27 Settembre 2023 | Strumenti e approcci

La squadra dei professionisti che sviluppano una cultura della cura

Questo articolo riflette sull’importanza di costruire una cultura condivisa della cura, obiettivo che risulta essere  impegnativo, soprattutto nell’ambito dei servizi alla persona e delle strutture per anziani. 

La squadra dei professionisti che sviluppano una cultura della cura

Esistono parole e termini che esercitano un’influenza significativa sull’ interpretazione che diamo della realtà; essi non solo determinano le azioni, ma soprattutto pongono le fondamenta di un progetto, diventano centrali e ne definiscono l’essenza, non solo l’obiettivo. Concetti come cultura, valori, squadra e cura, dovrebbero costituire il cuore del lavoro svolto dai professionisti impegnati nella sfida della fragilità, ma altrettanto importanti sono parole come desiderio, bellezza, speranza e vita, che si intrecciano nelle relazioni, al di là della fragilità e delle difficoltà che si presentano.

 

Il vero cambiamento proviene dall’interno e agisce verso l’esterno

La squadra si configura come una scelta ecologica per affrontare la fragilità del futuro. Questa scelta non solo sfrutta, moltiplicandole, in modo ottimale le risorse attraverso il lavoro di gruppo,  ma si collega anche ai nuovi modelli organizzativi e alla promozione di una cultura sociale all’interno e all’esterno delle organizzazioni. Investire nella creazione di una squadra rappresenta un’opzione ecologica e innovativa, soprattutto se ci si proietta in un futuro in cui la capacità delle organizzazioni di rispondere alla complessità e alle sfide dipende dall’identificazione degli operatori con l’organizzazione stessa. Questi professionisti interagiscono con colleghi provenienti da contesti diversi al fine di fornire servizi di cura alle persone fragili, con un’attenzione alla collaborazione anziché alla competizione.

 

Si intravvede pertanto la necessità di un cambiamento significativo, innanzitutto a livello culturale, di visione del prossimo futuro. L’idea di transizione viene ampiamente dibattuta in vari contesti e, se applicata alla nostra realtà operativa quotidiana e alle nostre organizzazioni, ci consente di osservare la mutazione da una condizione all’altra, in un quadro dinamico e in costante evoluzione, orientato verso il futuro. La formazione di squadra richiede, di conseguenza, un cambiamento culturale, soprattutto nelle organizzazioni che spesso ruotano attorno alle équipe multidisciplinari che, tuttavia, rimangono ancorate alle competenze professionali specifiche dei componenti e che quindi non compiono il passaggio dall’essere un gruppo, al considerarsi una squadra. Come affermano gli autori del testo “Gioco di squadra” (Quaglino, Cortese, 2003, p. 130), il passaggio definitivo da un gruppo ad una squadra è caratterizzato dall’investimento sullo “stare insieme al centro” dell’azione del gruppo e cioè dall’attivare la comunicazione, la collaborazione, la motivazione e la fiducia. In altri termini, si tratta di definire un modus operandi sia per i singoli componenti che per l’intera organizzazione; in senso più ampio, ciò configura la cultura dell’organizzazione stessa. Per costruire una squadra efficace, diventa quindi essenziale iniziare con lo sviluppo di una cultura organizzativa forte e coesa.

 

La cultura costituisce il contesto in cui l’operatività individuale viene sperimentata; essa rappresenta il fondamento dell’essere umani in comune, sottostante alla struttura sociale e abbraccia i concetti precedentemente menzionati. La squadra unisce tutti gli operatori, che a vario titolo e con diversi percorsi, condividono la vicinanza con la fragilità e credono nell’importanza che lo sviluppo di una cultura della cura consenta di credere nel futuro. Costruire una cultura condivisa risulta essere un obiettivo impegnativo, soprattutto nell’ambito dei servizi alla persona e delle strutture per anziani.  Questo è ancor più vero in quanto si tratta di realtà frammentate, con diverse strutture organizzative e soggette a varie normative regionali; parlare di una cultura condivisa può sembrare quasi irrealizzabile. Tuttavia, nell’ottica che ciascuno possa contribuire con le proprie conoscenze all’interno del proprio ambito di lavoro, si cerca di creare piccoli momenti di crescita.

 

La cultura si sviluppa attraverso l’educazione, la formazione, all’interno degli ordini professionali e con il confronto; educare le persone alla fragilità significa riconoscerla come una componente costante della vita, non solo quando ci troviamo a doverla affrontare personalmente, per una malattia, o per un proprio caro, ma come una condizione con la quale tutti possono interagire e convivere: l’essere umano è intrinsecamente fragile, ma dotato di immense capacità di adattamento. Nell’ambito dei servizi alla persona, lo sviluppo della cultura della cura nella non autosufficienza e nella terza e quarta età, dovrebbe iniziare dalle scuole e svilupparsi poi nelle università nelle quali tuttavia, non esiste una vera conoscenza della long term care. Persiste ancora l’idea erronea che lavorare nel campo dell’assistenza agli anziani sia un’occupazione non qualificante, poco redditizia e con poche prospettive di crescita professionale. Solo pochi percorsi di studio riescono a instillare negli studenti l’importanza non solo della “cura” (care) ma anche del “prendersi cura” (to care). Tuttavia, queste iniziative sono ancora insufficienti.

 

La conoscenza di come esprimere la propria professionalità all’interno delle realtà delle persone non autosufficienti non riceve l’attenzione adeguata. I tirocini e gli stage svolti nelle residenze per anziani vengono spesso considerati come ultima opzione. Mancano corsi universitari che preparino adeguatamente i futuri professionisti ad affrontare la sfida della non autosufficienza e della residenza assistita. Si considera ancora di frequente il lavoro con la non autosufficienza come un lavoro assistenziale. È necessario superare questa concezione, che è più orientata alle necessità fisiologiche e alla malattia e al suo posto, dovremmo abbracciare il concetto più ampio di “cura”, che comprende non solo le necessità ma anche i desideri, le aspettative e la percezione del passare del tempo. La cura richiede dedizione, impegno, pensiero attento e sensibilità, l’attenzione non deve essere riservata solo alle persone che ricevono il servizio, ma anche a coloro che lavorano con le persone fragili. Si richiede infatti maggiore attenzione nella creazione di un sistema premiante, di un riconoscimento equo del proprio servizio, della possibilità di avere percorsi formativi all’interno delle organizzazioni senza doversi sobbarcare impegni economici personali per crescere professionalmente, della possibilità di avere momenti di scambio e di conoscenza di altre realtà e altri operatori. Promuovere lo sviluppo di una cultura della cura e riconoscere l’importanza del lavoro di squadra nell’affrontare la fragilità richiede tempo ed energia. In tal senso, l’associazione Rinata2021 potrebbe svolgere un ruolo significativo come motore di un movimento intellettuale orientato al futuro.

 

Lo sviluppo di “lobby” di cura

Un aspetto cruciale consiste nello sviluppo di “lobby” di cura, una collaborazione di individui che desiderano promuovere interessi volti a influenzare le decisioni politiche future. Questo rappresenta un modo innovativo di promuovere il cambiamento e l’attenzione verso la fragilità, spingendo per un approccio più consapevole e orientato al benessere delle persone. In tale direzione si colloca ad esempio, l’associazione Rinata2021, costituita da persone che desiderano sviluppare dei percorsi di crescita e conoscenza nell’ambito della fragilità, al fine di condividere la cultura del prendersi cura con istituzioni, aziende e comunità. Questa associazione solidale promuove la consapevolezza della necessità di ampliare il dialogo e il confronto anche in settori non tradizionali, come le scuole, le università e il mondo economico. Tutto ciò rappresenta una base imprescindibile che definisce gli obiettivi da perseguire per conferire dignità alla fragilità. L’attenzione è concentrata sulla ricerca di miglioramenti possibili, piuttosto che sul mero elenco di ciò che è già stato compiuto e sulla creazione di connessioni positive che cerchino l’abbondanza piuttosto che quello che si è perduto.

 

La Carta dei Valori dell’associazione Rinata2021 pone particolare enfasi sull’importanza di adottare una prospettiva centrata sulla cultura della cura e del lavoro di squadra. Questi valori rappresentano le direzioni cui i membri dell’associazione intendono orientarsi e si concretizzano in diverse azioni che vengono riportate poiché si tratta di valori potenzialmente replicabili in altre realtà associative.

  1. Competenza. Ogni membro della rete Rinata, sia egli il singolo soggetto o un partner (associazione/ente pubblico/altra organizzazione) si delinea come risorsa portatrice di specifiche capacità esperienziali, formative, tecniche, organizzative. Un modus operandi costruito sulla base della competenza, costituisce un sistema che crea valore se riconosce il potenziamento delle professionalità e ne migliora la qualità gestionale-amministrativa-organizzativa dei servizi offerti, creando una corrispondenza equilibrata tra il valore professionale della prestazione offerta e l’erogazione del servizio richiesto.
  2. Condivisione. La condivisione è il mezzo attraverso il quale si concretizza il cambiamento sociale. Come valore, essa rappresenta l’azione pratica che consente a individui o gruppi di realizzare una crescita professionale libera e vantaggiosa per sé stessi e gli altri. Questo contribuisce a generare valore aggiunto che promuove il benessere in vari aspetti della vita, tra cui il lavoro e le relazioni sociali. L’associazione facilita la conoscenza reciproca, la collaborazione in rete e la diffusione delle migliori pratiche.
  3. Trasparenza. Il valore della trasparenza è legato alla crescita del senso di responsabilità, alla fiducia in sé stessi e negli altri. È uno strumento che permette di esprimere con chiarezza gli intenti, le richieste, i punti di forza e di debolezza, la direzione e gli obiettivi delle azioni. Essa permette di dare feedback utili alla costruzione di un processo di sostenibilità, continuità e replicabilità, sia nell’operato dell’associazione sia in riferimento alla sua rete.
  4. Welfare innovativo. L’obiettivo è trasformare la percezione del welfare in modo evolutivo e innovativo, stabilendo dialogo con settori che possono sembrare distanti o sconosciuti. L’associazione si propone come intermediario per allargare le partnership e le alleanze positive con l’obiettivo di sviluppare integrazione e sinergie nel pensiero sociale. Si riconosce che esistono dimensioni al di fuori delle conoscenze consolidate che potrebbero apportare nuova vitalità e nuovi percorsi.
  5. Sostenibilità. Si riconosce che la professionalità è un motore di cambiamento nell’agire e nel pensiero delle persone. Sebbene l’associazione possa non essere in grado di affrontare tutte le diverse realtà nazionali, essa può agire come catalizzatore per idee ed esperienze, oltre a sviluppare progetti sostenibili.
  6. Etica e cultura sociale. L’etica si manifesta attraverso comportamenti pratici che tengono conto del bene delle persone fragili e degli approcci utilizzati per raggiungerlo. L’associazione è vista come un luogo che promuove azioni orientate allo sviluppo di un modello culturale diverso. Si mira a passare dall’isolamento dell’assistenza agli anziani limitato agli specialisti di settore a una visione che favorisce lo scambio di conoscenze e relazioni al fine di sviluppare una cultura sociale che coinvolge l’intera comunità. L’associazione si apre a diverse aree e professioni, non rappresentando un’unica categoria, al fine di creare uno spazio simbolico di scambio e conoscenza da condividere con il mondo esterno, contribuendo così a sviluppare una cultura di responsabilità condivisa basata sulla volontà di creare nuove alleanze professionali.

Bibliografia

Quaglino G.P., Cortese C. (2003), Gioco di squadra, Raffaello Cortina Editore.

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