Operatori e responsabili delle RSA sono sempre pieni di buona volontà. Cercano di lavorare bene per migliorare la qualità di vita delle persone che assistono ma, qualche volta, possono cadere in trappole inaspettate, ad esempio nel ricorso pervasivo del linguaggio non verbale trascurando quello verbale. Talvolta gli strumenti ideati per un’assistenza di qualità possono infatti trasformarsi in trappole insidiose.
Il fatto che tali trappole si annidino proprio all’interno di scelte nate dal desiderio di “fare bene”, finalizzate a migliorare la comunicazione e il benessere delle persone con deficit cognitivi, fa sì che esse siano difficili da individuare. La rinuncia all’uso della parola e il ricorso precoce e sistematico al linguaggio non verbale sono trappole in cui è possibile incorrere.
L’approccio capacitante® nei disturbi del linguaggio
L’ApproccioCapacitante® è un approccio basato sull’ascolto e sulla parola che aiuta a non scivolare nelle bad practice proprio nel momento in cui si è convinti di applicare delle buone prassi. Partendo dalle tecniche capacitanti utilizzate da una psicologa, proponiamo alcune riflessioni sulla competenza emotiva e sui disturbi di linguaggio, per approdare poi ad una considerazione importante sulla trappola costituita da tali disturbi.
La trascrizione di seguito riportata propone una conversazione apparentemente priva di senso con la signora Lia (nome di fantasia) con decadimento cognitivo di grado severo (MMSE 7) ed evidenti disturbi del linguaggio.
Una conversazione impossibile?
Lia: Lia ha 86 anni, scolarità di 5 anni. Vive in una RSA da un anno. Passa la maggior parte del tempo in carrozzina, solitamente è molto riservata, poco disponibile alle relazioni e al dialogo.
Il contesto: Prima della conversazione trascritta qui di seguito, Lia aveva incontrato la propria famiglia e la psicologa si era avvicinata al gruppetto per conoscere i familiari e aggiornarli sulla situazione. Poco dopo la visita, la psicologa torna a incontrare Lia per chiederle com’è andato l’incontro a cui anche lei ha partecipato.
La conversazione: La conversazione avviene in RSA, in un corridoio isolato, poco prima di pranzo. È stata registrata in modo palese con il consenso informato del conversante e del familiare di riferimento. La psicologa partecipa alla conversazione adottando l’ApproccioCapacitante®. La trascrizione è fedele, comprese le parole mal formate, tronche, ripetute e le frasi senza senso. Il nome dell’ospite e ogni dato che possa permettere l’identificazione sua o di altre persone e luoghi sono stati modificati per rispettarne la privacy. La conversazione è durata 5 minuti e 11 secondi.
Il testo: Una cosa così me la ricorderò sempre!
1. PSICOLOGA: “Allora, volevo sapere com’è andata”.
2. LIA: “Bene, bene, se sem proprio contenta, son proprio contenta poi cer ala anche il figlio (parola incomprensibile) de il suo cognato, eh mi sono trovata bene... non me l’aspettavo che proprio lei veniva”. (ride emozionata)
3. PSICOLOGA: “Non ti aspettavi che venivo lì”.
4. LIA: “Mi son trovata… le mi sono trovata davanti l… l’unica persona che proprio mi era, non me l’aspettavo mai… eh”.
5. PSICOLOGA: (rido) “Ti ho fatto una sorpresa”.
6. LIA: “Sì sì… beh, tutta contenta, anche mio figlio l’è tutto contento che lei è stata rista rista, è stata risalita da, dalla doma, dalla domanda”.
7. PSICOLOGA: “Mmh, ti ha fatto piacere… volevo proprio conoscere tuo figlio. Innanzitutto perché non l’ho mai visto, mi hanno detto che era lì fuori con te e sono venuta a conoscerlo”.
8. LIA: “Lì, lavora lì”.
9. PSICOLOGA: “Lavora lì”.
10. LIA: “Mmh…”
11. PSICOLOGA: “Volevo conoscerlo e volevo raccontargli un po’ le cose che facciamo insieme”.
12. LIA: “Sì sì, sono conten, io sono molto contenta… ma mai aspetto un una cosa così… per me… eh… me la ricorderò sempre!”
13. PSICOLOGA: “Te la ricorderai sempre (sorrido)… ti ha fatto molto piacere!”
14. LIA: “Sì sì, sì sì… anche il mio papà… ma siamo stati un po’… si si perde anche la la voce”.
15. PSICOLOGA: “Si perde un po’ la voce. (sorrido, pausa) Un po’ per l’emozione”.
16. LIA: “Eh sì sì sì… mmh… eh c’era ancora un po’… così, a parlare”.
17. PSICOLOGA: “Siete stati lì un po’ a parlare”.
18. LIA: “A parlare così eh, e anche mio papà mi è sta sta to contento… che non l’ha mai visto mio papà”.
19. PSICOLOGA: “No no, non ci siamo mai incontrati”.
20. LIA: “Ah ah eh di fatti a disce… chi chi è la sua signora lì, eh va va e (parola incomprensibile) e dopo anche venuta giù, quando è venuta via, ha ha parlato un po’ ancora eh… fa che è stato contento, è stato contento u…’l mio papà, e anche lei”.
21. PSICOLOGA: “Quindi anche tuo figlio ti ha detto, dopo che abbiamo parlato, che è stato contento”.
22. LIA: “Sì sì, lui, eh eh… non me l’aspettavo mai, non me l’aspetterò mai, proprio.
(ridiamo insieme, pausa lunga) Mah… fino agi, fino agitata”.
23. PSICOLOGA: “Ti sei perfino agitata per questa cosa, ma ti sei un po’ preoccupata anche?”
24. LIA: “No no, co co te so so soltanto agitata eh… non so, non mi viene neanche più la parola”.
25. PSICOLOGA: “E’ stata un’emozione positiva? è stata un emozione negativa?”
26. LIA: “No, tutte e due”.
27. PSICOLOGA: “Tutte e due. Forse all’inizio ti sei un po’ preoccupata, poi ti ha fatto piacere”.
28. LIA: “Beh eh sì sì eh… io le persone non è che sono un gran, un granché… così, ma però loro… è la mia famiglia, no, è sempre stata proprio una co, de la co, una co, una cosa più è stata attaccati, eravamo sempre stati, non sono mai andata andata lontano… perso con tanta gente, perché tanti mettono anche da parte… ma con mio papà è andata sempre bene”.
29. PSICOLOGA: “Siete stati molto attaccati”.
30. LIA: “Sì sì, sì”. (pausa lunga)
31. PSICOLOGA: “Siete una famiglia unita e vi volete bene”.
32. LIA: “Sì sì, sì sì… sì. (pausa di 16 sec) Eh ma, ma non voglio disturbare, perché… vieni su ancora a mangiare”.
33. PSICOLOGA: “Mi fermo anche io a mangiare con voi! (sorrido) Sai che mi piacerebbe molto, ma devo finire di lavorare, ti ringrazio per l’invito, magari un’altra volta mi fermo”.
34. LIA: “Eh”.
35. PSICOLOGA: “Sarebbe molto bello! Anche perché ho una fame! (ridiamo insieme) Va bene, grazie Lia per la chiacchierata, ti riaccompagno e ci vediamo la prossima volta”.
36. LIA: “Grazie tanto! Grazie tanto! Sono proprio contenta!”(ridiamo insieme)
Le tecniche capacitanti
Durante la conversazione hanno avuto un ruolo fondamentale le tecniche utilizzate dalla conversante. L’approccio capacitante distingue tecniche passive e attive.
Tecniche passive: tra le tecniche passive ampiamente utilizzate lungo tutta la conversazione sottolineiamo:
- ascoltare con attenzione, prendere sul serio (turno 7, 11, 19)
- rispettare la lentezza e le pause
- non interrompere
- non fare domande
- non correggere (turno 19, 21).
Tecniche attive: tra le tecniche attive utilizzate sottolineiamo:
- aprire la conversazione in modo da favorire l’emergere della parola dell’interlocutore (turno 1)
- riconoscere le emozioni (turno 3, 5, 13, 15, 23, 25, 27, 29, 31)
- rispondere alle richieste (turno 33, 35)
- fare eco (turno 9, 15, 27)
- restituire il motivo narrativo (turno 17, 21, 29, 31)
- somministrare frammenti di autobiografia (turno 35).
La competenza emotiva
Lia ha un decadimento cognitivo severo ma conserva la sua competenza emotiva. In questa breve conversazione riesce ad esprimere con le sue parole “malate”, quello che ha provato durante l’incontro precedente e quello che prova nei confronti della sua famiglia e, in particolare, di suo figlio. Riesce a condividere un’ampia gamma di emozioni: sorpresa, agitazione, contentezza, riconoscenza, forse anche orgoglio e soddisfazione, timore di disturbare, certamente amore per la sua famiglia.
Possiamo immaginare che l’aver ricevuto attenzione e parole di apprezzamento di fronte alla sua famiglia, l’abbia fatta sentire riconosciuta come persona, al di là della demenza. Lia riesce quindi ad esprimersi con tanta appropriatezza e precisione probabilmente perché, sia nel là e allora dell’incontro con la sua famiglia, sia nel qui ed ora della conversazione con la psicologa, si è sentita presa sul serio e riconosciuta come persona. Sempre a proposito della competenza emotiva è interessante notare come, ai turni 25 e 26, Lia si mostra addirittura consapevole di avere due emozioni contrastanti e contemporanee:
25. PSICOLOGA: “E’ stata un’emozione positiva? è stata un emozione negativa?”
26. LIA: “No, tutte e due”.
I disturbi del linguaggio
Il punteggio del MMSE inferiore a 10 indica una demenza di grado severo. Ma questo punteggio che cosa significa nel caso specifico di Lia? Lia non solo è competente dal punto di vista emotivo, ma è anche competente nelle relazioni e ricorda con precisione la visita dei familiari appena avvenuta. Quello che risalta di più della sua patologia è il disturbo del linguaggio, evidente e di grado abbastanza avanzato (parole tronche, storpiate, anomie, frasi interrotte).
D’altra parte, il testo mette in evidenza che Lia ha un pensiero adeguato al contesto e sa quello che vuole dire anche se lo esprime con parole malate a causa del disturbo di linguaggio.
Inoltre, Lia è consapevole del disturbo afasico:
24. LIA: “No no, co co te so so soltanto agitata eh… non so, non mi viene neanche più la parola”.
In altre parole si assiste a una dissociazione tra competenza a parlare e a comunicare: Lia parla male ma riesce a comunicare abbastanza bene.
La competenza a parlare e la competenza a comunicare
Dal punto di vista dell’approccio capacitante la competenza a parlare di un paziente si manifesta con la sua produzione di parole, anche parole malate come quelle tronche, storpiate, ripetute, urlate, fino alla lallazione e ai lamenti. Tale competenza è presente in questa conversazione, tanto che i turni con maggiore produzione verbale sono quelli di Lia (turno 2, 6, 20, 28). La psicologa parla poco e ascolta molto, Lia parla come può, parla volentieri e parla molto. Dal punto di vista dell’approccio capacitante la competenza a comunicare si può rilevare facendo l’inventario dei motivi narrativi.
Per valutare la competenza a comunicare di Lia, oltre a prendere atto delle emozioni che ha comunicato con efficacia, possiamo procedere all’inventario dei motivi narrativi. In altre parole, ci siamo chiesti: Lia con le sue parole malate di che cosa ha parlato, che cosa è riuscita a comunicare?
- Sono contenta adesso (turno 2, 12, 37)
- C’era anche mio figlio (turno 2)
- Anche mio figlio è stato contento (turno 20, 22)
- Siamo stati lì a parlare (turno 16)
- Mio papà è stato contento (turno 18)
- Sono stata sorpresa che venisse anche lei (turno 2, 4, )
- Non me l’aspettavo, sono perfino agitata (turno 22)
- Non mi sono preoccupata (turno 24)
- Sono stata contenta durante l’incontro con i familiari (turno 6, 14)
- Anche mio figlio è stato contento (turno 6)
- Mio figlio lavora (turno 8)
- Mi ricorderò sempre l’incontro con i miei familiari a cui ha partecipato anche lei (turno 12)
- C’era anche il mio papà (turno 14)
- Mio papà è stato contento (turno 18, 20)
- Mio papà non l’aveva mai visto (turno 18)
- Si perde la voce (turno 14, 16)
- Non mi viene più la parola (turno 24)
- Siamo tutti attaccati in famiglia (turno 28, 30, 32)
- Con mio papà è sempre andata bene (turno 28)
- Non voglio disturbare (turno 32)
- Vieni su a mangiare anche tu (turno 32)
- Ti ringrazio (turno 36)
Possono lasciare perplessi i turni 14, 18, 20 in cui Lia nomina la parola papà ma forse vuole riferirsi al figlio, come lascerebbero intendere i turni 20, 21, 22.
Lungo tutta la conversazione Lia risulta ben orientata nel tempo, facendo una distinzione tra la visita dei familiari (passata) e l’incontro con la psicologa (presente). L’orientamento nel tempo ha anche un corrispettivo linguistico nell’uso appropriato dei tempi verbali, presente, passato prossimo e futuro. A questo proposito segnaliamo l’uso corretto di due verbi al tempo futuro (ricorderò al turno 12 e aspetterò al turno 22) che sono di uso rarissimo nel parlato delle persone con demenza.
Alla ricerca di un filo conduttore
Se rileggiamo i motivi narrativi individuati possiamo facilmente aggregarli in tre motivi principali:
- Adesso sono contenta perché tu sei intervenuta nella visita dei miei familiari, con mio figlio. Siamo una famiglia unita.
- Faccio fatica a raccontare perché mi mancano le parole.
- Il tuo arrivo mi ha sorpreso e mi ha fatto piacere, non vorrei disturbarti, vorrei che pranzassimo insieme, ti ringrazio
Se vogliamo fare un’ulteriore riduzione, potremmo riassumere così tutta la conversazione: sono contenta della mia famiglia e della tua partecipazione all’incontro. Collateralmente notiamo che Lia, nonostante la sua demenza di grado severo, è consapevole dei propri disturbi di linguaggio e ben orientata nella relazione con la psicologa.
La trappola dei disturbi del linguaggio e l’io sano
La considerazione finale riguarda il fatto che Lia è una persona che conserva molte competenze ma che, a causa dei gravi disturbi del linguaggio, per un osservatore superficiale può sembrare più deteriorata di quello che effettivamente è. Questi disturbi probabilmente contribuiscono in modo determinante al basso punteggio del MMSE e alla stadiazione della demenza come di grado severo, con la conseguente svalutazione della persona, del suo essere, delle sue competenze e delle sue possibilità.
In questa conversazione, invece, la psicologa non si lascia influenzare dal punteggio del MMSE, promuove la conversazione, ascolta con attenzione le parole malate di Lia, le prende sul serio e ottiene un risultato importante. Nel corso del colloquio la posizione dei conversanti, inizialmente molto asimmetrica, diventa progressivamente più paritaria, passando dalle risate condivise fino ad arrivare ai turni finali in cui la psicologa ringrazia e Lia a sua volta ringrazia e dichiara la propria contentezza con tre frasi ben costruite, con parole “sane”:
36. PSICOLOGA: “Sarebbe molto bello! Anche perché ho una fame! (ridiamo insieme)Va bene, grazie Lia per la chiacchierata, ti riaccompagno e ci vediamo la prossima volta”.
37. LIA: “Grazie tanto! Grazie tanto! Sono proprio contenta!”(ridiamo insieme).
In sintesi, l’approccio capacitante insegna a:
- guardare in modo nuovo quello che appare a prima vista
- riconoscere l’io sano anche nelle espressioni più evidenti dell’io malato
- riconoscere la persona partendo dall’ascolto delle sue parole, anche quelle malate.
Conclusione
Lo studio del testo di una conversazione con un paziente affetto da demenza di grado severo e gravi disturbi del linguaggio ha messo in evidenza la trappola di focalizzare l’attenzione su tali disturbi, molto appariscenti, e di trascurare invece l’evidenza della competenza a parlare, a comunicare ed emotiva ancora presenti.
Di fronte al rischio di impoverimento della relazione e di infantilizzazione, determinate con l’uso esclusivo del linguaggio non verbale, è opportuno imparare a tener vivo e valorizzare il linguaggio verbale anche con le persone con demenza di grado severo. Dobbiamo fare in modo che le buone prassi diano davvero buoni risultati e non si trasformino, senza che noi ce ne accorgiamo, in strumenti di bad practice e di infelicità.