1 Dicembre 2010 | Domiciliarità

Federalismo e Servizi Domiciliari

Federalismo e Servizi Domiciliari

Introduzione

Le profonde trasformazioni demografiche (prime tra tutte l’aumento della speranza di vita e la riduzione dei tassi di natalità), sociali (la riduzione delle dimensioni medie della famiglia e l’aumento del tasso di occupazione delle donne) ed epidemiologiche (l’incremento delle patologie croniche ad evoluzione invalidante) che hanno interessato il nostro Paese negli ultimi decenni rendono ragione di un aumento della domanda di cure continuative (long term care), all’interno delle quali le cure domiciliari rappresentano il pilastro fondamentale. In Italia, purtroppo, i servizi domiciliari resi alle persone non autosufficienti segnano ancora un significativo ritardo rispetto alla media dei Paesi europei (Tab. 1).

Utenti anziani dei servizi domiciliari in Europa (Gori e Casanova, 2009, mod.)
Tabella 1 – Utenti anziani dei servizi domiciliari in Europa (Gori e Casanova, 2009, mod.).

Se all’invecchiamento della popolazione italiana, ed al conseguente prevalere, nel quadro epidemiologico nazionale, della patologia cronica, hanno fatto riscontro un ripensamento dei modelli organizzativi delle strutture ospedaliere, che ne ha accentuato la capacità di rispondere con intensività ed elevata specializzazione alle emergenze ed alle fasi acute di malattia, nonché l’aumento dell’offerta di presidi riabilitativi, resta ancora largamente inadeguato l’investimento economico, organizzativo, professionale e culturale sulle cure domiciliari, che in altre nazioni si è dimostrato in grado di migliorare la gestione della malattia cronica, di ridurre significativamente il ricorso al ricovero ospedaliero e di perseguire programmi di riduzione dell’offerta di servizi residenziali.

 

Le criticità attuali

L’insufficienza dell’offerta di servizi domiciliari in Italia è documentata dallaTabella 2,che riporta alcuni dati sulla percentuale della popolazione anziana assistita dal Servizio Assistenza Domiciliare (SAD) e dall’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI)1e sull’intensità media degli interventi erogati.

 

Gli ultrasessantacinquenni assistiti dal SAD rappresentavano, nel 2006, soltanto l’1.8% della popolazione anziana (ISTAT, 2009),senza significativi incrementi rispetto agli anni precedenti (erano l’1.6% nel 2004 e l’1.7% nel 2005): né la situazione finanziaria dei Comuni autorizza ad ipotizzarne un aumento ulteriore negli anni successivi. Non sono disponibili dati precisi sulla tipologia degli utenti, anche se sembra riscontrarsi una tendenza del SAD a farsi carico di persone gravemente non autosufficienti e con bisogni assistenziali più complessi. A fronte di questa crescente complessità della domanda, fanno peraltro riscontro (anche in questo caso i dati sono molto scarsi e frammentari) livelli organizzativi ancora del tutto inadeguati: un numero medio di ore settimanali erogate di poco superiore a 3 ed una scarsa garanzia del servizio nelle ore serali e notturne e nelle giornate festive (Pesaresi, 2007).

 I servizi domiciliari in Italia.
Tabella 2 – I servizi domiciliari in Italia.

 

Benché caratterizzata da un trend di crescita maggiore, anche l’utenza dell’ADI (il 3.4% della popolazione anziana nel 2008) resta nettamente inferiore alla media dei paesi europei (Tab. 1),con una scarsa continuità dell’assistenza erogata (una media di sole 24 ore di assistenza all’anno nel 2008) ed un basso livello di integrazione tra gli interventi sanitari e quelli sociali (erogati contemporaneamente solo allo 0.5% di tutti gli anziani) (Ministero dello Sviluppo, 2010). A questa insufficiente offerta di servizi domiciliari si accompagnano, nel nostro Paese, profonde differenze territoriali, sia sul versante quantitativo (percentuale di utenti sulla popolazione e spesa pro capite: per lo più – ma non costantemente – con un gradiente negativo Nord-Sud) (Tab. 3) che sul versante dell’organizzazione dei servizi (modalità di attivazione, modelli gestionali, metodologia di valutazione degli utenti, tipologia dell’intervento).

I Servizi domiciliari nelle Regioni italiane (anni 2006-2008).
Tabella 3 – I Servizi domiciliari nelle Regioni italiane (anni 2006-2008).

L’eterogeneità dei diversi modelli regionali rende, tra l’altro, difficilmente confrontabili tra di loro i dati – peraltro scarsi – relativi alle caratteristiche dell’utenza (complessità del bisogno e dimensioni della rete informale) ed alla tipologia  prestazioni erogate (mix di figure professionali impiegate, intensità, continuità nella giornata/settimana, qualità). La necessità di adeguare agli standard delle altre nazioni europee il livello dei servizi domiciliari erogati nel nostro Paese, e di superare le marcate differenze territoriali che lo caratterizzano, suggerisce un intervento specifico del livello statale che, pur rispettoso delle competenze regionali, incentivi con appositi finanziamenti lo sviluppo dei servizi domiciliari – in particolare nelle Regioni più “in ritardo” – e, in tutte le Regioni, promuova, quale debito informativo indispensabile per accedere ai finanziamenti, l’adozione di strumenti di valutazione dell’utenza e di modalità di reporting dell’attuazione dei servizi che consentano una lettura più omogenea e confrontabile della realtà delle cure domiciliari.

 

Federalismo e differenze territoriali

Contro l’opportunità di un intervento dello Stato nel riequilibrare l’offerta dei servizi domiciliari sul territorio nazionale viene invocata, oltre alle difficoltà ad aumentare le risorse a disposizione della spesa socio-sanitaria, la necessità di responsabilizzare le Regioni che, di tale spesa, hanno competenza. D’altra parte, le differenze nello sviluppo dei servizi domiciliari potrebbero anche riflettere un diverso livello di bisogni – legato a differenti contesti socio-familiari – e non obbligatoriamente una diversa (e in alcune Regioni insufficiente) capacità di rispondere a tali bisogni, mentre la disponibilità di servizi aggiuntivi potrebbe indurre richieste non motivate da bisogni reali. Queste argomentazioni in realtà non appaiono convincenti.

 

Infatti, pur tenendo conto delle differenze del quadro socio-economico e delle dimensioni quantitative e valoriali del tessuto familiare che caratterizzano il Paese, è difficile assegnare solo a questi fattori le significative differenze territoriali nello sviluppo dei servizi. Regioni molto “vicine” tra loro, anche per caratteristiche socio-economiche e culturali, presentano infatti percentuali di assistiti molto differenti: il 3.3% per il Piemonte (tra ADI e SAD) contro il 5.8% della Lombardia; l’8.5% dell’Emilia contro il 3.3% della Toscana; il 2.7% della Puglia contro il 6.5% del Molise! Analoghe differenze si riscontrano, peraltro, in altri settori della spesa socio-sanitaria: lo sviluppo dei servizi residenziali segue spesso lo stesso andamento di quelli domiciliari, e non viceversa. Inoltre, se le competenze in materia di spesa socio-sanitaria attengono alle Regioni, è al livello statale che competono la tutela dell’esigibilità concreta dei diritti alla salute ed all’assistenza su tutto il territorio nazionale, e la conseguente definizione dei livelli essenziali di prestazioni da garantire.

 

La stessa legge di “Delega al Governo in materia di federalismo fiscale”,approvata lo scorso anno, prevede in proposito che i livelli essenziali in sanità ed assistenza siano calcolati sulla base di un fabbisogno standard e facendo riferimento non più alla spesa storica di ogni Regione ma ad un costo standard delle prestazioni. La definizione più precisa dei livelli di assistenza e dei costi standard appare, nei servizi domiciliari destinati agli anziani non autosufficienti, compito particolarmente arduo se si tiene conto della specifica dimensione diacronica e dell’instabilità clinico-funzionale della patologia cronica e della complessa interazione di molteplici problematiche di ordine biologico, psicologico e sociale: caratteristiche cui consegue la necessità di un intervento longitudinale e multidisciplinare e dell’integrazione socio-sanitaria.

 

Un valido punto di partenza può essere rappresentato dalla proposta della Commissione nazionale LEA sulla “Nuova caratterizzazione dell’assistenza territoriale domiciliare e degli interventi ospedalieri a domicilio”. Un confronto, alla luce di questo documento, dei diversi strumenti di valutazione multidimensionale utilizzati, dei criteri di accesso alle prestazioni e delle modalità organizzative dei servizi, può consentire la costruzione di livelli essenziali in grado di ridurre le attuali disuguaglianze: declinando il Federalismo “non solo come decentramento di responsabilità e di governo, ma anche come garanzia dei diritti soggettivi su tutto il territorio nazionale” (Banchero, 2009).

 

Il superamento delle differenze territoriali: ipotesi e costi

Nel progetto “Il sistema di protezione e cura delle persone non autosufficienti”, promosso dal Ministero del Welfare, il superamento delle differenze territoriali rappresenta uno degli obiettivi di sviluppo dei servizi domiciliari per le persone non autosufficienti2.

 

Tre sono le ipotesi di cambiamento delineate nel progetto:

  • il finanziamento delle sole Regioni che non raggiungono un indice minimo di copertura dei servizi domiciliari (individuato, in quel documento, nel 3.7% della popolazione anziana alla fine del primo triennio attuativo, e nel 5% nel secondo triennio);
  • l’incremento dell’utenza media dei servizi, sul territorio nazionale, al 6% ed al 9% rispettivamente nei due trienni, con il raggiungimento degli indici minimi sopra riportati da parte di tutte le Regioni;
  • la definizione di un indice programmatorio vincolante per tutte le Regioni (rispettivamente il 6% ed il 9% a 3 e 6 anni) ed il finanziamento delle sole Regioni che non raggiungono tale indice.

 

Si tratta di ipotesi costruite arbitrariamente, sulla base di evidenze empiriche, con l’obiettivo di verificare la fattibilità operativa e le ricadute economiche di programmi di potenziamento dell’assistenza alle persone non autosufficienti3. Senza soffermarsi in modo analitico su tali ipotesi, appare evidente come le scelte da compiere debbano tener conto di molti fattori: oltre alla sostenibilità economica, la capacità dello Stato di governare il progetto fornendo, in particolare alle Regioni più “arretrate”, una decisa azione di consulenza metodologica e di monitoraggio; la disponibilità a condividere il progetto da parte delle Regioni eventualmente escluse (come nella prima ipotesi) o interessate in minor misura dai finanziamenti; la difficoltà per almeno alcune delle Regioni con un minor sviluppo di servizi domiciliari di saper riorganizzare in pochi anni i servizi ampliandone in misura così significativa (soprattutto nella terza ipotesi) le capacità operative.

 

Una considerazione particolare merita il problema dei costi. La Tabella 4 – costruita sulla base delle elaborazioni di Emanuele Ciani del Centro Analisi delle Politiche Pubbliche dell’Università di Modena – riporta il costo di ogni opzione in termini di aumento, sia assoluto sia percentuale, della spesa rispetto all’attuale4, e la sua suddivisione per macro-regioni. È evidente come anche il più deciso investimento sul lo sviluppo omogeneo dei servizi domiciliari su tutto il territorio nazionale appaia nel primo triennio del tutto sostenibile per il bilancio pubblico, mentre l’impegno economico richiesto dall’ulteriore incremento dei servizi domiciliari nel secondo triennio potrebbe essere almeno in parte compensato dalla riduzione degli accessi alle strutture ospedaliere. Né va dimenticato che gli aumenti percentuali sono da riferire ad una spesa – quella per l’assistenza continuativa a domicilio – che in Italia rappresentava, nel 2007, solo lo 0.25% del PIL, a fronte di un 49.1% della spesa pubblica complessiva (Gori e Lamura, 2009).

Costi annui dei servizi domiciliari (SAD + ADI) nelle diverse opzioni di intervento sulle differenze territoriali
Tabella 4 – Costi annui dei servizi domiciliari (SAD + ADI) nelle diverse opzioni di intervento sulle differenze territoriali.

 

Conclusioni

L’invecchiamento della popolazione ed il progressivo aumento della (poli)patologia cronica rendono sempre più impellente l’esigenza di spostare risorse dal comparto ospedaliero alla long term care e di potenziare, in particolare, le cure domiciliari, aumentando la platea degli assistiti e l’intensità e la continuità dei servizi erogati. Nell’assumere un simile obiettivo, che lo avvicina alla realtà delle altre nazioni europee, il nostro Paese è chiamato al tempo stesso a ridurre le profonde differenze territoriali così da garantire a tutti i cittadini eguale opportunità di essere assistiti al loro domicilio, e alle loro famiglie un aiuto concreto in un impegno assistenziale oggi affrontato in solitudine pressoché totale. Si tratta di un compito non facile, che il Governo centrale, in una fase di federalismo “nascente”, deve assumere con decisione attraverso un intervento finanziario straordinario e/o la definizione e il controllo rigoroso dei livelli essenziali delle cure domiciliari.

 

 

L’articolo rappresenta una sintesi del capitolo “Lo sviluppo dell’offerta dei servizi domiciliari” del report del Progetto “Il sistema di protezione e cura delle persone non autosufficienti. Prospettive, risorse e gradualità degli interventi” promosso dal Ministero del Welfare e coordinato da Cristiano Gori per l’Istituto per la Ricerca Sociale (IRS), scaricabile dalla sezione “Studi e statistiche” del sito del Ministero del lavoro (http://www.lavoro.gov.it/Lavoro/Strumenti/Studi Statistiche). La bibliografia non citata nelle note seguenti è disponibile alla fine del capitolo.

Note

  1. Non vengono prese in considerazione altre modalità di intervento a domicilio, in particolare l’Assistenza Domiciliare Programmata (ADP), rappresentata dalle prestazioni domiciliari erogate dal medico di medicina generale a persone non in grado di accedere all’ambulatorio, e l’Ospedalizzazione Domiciliare (OD)
  2. Vengono analizzate (vedi nota 1) anche ipotesi di intervento relative allo sviluppo quantitativo dell’offerta dei servizi (in termini di aumento del numero degli utenti e/o dell’intensità degli interventi domiciliari) ed all’individuazione ed introduzione, nei servizi, di criteri qualitativi (continuità del servizio, sviluppo nelle équipe domiciliari delle capacità di accompagnamento, educazione e counseling, utilizzo di progetti assistenziali individuali, individuazione in ogni situazione complessa del case manager)
  3. In tutte le ipotesi elaborate sono stati mantenuti, anche per semplificare la valutazione dei costi, gli attuali rapporti quantitativi tra SAD e ADI, nonché l’attuale intensità delle prestazioni
  4. La “spesa attuale” è stata calcolata utilizzando i dati relativi rispettivamente all’anno 2006 per il SAD ed al 2008 per l’ADI (ultimi dati disponibili) rapportati alla popolazione residente all’1.1.2009. I valori di spesa sono stati espressi in euro 2009, applicando l’indice ISTAT dei prezzi al consumo

Bibliografia

Banchero A. Non autosufficienza e federalismo. In: Network Non Autosufficienza (a cura di), L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia. Rapporto 2009, Maggioli, Rimini 2009.

Gori C, Casanova G. I servizi domiciliari. In:C. Gori (a cura di), L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia. Rapporto 2009. Network Non Autosufficienza, Maggioli Rimini 2009.

Gori C, Lamura G. Lo scenario complessivo. In: Network Non Autosufficienza (a cura di), L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia. Rapporto 2009, Maggioli, Rimini 2009.

ISTAT Indagine censuaria sugli interventi e i servizi sociali nei comuni, 2009. Pesaresi F. Il Sad per anziani in Italia. Prospettive Sociali e Sanitarie 2007;18:1-5.

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