6 Aprile 2023 | Strumenti e approcci

Il cambiamento di abitudini e stili di vita in età anziana fra pregiudizi, fatiche e opportunità

Diverse professioni di aiuto possono promuovere il cambiamento di abitudini quotidiane e stili di vita che, a qualunque età, influiscono sullo stato di benessere e di salute e sulla qualità della vita; con le persone anziane questa importante funzione può essere ostacolata da visioni antiche, ormai ampiamente inadeguate. L’articolo sottolinea la necessità di riflettere sullo sfondo culturale e sugli atteggiamenti verso il cambiamento in età anziana, e propone alcuni suggerimenti operativi.

Il cambiamento di abitudini e stili di vita in età anziana fra pregiudizi, fatiche e opportunità

L’età anziana è raramente correlata al cambiamento in termini proattivi e propositivi. Quando si parla di questo tema, ci si riferisce solitamente alle modifiche connesse da un lato al fisiologico processo di invecchiamento, dall’altro ai mutamenti nei ruoli sociali, sottolineando le dimensioni di declino fisico e cognitivo, perdita (di capacità, possibilità, senso, prospettiva), ineluttabilità: a questo si collegano scenari esistenziali e relazionali di rinuncia, ritiro, malinconia, passività.

Le profonde modificazioni che hanno interessato l’ultima fase della vita, a livello sia individuale che collettivo, impongono invece di rivalutare le dimensioni di speranza e di progettualità, con una visione realistica ma serena di questa parte ormai lunga dell’esistenza, in cui il cambiamento di stili di vita e abitudini – anche ad età avanzate – può risultare essenziale per il benessere e la salute.

 

I cambiamenti età-correlati: una condanna da subire o una trasformazione da vivere?

È indubbio che l’età anziana comporti modifiche significative di tipo strutturale e funzionale sul piano somatico, cognitivo e psichico. Sicuramente il corpo si trasforma, la forza e la resistenza (fisica e mentale) diminuiscono, le performance si riducono, il rischio di fragilità emotiva aumenta; tuttavia, una maggiore conoscenza di sé, un’esperienza di vita più ampia e radicata, un atteggiamento più sereno ed equilibrato, l’accettazione del limite possono spesso compensare le modifiche che avvengono, con un uso più consapevole delle proprie risorse e del tempo, la definizione di obiettivi più realistici, una maggiore finalizzazione di gesti e azioni.

 

Il termine dell’attività lavorativa comunemente intesa può rappresentare un evento critico, un momento di grande e duraturo squilibrio, con incapacità di riprogettazione esistenziale e rischi di vario genere (isolamento sociale, depressione, giornate consumate sul divano di fronte alla TV, comportamenti problematici quali consumo di alcol o gioco d’azzardo). Il pensionamento costituisce però anche il momento di passaggio a una diversa fase della vita, in cui diviene fondamentale rifondare impegni, interessi, relazioni, abitudini quotidiane, per compensare la perdita del ruolo sociale e dell’identità di lavoratore e per ristrutturare il tempo presente e futuro. Il tempo liberato dalla conclusione del percorso lavorativo e dalla riduzione degli impegni familiari dovrebbe infatti essere opportunamente pensato e pianificato in una nuova prospettiva, in cui l’alternanza di impegno e relax sia rivisitata e orientata a un atteggiamento consapevole della diversa fase di vita, ma non rinunciatario, inconcludente, senza meta se non quella dell’inattività e dell’isolamento.

 

Un aspetto specifico dell’età anziana riguarda il lutto, esperienza umana che può attraversare anche fasi di vita molto precedenti ma che tipicamente interessa la fase finale dell’esistenza, specie riguardo alla morte di persone care, più o meno coetanee. Lo scenario relazionale può comunque impoverirsi, per protagonisti con cui si sono condivise fasi precedenti di vita che “scompaiono” dalla scena, a causa di malattia e non autosufficienza.

 

La non negazione delle perdite (psicofisiche, sociali, relazionali) – che ovviamente corrisponde a un percorso, impegnativo e non lineare – può consentire di riconoscere la realtà così come si va configurando man mano che l’età aumenta, impiegare in modo più opportuno risorse e tempo, ricercare differenti spazi e modalità di consolazione/appagamento e di condivisione, nella definizione di un nuovo equilibrio.

 

Il peso di una visione statica e riduttiva

Alle oggettive modificazioni della vita in età anziana fa da sfondo un contesto culturale talvolta ancora impregnato da una visione di tipo “ingegneristico” che struttura le fasi della vita in modo statico e fisso, con una sequenza precisa e lineare (fase evolutiva, fase produttiva e riproduttiva, senescenza), riservando alle prime fasi le dimensioni di apprendimento, sviluppo, costruzione e condannando le ultime fasi alle dimensioni di decadimento, perdita e involuzione.

 

Tale visione poteva forse risultare tollerabile in un’epoca in cui l’esistenza delle persone era “da copione”, strutturata secondo una successione molto definita (scuola, entrata nel mondo del lavoro, matrimonio e uscita dalla casa della famiglia d’origine, nascita e crescita dei figli, uscita da casa dei figli, nascita e crescita dei nipoti, pensione, vedovanza, morte): esistevano confini invisibili, ma molto forti, fra le tappe e i momenti di entrata e di uscita da studio, lavoro, abitazione familiare, relazioni di coppia e genitoriali.

 

Ormai da molto tempo l’invecchiamento demografico, unito alle trasformazioni di mercato del lavoro, strutture familiari, stili di vita e scenari esistenziali, hanno scardinato questo “ordine del mondo”, rendendo tutto più fluido e permeabile: tuttavia, resta – più o meno sottotraccia – una visione che fatica a collegare l’età anziana alle dimensioni di speranza, costruzione, progettualità. Una visione più ampia evidenzia invece che in ogni fase della vita sono presenti, in diversa misura e combinazione e con riguardo a differenti aree, sia le dimensioni di apprendimento e crescita, sia le dimensioni di decadimento e perdita: in questa prospettiva, l’età anziana diviene un’età della vita in cui indubbiamente si manifestano difficoltà e riduzioni, ma anche miglioramenti, nuove forme di abilità e di sviluppo, riprogettazione esistenziale, evoluzione complessiva che porta a compimento la vita stessa; una fase dell’esistenza, quindi, molto significativa.

 

Fondamentale in questo senso è il contributo fornito dalla psicologia del ciclo di vita, che ha allargato lo sguardo allo sviluppo psicosociale delle persone, includendo anche la fase finale dell’esistenza ed esprimendo che lo sviluppo riguarda tutta la vita e che gli schemi di evoluzione e cambiamento presentano una notevole variabilità individuale, intrecciata alle dinamiche familiari e condizionata dal contesto sociale. Il processo di sviluppo non segue un percorso lineare in termini di crescita-maturità-declino ma un percorso complesso, che presenta in ogni fase di età momenti o stadi evolutivi e momenti o stadi involutivi, in un susseguirsi di acquisizioni e perdite che caratterizza la vita stessa. Ogni persona è quindi in costante trasformazione e può cambiare, a qualunque età: in questa ottica l’invecchiamento è un percorso dinamico, “in progress”, caratterizzato ancora da plasticità evolutiva.

 

Anziani, autosufficienza e stili di vita

Passi d’Argento, il sistema di sorveglianza epidemiologica della popolazione anziana affidato dal Ministero della Salute all’Istituto Superiore di Sanità nel 2011, quantifica – tramite le scale BADL e IADL1 – le condizioni di disabilità e di fragilità2: dai dati 2016-2019 emerge che la disabilità riguarda il 15% degli over 65 e la fragilità il 18% degli over 65, ovviamente con differenze per età, livello di istruzione, condizione economica.

 

Se il 33% degli anziani italiani è interessato da disabilità o fragilità, il 67% degli over 65 è in condizioni di autosufficienza sostanzialmente buone, nonostante l’eventuale convivenza con deficit funzionali e malattie croniche. Fattore decisivo e non modificabile è l’età avanzata: i dati ISTAT sottolineano la progressiva compressione delle condizioni di salute più precarie verso fasce di età sempre più elevate.

 

Come è noto, gli stili di vita sono fondamentali a qualunque età e in qualsiasi situazione di salute e di autosufficienza, rappresentando un fattore cruciale di promozione della salute e di prevenzione (primaria o terziaria): è quindi evidente che l’adozione di stili di vita più salutari è un tema che riguarda milioni di anziani. I dati riferiti al 2019 già evidenziavano una situazione con ampi spazi di miglioramento possibili, riguardo a comportamenti della vita quotidiana modificabili, che quando inadeguati aumentano il rischio di malattie cardiovascolari e di alcuni tumori considerati big killer.

 

Box 1 – Stili di vita inadeguati in età anziana

 

Inoltre, la popolazione anziana è quella che trascorre il maggior numero di ore quotidiane davanti a uno schermo. Il tempo trascorso di fronte alla TV rischia di diventare un tempo vuoto, passivo, che difficilmente può apportare benessere e che nel lungo termine può condizionare negativamente la salute psicofisica e sociale (effetti della sedentarietà, peggioramento delle prestazioni cognitive, senso di noia e umore depresso, solitudine).

 

Figura 1 – Tempo trascorso davanti a uno schermo, non a scuola o al lavoro (ore in un giorno medio settimanale)

L’azione sui principali determinanti di malattia correlati agli stili di vita (alimentazione non equilibrata, fumo di tabacco, consumo di alcol, sedentarietà) è auspicabile fin da giovani, ma è ormai dimostrato che può risultare efficace anche dopo i 65 anni, per promuovere migliori condizioni di salute e minore carico di malattia. Tutti gli operatori che intervengono, a vario titolo e in differenti contesti, con persone anziane si confrontano nel loro lavoro quotidiano con pensieri, abitudini e comportamenti delle persone che influiscono in modo significativo sul loro stato di salute presente e futuro, sulla durata e sulla qualità della loro vita: sono quindi spesso ingaggiati, più o meno implicitamente, nell’aiutare a cambiare.

 

L’ageismo, insidia invisibile al ruolo degli operatori come promotori del cambiamento

Cambiare le abitudini quotidiane modificabili è un buon passo nella direzione di aumentare benessere e salute, ma può risentire di pregiudizi e stereotipi sulla possibilità di cambiamento in età anziana. Una visione miope, piuttosto diffusa e ancora radicata, considera le persone anziane come impossibilitate o incapaci di cambiamento: molti sono convinti (a torto) che a una certa età non valga più la pena o sia poco possibile cambiare. Questa convinzione – attribuibile, oltre allo sfondo culturale sopra delineato, alla presunta rigidità e immodificabilità negli anziani di tratti caratteriali e abitudini consolidate nel tempo – condiziona l’atteggiamento verso stili di vita e comportamenti inadeguati degli anziani, minando alla base la possibilità di migliorare sensibilmente la qualità della vita di chi ha superato i 70 o anche gli 80 anni, per tutto il tempo che resta (spesso non pochi anni).

 

L’approccio culturale è determinante: la patologia principale della vecchiaia è l’idea che ne abbiamo (Hillman, 2000). Durante l’invecchiamento, fondamentale è lo sguardo degli altri, che riconoscono chi invecchia esclusivamente per ciò che è, non più – come in passato – per ciò che potrebbe essere; l’età anziana viene così considerata come l’età in cui nulla può più accadere, per il semplice fatto che tutto è già accaduto (Mistura, 1995). E ancora: le placche dell’arteriosclerosi sono devastanti, ma quelle di abitudine e pregiudizi non sono da meno (Spagnoli, 1995).

 

Pregiudizi e stereotipi possono essere espressi non solo dagli stessi anziani (“alla mia età non posso fare niente per cambiare”, “non vale più la pena”) o dai familiari (“ha sempre fatto così”, “alla sua età, ormai…”), ma anche dagli operatori. Un esempio: ponendo a confronto i dati 2016-2019 dei sistemi di sorveglianza Passi e Passi d’Argento dell’Istituto Superiore di Sanità, emerge che il consiglio, da parte di un medico/operatore sanitario, di praticare più attività fisica ha riguardato nemmeno un terzo sia della popolazione adulta che della popolazione anziana; l’attenzione a promuovere uno stile di vita più salutare, riducendo la sedentarietà, appare più significativa nei confronti di chi è in eccesso ponderale (sovrappeso o obeso) e di chi ha almeno una patologia cronica, ma questo avviene per la popolazione adulta e non per la popolazione anziana (Sanguedolce, Tedesco, 2023).

 

Altro esempio: le conseguenze della prolungata esposizione quotidiana a uno schermo sono oggetto da tempo di attenzione, preoccupazione e studi specifici riguardo a bambini e adolescenti, per i quali istituzioni e associazioni professionali si sono espressi con raccomandazioni che invitano a moderare l’uso di cellulare, PC o videogiochi; è esperienza comune sentire genitori che – preoccupati delle troppe ore trascorse continuativamente davanti a uno schermo – chiedono in modo deciso di interrompere uso e visione dei supporti tecnologici. Qualcosa di analogo non avviene per gli anziani di fronte alla TV da molte ore.

 

Quando espressi (di solito inconsapevolmente) dagli operatori, gli stereotipi e i pregiudizi riferiti al cambiamento in età anziana possono inibire una fondamentale funzione dei professionisti dell’aiuto, spesso individuati come promotori di cambiamento verso un maggiore benessere e una migliore qualità di vita. È fondamentale quindi che gli operatori adottino uno sguardo critico e autocritico verso l’atteggiamento nei confronti del cambiamento in età anziana.

 

I modelli teorici sul cambiamento

In letteratura esistono diversi modelli teorici che hanno cercato di spiegare il cambiamento del comportamento: alcuni sono stati formulati a partire dall’idea che le cognizioni (conoscenze, credenze, valori) possano essere le principali determinanti delle azioni delle persone; altri hanno enfatizzato il ruolo dell’ambiente di vita e approfondito l’analisi del rapporto fra contesto e comportamento.

 

Molto noto e citato è il modello transteorico elaborato da Prochaska e Di Clemente all’inizio degli anni ’80: nel tentativo di modificare i propri comportamenti, le persone seguono un percorso ciclico articolato in fasi (gli stadi del cambiamento); il progresso da una fase all’altra è guidato da specifici processi, che permettono di modificare il modo di pensare, di sentire e di agire della persona rispetto al suo comportamento inadeguato. Nel corso del tempo questo modello è stato applicato a una vasta gamma di comportamenti disfunzionali, compresi quelli riferiti ai determinanti di malattia correlati agli stili di vita (alimentazione non equilibrata, fumo, alcol, sedentarietà), per poi essere assunto nella prevenzione e nella promozione di comportamenti salutari.

 

Gli stadi del cambiamento individuati da Prochaska e Di Clemente (Ragazzoni, et al., 2014) rappresentano sia la fase del processo che le caratteristiche comportamentali della persona in quella fase. Le ricadute – parte integrante del processo – consistono nella ripresa del comportamento problematico, una o più volte, con conseguente ritorno a uno stadio precedente. Questo modello sottolinea che il cambiamento è un processo graduale, continuo e dinamico; un processo che risponde a regole generali, ma che è comunque variabile in modo significativo da persona a persona. Suggerisce inoltre che le persone passino attraverso un crescente grado di disponibilità verso il cambiamento, prima di intraprenderlo.

 

Figura 2 – Gli stadi del cambiamento individuati da Prochaska e Di Clemente

I fattori implicati nel cambiamento in tarda età

Al cambiamento concorrono svariati fattori: la motivazione della persona anziana; un contesto familiare e relazionale favorevole e supportivo; un sistema sanitario orientato alla promozione della salute; un atteggiamento di fiducia e di speranza degli operatori con cui la persona anziana entra in contatto. Riguardo alla dimensione della speranza, Emily Dickinson ha affermato: “La speranza è quella cosa piumata che si viene a posare sull’anima. Canta melodie senza parole e non smette mai”. Con altro stile, Miller e Rollnick – autori fin dagli anni ’90 di celebri testi sul colloquio motivazionale – hanno scritto: “La speranza è la convinzione che il cambiamento sia possibile”.

 

Nel quadro delineato, tutte le figure professionali che intervengono, a vario titolo, con e per le persone anziane hanno una responsabilità innanzitutto di tipo culturale e informativo, per aiutare a modificare abitudini e stili di vita riconosciuti da molti come dannosi per il benessere psicofisico individuale e per le ricadute, anche a lungo termine, su famiglie e società (Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate, 2020).

 

La motivazione al cambiamento e la fiducia nelle possibilità di cambiamento rappresentano temi con cui tradizionalmente gli operatori implicati in una relazione di aiuto si confrontano nel loro lavoro quotidiano: fa parte di diverse professioni aiutare le persone a rileggere la loro storia e situazione in ottica evolutiva, a trovare o ritrovare senso e speranza nella propria esistenza anche se difficile, a individuare potenzialità e risorse in se stessi e nel contesto relazionale e di vita, a compiere un percorso di cambiamento affrontando anche le inevitabili pause e ricadute, le difficoltà e resistenze, l’ambivalenza tipicamente presente nel processo di cambiamento. Non sempre questo atteggiamento si manifesta solidamente anche con persone in età anziana, nei confronti delle quali si esprimono – come si è detto – credenze implicite, spesso non consapevolizzate, maturate in tempi antichi e inadeguate allo scenario degli anziani di oggi.

 

Fatiche e resistenze, ostacoli e difficoltà

Il cambiamento di abitudini e stili di vita è difficile, lungo e faticoso, a ogni età: richiede un impegno costante e la disponibilità ad affidarsi, costringe ad affrontare le proprie fragilità, fa provare una certa sofferenza nel lasciare abitudini inadeguate ma meno impegnative e in qualche modo confortanti, necessita un discreto volersi bene nel presente e un certo proiettarsi nel futuro. Il desiderio e la voglia di cambiare devono affrontare resistenze, ambivalenze, difficoltà e possibili ricadute, in un processo dinamico e interattivo di oscillazione fra cambiamento e mantenimento degli equilibri raggiunti, cui possono concorrere anche altri soggetti coinvolti, quali familiari o operatori (Fruggeri, 2022).

 

In ogni caso è opportuno tenere presente che l’ambivalenza è insita nel processo di cambiamento, di qualunque tipo e a qualunque età: Miller e Rollnick sostengono che la maggior parte delle persone che hanno bisogno di cambiare sono ambivalenti nel farlo, vogliono e al contempo non vogliono cambiare, possono conoscere i vantaggi dei comportamenti corretti ma incontrano ostacoli nel metterli in pratica. L’ambivalenza è considerata una tappa del processo di cambiamento, addirittura un traguardo per le persone che non sentono l’esigenza di cambiare (Miller, Rollnick, 2014).

 

L’ambivalenza è il punto dove più spesso si rimane bloccati sulla strada del cambiamento. In età anziana il mantenimento dello statu quo poggia su quanto abbiamo visto: da un lato la convinzione della presunta immutabilità in tarda età, quasi che tutto fosse cristallizzato e inamovibile, dall’altro l’idea “tanto, ormai…”, nonostante le evidenze scientifiche mostrino che l’adozione tardiva di stili di vita salutari ha comunque effetti benefici e nonostante la realtà demografica dell’invecchiamento, sotto gli occhi di tutti, evidenzi che anche un ultra75enne può avere di fronte a sé non pochi anni di vita.

 

Per diversi motivi, due situazioni frequenti in età anziana possono costituire ostacoli e difficoltà al cambiamento: il senso di solitudine e il ruolo di caregiver. Le persone sole – ormai un terzo della popolazione over 65 – possono incontrare maggiori difficoltà nel cambiare le proprie abitudini di vita e nell’adottare comportamenti più salutari: la solitudine esistenziale, con il senso di vuoto e di mancanza di prospettive che l’accompagnano, può minare la motivazione al cambiamento (iniziale e in itinere); durante il percorso può privare l’anziano di possibilità e occasioni di sostegno e condivisione, di gratificazione, di riconoscimento sociale.

 

Il ruolo di caregiver – nei confronti del proprio coniuge, di un genitore grande anziano, di un figlio con disabilità grave – solitamente assorbe totalmente le energie psicofisiche nel prendersi cura; al caregiving sono associati sia stress, stanchezza, sonno insufficiente, maggiore probabilità di ammalarsi per carenza di riposo e di difese immunitarie, rinuncia a controlli di routine, sia difficoltà ad adottare uno stile di vita orientato a prevenzione e promozione della salute. Nel percorso, spesso molto lungo, di caregiving diventa infatti difficile impegnarsi anche per il cambiamento di abitudini inadeguate.

 

Suggerimenti operativi

Preliminare è, in linea generale, un percorso di riflessione – singolarmente e in équipe – sulle proprie convinzioni, spesso poco consapevolizzate e analizzate, riguardo alle possibilità e capacità delle persone anziane di cambiare o, addirittura, al senso e all’opportunità di dedicare tempo, sforzi e fatiche al cambiamento in età anziana. La motivazione al cambiamento assume indubbiamente sfumature diverse da fasi precedenti della vita: sono quindi necessarie un’attenzione e un’osservazione specifiche, che possano riverberarsi positivamente nelle proposte e nel percorso di sostegno (ad esempio riguardo all’esplorazione di vantaggi del cambiamento, o alle modalità per condurre un colloquio motivazionale con una persona anziana).

 

Nell’affiancare una persona anziana per la quale un cambiamento è auspicabile ma non riconosciuto dall’interessato (fase di precontemplazione), può essere determinante un atteggiamento che contempli sia il riconoscimento della fatica di cambiare, sia la fiducia nella possibilità di cambiamento. Nelle fasi successive del processo di cambiamento risulta fondamentale mettere in campo competenza, comprensione empatica, ascolto autentico e riflessivo, sospensione del giudizio, capacità di attesa, rispetto dei ritmi altrui, fiducia ma anche coerenza e rigore.

 

Una iniziale motivazione al cambiamento, per quanto vaga e ancora poco robusta, è indispensabile per avviare il percorso: se l’anziano, pur sollecitato, non ha ancora maturato alcuna motivazione a cambiare (fase di precontemplazione), è difficile poter intervenire. In queste situazioni è comunque fondamentale non esprimere un atteggiamento giudicante ed etichettante la scarsa motivazione: questo sia per manifestare rispetto nei confronti della persona, nonostante le sue difficoltà e le conseguenze (già emerse o prefigurabili) dei suoi comportamenti inadeguati, sia per evitare di pregiudicare una possibilità di cambiamento che non è ancora maturata ma che potrebbe emergere in futuro. Aiutare l’altro a cambiare comporta accettare la persona così com’è, non rinunciando a priori al proprio ruolo di promotore del cambiamento ma rimanendo disponibili a riconoscere e rispettare la scelta di non cambiare, in quel momento o per sempre.

 

Nella fase iniziale di apertura al cambiamento (fase di contemplazione) e soprattutto nei momenti di sconforto lungo il percorso è altrettanto fondamentale che chiunque sia vicino o entri in contatto con la persona anziana rinforzi la sua motivazione e l’impegno a cambiare, considerando le risorse della persona e del suo contesto e sostenendo il raggiungimento e il mantenimento del cambiamento. Il rinforzo può essere diretto (utilizzare opportune tecniche motivazionali, accompagnare a sostituire i pensieri negativi e demotivanti con pensieri positivi e motivanti contrastando la profezia che si auto-avvera, sottolineare positivamente i progressi effettuati e il percorso di cambiamento in corso, incoraggiare nei momenti di crisi e di rischio di abbandono delle nuove abitudini, rassicurare in modo empatico) oppure indiretto (evitare di minimizzare i comportamenti problematici e le loro conseguenze, evitare di sottolineare i pregiudizi e gli stereotipi, contrastare solitudine e inattività, valorizzare i rapporti familiari e affettivi significativi). È molto importante gratificare la persona anziana per ogni obiettivo, anche piccolo, raggiunto e sostenerla nei momenti di difficoltà; può essere molto utile rendere il cambiamento affrontabile, suddividendolo in micro-cambiamenti o suggerendo strategie concrete (ad esempio evitare luoghi o situazioni che innescano il comportamento da modificare, individuare e programmare dei rinforzi positivi).

 

Il contrasto a solitudine, inattività e ritiro e la promozione di stili di vita salutari possono risultare favoriti da proposte di attività in gruppo: corsi di educazione alimentare, gruppi di cammino, gruppi di disassuefazione al fumo, gruppi di auto mutuo aiuto sull’alcol, università della terza età, altre forme esperienziali e culturali di impiego positivo del tempo e di socializzazione rappresentano – specie in età anziana – uno strumento formidabile per rafforzare la motivazione al cambiamento, sostenere durante il percorso di cambiamento, mantenere nel tempo un cambiamento, raggiungendo obiettivi più ampi degli sforzi individuali. Del resto un noto proverbio africano afferma: “Se vuoi andare veloce vai da solo, se vuoi andare lontano vai in gruppo.”

 

Per concludere

Se in passato l’età anziana veniva considerata come una stagione della vita, oggi è evidente che corrisponde a tante stagioni diverse, ognuna con specifiche potenzialità e sfumature del vivere dal sapore differente. Considerato il prolungarsi della vita, vale senz’altro la pena – anche in età avanzata – promuovere, sostenere e accompagnare percorsi di cambiamento, nell’ottica della migliore qualità di vita possibile e della ricerca di equilibrio, serenità, benessere psicofisico.

 

In questa considerazione assume un peso particolare il concetto di futuro. Il sociologo Alvin Toffler ha affermato: Il cambiamento è il processo col quale il futuro invade le nostre vite”. Se condividiamo l’idea che la dimensione della progettualità interessi anche l’età anziana, allora il cambiamento rappresenta a pieno titolo una possibilità e una opzione importante per le persone di età avanzata, che hanno diritto alla speranza e alla realtà di un futuro orientato a benessere e qualità della vita.

Note

  1. La scala BADL (Basic Activities of Daily Living) è riferita alle attività di base della vita quotidiana: igiene personale, vestizione, utilizzo dei servizi igienici, spostamenti in casa, continenza urinaria e fecale, alimentazione. La scala IADL (Instrumental Activities of Daily Living) indaga attività abituali di carattere strumentale: uso del telefono, spesa e acquisti, preparazione dei pasti, cura e governo della casa, lavaggio della biancheria, spostamenti fuori casa, assunzione dei farmaci, uso del denaro.
  2. Gli anziani fragili sono ancora autosufficienti nelle attività di base della vita quotidiana (BADL), ma non autosufficienti nello svolgimento di due o più attività complesse della vita quotidiana (IADL). Gli anziani disabili hanno ormai perso la loro autosufficienza in una o più delle attività BADL, che non riescono più a svolgere senza aiuto.

Bibliografia

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Hillman J. (2000), La forza del carattere. La vita che dura, Adelphi.

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Miller W. R., Rollnick S. (2014), Conversazioni sul cambiamento, in Il colloquio motivazionale. Aiutare le persone a cambiare, Erickson.

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Ragazzoni P.,  Di Pilato M., Longo R., Scarponi S., Tortone C. (2014), Gli stadi del cambiamento: storia, teoria e applicazioni. Modello transteorico di Di Clemente e Prochaska, Regione Piemonte – Centro regionale di documentazione per la promozione della salute.

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