le difficoltà di memoria e apprendimento si rende opportuno il coinvolgimento dei familiari nel trattamento riabilitativo al fine di trasferire le informazioni riabilitative importanti anche al domicilio. Inoltre può essere utile ripetere più volte le indicazioni per l’esecuzione di un’attività: non bisogna dare per scontato che il paziente ricordi chi è e che funzione svolge per lui il fisioterapista durante il ricovero. Particolare attenzione deve poi essere rivolta alle abilità di linguaggio. Infatti, vi possono essere difficoltà nella comprensione verbale, per cui il fisioterapista deve utilizzare delle strategie comunicative volte ad incrementare la capacità di comunicazione: creare un rapporto faccia a faccia (parlare davanti al paziente ed alla stessa altezza), aumentare la salienza del messaggio (enfatizzare le informazioni critiche, ad esempio mettendo le parole importanti all’inizio o alla fine, o aumentando/cambiando il tono di voce in corrispondenza delle parti più rilevanti), rallentare la velocità dell’eloquio e fornire tempi maggiori per le risposte, semplificare la struttura sintattica (ad esempio, usare frasi brevi con possibilità di risposta si/no), fornire informazioni gestuali supplementari al messaggio (ad es. indicare la direzione del cammino).
Il paziente affetto da demenza severa difficilmente sarà in grado di interpretare l’esperienza e l’utilità delle procedure riabilitative attraverso dei processi di valutazione critica, o di ricordare quanto spiegato dal personale sanitario. E’ fondamentale sottolineare che tale paziente ha difficoltà ad esprimere il proprio dolore; è possibile pertanto che manifesti il proprio disagio e la propria paura attraverso disturbi comportamentali (ad es. aggressività, oppositività, agitazione) che possono essere interpretati come mancanza di collaborazione. E’, pertanto, il terapista che deve farsi sentinella con il resto dell’equipe per possibili condizioni di dolore attraverso l’osservazione del comportamento. E’ quindi necessario osservare le espressioni del viso e del corpo, tenendole costantemente monitorate e prestando attenzione alle variazioni quotidiane dello stato comportamentale, perché potrebbero essere espressioni di dolore. L’espressione ‘no, non lo voglio fare’ non esprime necessariamente un rifiuto, ma anche un’incapacità di comunicare la propria necessità, in quanto la stessa espressione può significare ‘no, non capisco’, o ‘no, ho paura e non ti conosco’, oppure ‘ho molto dolore e non riesco a dirtelo’.
La terapia occupazionale nell’intervento riabilitativo
“Nulla sembra più semplice che tendere una mano per afferrare una tazza, eppure ciò comporta una pluralità di processi tanto interconnessi da risultare a prima vista indistinti: identificare l’oggetto, orientare testa ed occhi, localizzarlo rispetto al corpo, stabilire la giusta distanza, predisporre la mano nel modo più idoneo, analizzare le informazioni sensoriali… e, in più, qual è l’intenzione, lo scopo di quella mano: portare alla bocca? Annusare? Buttare il contenuto per terra? Un gesto apparentemente semplice mette in moto una serie di complessi meccanismi neuronali: il gesto ci realizza, il gesto è l’uomo” (Rizzolatti, 2006).
Rizzolatti (2006) esplicita al meglio qual è il focus della terapia occupazionale che pone l’accento sul “fare” significativo e significante per il paziente. Il cambio epidemiologico che ha coinvolto tutta la sanità caratterizzato da un crescente numero di pazienti curabili ma inguaribili, che presentano sovente deficit di estrema gravità, pone il paziente di fronte al difficile compito di affrontare la quotidianità, gravato dai nuovi deficit, affidato interamente al paziente, ai suoi familiari ed ai suoi amici. Questa “zona d’ombra” della medicina tradizionale rappresenta lo specifico campo d’azione della Terapia Occupazionale che, nel corso dei decenni, si è approcciata a migliaia di persone in cerca di un nuovo equilibrio nella vita quotidiana, irrimediabilmente segnata dal proprio deficit. L’esperienza e la competenza specifica consentono al terapista occupazionale di proporre al paziente strategie concrete e strumenti efficaci, che si adattino alle esigenze ed ai desideri della persona. In un recente trial randomizzato controllato (Graff et al., 2006) condotto su pazienti con demenza da lieve a moderata è stato più volte sottolineato come la terapia occupazionale basata sull’esecuzione di attività di vita quotidiana (BADL) abbia contribuito ad ottenere un sensibile miglioramento della performance motoria (trasferimenti, deambulazione) riducendo il rischio di deterioramento in quelle attività sottoposte a training. Conseguentemente il terapista occupazionale cerca di intervenire non focalizzandosi esclusivamente sulle funzioni deteriorate, ma soprattutto sulla mancanza di motivazione ad agire che può essere provocata sia dai familiari (sostituzione) sia dal senso di inadeguatezza percepito dal paziente stesso. Dunque l’approccio occupazionale (Kielhofner, 2001) riconosce nella mancanza di motivazione ad agire e nella riduzione dell’autostima lo specifico patologico della demenza: l’intervento riabilitativo consisterà nel migliorare o mantenere lo stato funzionale di partecipazione/indipendenza e controllare i disturbi del comportamento. Particolare attenzione sarà riposta sull’ambiente sociale (persone) e fisico (spazi ed oggetti): entrambi possono presentare ostacoli o facilitazioni e incoraggiamenti alla persona che agisce.
Le attività di base (B/ADL) e le attività avanzate (I/ADL) come strumento terapeutico
La terapia occupazionale ha uno specifico focus sulla riabilitazione nelle attività di base e avanzate partendo dalla storia personale della persona con demenza. In questa specifica riabilitazione il ruolo centrale nel trattamento è riservato ovviamente alla persona con demenza ma non solo: il caregiver è sempre presente e considerato. In questo, precursore dell’approccio descritto, è stato il programma COTID-IT (Community Occupational Therapy in Dementia – Italy) nato dagli studi della Prof. Graff (2006). Molti studi (Graff et al., 2006; Kielhofner, 2002) hanno dimostrato che sedute di terapia occupazionale incentrate sul recupero delle occupazioni delle persone con demenza sia con persone degenti in strutture protette o residenti in casa migliorano l’indipendenza e la partecipazione della persona nel quotidiano rendendo, di conseguenza, gli interventi assistenziali di caregiver e familiari meno gravosi durante le occupazioni sottoposte a training. Dagli studi inoltre si evidenzia particolarmente rilevante l’attività di counselling rivolta ai familiari dei pazienti da parte del terapista occupazionale: l’insegnamento di strategie concrete, oggettive e osservabili “sul campo” da applicare quotidianamente riduce loro lo stress con un significativo miglioramento della qualità di vita propria e dei propri cari.
Tramite l’introduzione di attività ed occupazioni diverse (ad es. arti, mestieri, attività domestiche) per le quali siano state identificate delle potenzialità, la terapia occupazionale si propone non solo di far riacquistare al paziente una funzione lesa o una abilità perduta, ma soprattutto di recuperarlo dal punto di vista cognitivo e funzionale, quanto più completamente possibile a sè e al suo ambiente: famiglia, lavoro, vita di relazione. Bach (1995) in uno studio longitudinale controllato durato 24 settimane ha dimostrato che la terapia occupazionale associata alla riabilitazione motoria è in grado di migliorare le prestazioni cognitive, le relazioni sociali e la qualità di vita in pazienti istituzionalizzati affetti da demenza lieve o moderata. L’American Occupational Therapy Association utilizza un approccio specifico per l’attuazione di un protocollo di trattamento nelle varie fasi della demenza della corretta stimolazione occupazionale anche in attività avanzate della vita quotidiana (Tabella 3) (Bach et al., 1995).
La maggioranza delle persone anziane esprimono il desidero di continuare a vivere nel proprio domicilio, dove trascorrono le loro giornate con una routine consolidata e sperimentata nel corso della propria vita. L’invecchiamento della popolazione e l’aumento del numero di anziani pone davanti alla socialità nuove scelte assistenziali: è indubitabile che gli anziani e i loro caregiver chiedono ambienti di vita più fruibili, più adatti alle ridotte capacità motorie e cognitive.
A questo scopo, risulta necessario riadattare la casa della persona affetta da demenza con modifiche in termini di architettura (es. adattare scale esterne con montascale), interior design e soluzioni tecnologiche (es. valvole di chiusura gas, porte a chiusura automatica etc). Sottolineiamo che ogni intervento di adattamento ambientale deve comunque essere sempre preceduto da un’attenta analisi cognitiva, occupazionale, motoria e sociale: l’adattamento deve essere eseguito “su misura” e non può essere standardizzato per ogni caso clinico sottoposto a consulenza. In questo caso l’intervento del Terapista Occupazionale, in accordo con i dati della letteratura, risulta indispensabile.
Conclusioni
La riabilitazione della persona con demenza richiede un approccio multidisciplinare basato sulla comunicazione attiva con la persona, con la creazione del contatto con il paziente per migliorare la compliance al trattamento. Il percorso riabilitativo va calibrato su misura per le esigenze del paziente, ricorrendo a strategie adattative e compensative che mirano al recupero funzionale. L’ottica interdisciplinare rappresenta la modalità più efficace per raggiungere gli obiettivi preposti. All’interno di questo percorso è fondamentale riconoscere l’importanza della presenza dei familiari che rappresentano il principale supporto per l’anziano non autosufficiente.
Bibliografia
Bach D., Bach M., Bohmer F., Fruhwald T., Grilc B. (1995), Reactivating occupational therapy: a method to improve cognitive performance in geriatric patients, Age Ageing, 24(3), pp. 222-6.
Ferri CP., Prince M., Brayne C., Brodaty H., Fratiglioni L., Ganguli M., et al. (2005), Global prevalence of dementia: a Delphi consensus study, Lancet, 366(9503), pp. 2112-7.
Graff MJ., Vernooij-Dassen MJ., Thijssen M., Dekker J., Hoefnagels WH., Rikkert MG. (2006), Community based occupational therapy for patients with dementia and their care givers: randomised controlled trial, BMJ, 333(7580), p. 1196.
Kielhofner G.A. (2002), Model of human occupation: theory and application, Baltimore, Williams & Wilkins..
King MB., Tinetti ME. (1996), A multifactorial approach to reducing injurious falls, Clin Geriatr Med, 12(4), pp. 745-59.
Morghen S., Gentile S., Ricci E., Guerini F., Bellelli G., Trabucchi M. (2011), Rehabilitation of older adults with hip fracture: cognitive function and walking abilities, J Am Geriatr Soc, 59, pp.1497-502.
Rizzolatti G., Sinigaglia C. (2006), So quel che fai, il cervello che agisce e i neuroni specchio, Milano, Raffaello Cortina Editore.
Seitz DP., Gill SS., Austin PC., et al. (2016), Rehabilitation of older adults with dementia after hip fracture, J Am Geriatr Soc, 64, pp. 47-54.
Teri L., Logsdon RG., McCurry SM. (2008), Exercise interventions for dementia and cognitive impairment: the Seattle Protocols, J Nutr Health Aging, 12(6), pp. 391-4.
Yu F., Kolanowski AM., Strumpf NE., Eslinger PJ. (2006), Improving cognition and function through exercise intervention in Alzheimer’s disease, J Nurs Scholarsh, 38(4), pp. 358-65.