1 Dicembre 2012 | Residenzialità

Il ricorso alle strutture sanitarie nella popolazione anziana. Ruolo delle condizioni di salute, ruolo del contesto territoriale

Il ricorso alle strutture sanitarie nella popolazione anziana.

Nel 2010 il Servizio Sanitario Nazionale ha speso 111.168 milioni di euro, pari a 183 € pro-capite, di cui la parte più consistente è costituita dalle spese ospedaliere. Infatti, nonostante il ‘Patto della salute 2010-12’ abbia stabilito che il 51% delle risorse vada all’assistenza distrettuale, il 44% a quella ospedaliera e il rimanente 5% a quella collettiva in ambiente di vita e di lavoro, la maggior parte delle regioni italiane, e quindi il dato nazionale complessivo, vedono tuttora uno sbilanciamento a favore della spesa ospedaliera.

 

Poiché, com’é noto, tra gli anziani il ricorso alle cure sanitarie è più consistente che nelle altre fasce di età, risulta interessante rilevare sia il loro effettivo ricorso alle principali strutture sanitarie(Ospedale, Pronto Soccorso e Guardia Medica)rispetto alle fasce di popolazione adulta, sia le valutazioni che essi danno ad alcuni importanti aspetti dei ricoveri ospedalieri. In particolare, appare rilevante, da un lato, verificare se tale ricorso sia collegato a condizioni di effettiva problematicità sanitaria; dall’altro, cogliere la rilevanza di eventuali differenze territoriali dato che esse possono indicare una tendenziale disequità del nostro sistema sanitario che, pure, vuole connotarsi come nazionale. A tal fine, utilizzeremo i dati rilevati nell’ultima Indagine Multiscopo, condotta dall’Istat nel 2010. Questo tipo diindagine risulta, infatti, particolarmente interessante dato che rileva, oltre alle principali caratteristiche dei soggetti (età, sesso, stato civile e tipologia familiare, titolo di studio, condizione professionale, area geografica di residenza), sia le condizioni di salute e l’eventuale presenza delle principali patologie, sia il ricorso, nei tre mesi precedenti all’intervista, a Ospedali, Pronto Soccorso e Guardia Medica, sia le valutazioni su aspetti rilevanti degli eventuali ricoveri ospedalieri.

 

Come tutte le indagini Multiscopo, la notevole consistenza del campione (in questo caso pari a 48.336 soggetti, di cui 13.143 di età pari o superiore ai 60 anni), permette inoltre di rilevare, in modo statisticamente significativo, le eventuali relazioni esistenti tra utilizzo1 e valutazione delle strutture sanitarie e alcune variabili, sia a carattere individuale (come le condizioni di salute), sia di contesto (come la collocazione territoriale). Prima di entrare nello specifico dei nostri obiettivi conoscitivi, ci sembra importante rimarcare che anche questi dati evidenziano non solo la forte relazione tra progredire dell’età e peggioramento delle condizioni di salute2, ma anche le differenze di genere rilevate in tutta la letteratura (Della Croce e Facchini, 2001; Istat, 2007; Porcu, 2008). Confrontando la fascia di età dei 60-69enni, con quella dei 70-79enni, con quella degli 80-89enni e con quella ancora più anziana, si rileva che la percentuale di chi dichiara ‘ottime’ o ‘buone’ condizioni di salute scende dal 53% al 35.1% al 21.5%, al 18.7%, mentre quella di chi dichiara di averle ‘pessime’ o ‘cattive’ sale dal 14%, al 24.6% al 38.5%, al 50.7%. Analoghi gli andamenti per quanto riguarda la presenza di patologie croniche, la cui incidenza aumenta,rispettivamente per le diverse classi di età sopra elencate, dal 12.8% al 25% al 44.7% al 63.4%; soprattutto, col progredire dell’età aumenta la percentuale di chi dichiara di avere necessità continue per esigenze importanti: dal 5.7%, all’11.6% al 25.5%, al 47.2%.

 

Nello stesso tempo, anche a parità di classe di età, le donne lamentano, sistematicamente, peggiori condizioni di salute: ad esempio, tra chi ha 60-69 anni, la percentuale di chi dichiara ottime o buone condizioni di salute è pari al 57.2% per gli uomini, al 49% per le donne; mentre, in quella più anziana, i valori scendono rispettivamente al 25.5% e al 16.4%. Se si considera invece la presenza di malattie croniche, la percentuale di chi dichiara di avere notevoli necessità di cura risulta molto simile tra i 6069 anni (5.3% degli uomini, 6% delle donne), ma diventa molto difforme tra gli ultranovantenni: 34.4% degli uomini, 51.7% delle donne.

 

Il ricorso alle strutture sanitarie

Consideriamo ora il ricorso, da parte della popolazione con almeno 60 anni, alle diverse strutture (Tab. 1).

Tasso di ricorso a strutture sanitarie negli ultimi tre mesi.
Tabella 1 – Tasso di ricorso a strutture sanitarie negli ultimi tre mesi.

Nei tre mesi precedenti l’intervista, tale utilizzo è stato pari al 5.9% per l’Ospedale, all’8.3% per il Pronto Soccorso, al 5.7% per la Guardia Medica, contro valori rispettivamente pari al 2.3%, al 5.4% e al 2.7% della popolazione in età adulta. Se si considera la limitatezza dell’arco temporale considerato, non si può certo sostenere che si tratti di valori modesti, specie se si osserva che il 5% degli intervistati ha fatto ricorso a più strutture e che in non pochi casi (dal 17 al 35% secondo la struttura considerata) i ricoveri sono ripetuti. La consistenza del dato, specie per quanto riguarda il Pronto Soccorso e la Guardia Medica, fa ipotizzare che, in caso di insorgenza di problematicità impreviste, la medicina di base risulti spesso inadeguata e che ciò comporti la tendenza, da parte dei soggetti interessati, a ricorrere a strutture la cui organizzazione -in termini sia di orari, sia di presenza di diverse professionalità sanitarie- consenta l’accesso, peraltro a titolo gratuito o comunque molto contenuto, a diagnosi accurate ed eventualmente, alle terapie necessarie.

 

Questo non vuol dire che si tratti, necessariamente, di ricoveri impropri, come sembra confermare il fatto che, per tutte e tre le strutture considerate, il ricorso si incrementa tra chi dichiara peggiori condizioni di salute. Considerando solo quanti hanno almeno 60 anni, il tasso di chi ha subito un ricovero ospedaliero negli ultimi tre mesi sale infatti dall’1.8% di chi dichiara ottime condizioni di salute, al 21.1% di chi le dichiara pessime; considerando invece la presenza di malattie invalidanti, il tasso sale dal 4.4% di chi non ne lamenta alcuna, al 17% di chi dichiara invece la necessità di cure consistenti e sistematiche. Analoghi i dati relativi alle altre due strutture. Per il Pronto Soccorso, il tasso di utilizzo sale dal 3.7% al 22.2% se si confrontano quanti dichiarano ‘ottime’ condizioni di salute e quanti le dichiarano invece assai problematiche; dal 5.7% al 16.5% se si confronta chi non è affetto da nessuna patologia invalidante e chi invece necessita di cure consistenti.

 

Per la Guardia Medica, i valori passano rispettivamente dall’1.8% e dal 12.8% se si considerano le due condizioni estreme di salute, dal 3.9% al 12.2% se si considera l’assenza/rilevanza di patologie invalidanti. D’altro canto, si può osservare che, col peggiorare delle condizioni di salute, aumenta il numero di volte in cui si è fatto ricorso a tali strutture: infatti, ricoveri ripetuti sono presenti nel 3.8% di chi dichiara ‘ottime’ o ‘buone condizioni’, ma nel 22.2% di chi le dichiara ‘molto negative’, per quanto riguarda l’Ospedale; rispettivamente, nel 4% e nel 36% dei casi per quanto concerne il Pronto Soccorso e nel 24% e nel 47.8%dei casi per la Guardia Medica.

 

In realtà, quello che colpisce non è tanto il più elevato e frequente ricorso alle strutture ospedaliere da parte di chi versa in condizioni di salute molto precarie, quanto il fatto che tale utilizzo, pur minore, presenti una certa rilevanza anche tra chi dichiara ‘ottime’ condizioni di salute, confermando l’ipotesi che, in non pochi casi, l’accesso a tali strutture assolva più un ruolo di ‘rassicurazione’ che di effettiva necessità. Ma i dati ci permettono anche di evidenziare che alcune patologie sembrano maggiormente connesse al ricorso alle strutture in questione. In generale, per tutte e tre quelle considerate, chi è affetto dalle patologie previste nell’Indagine evidenzia, di norma, un tasso di utilizzo che supera di circa il 50% quello di chi non ne è affetto. Tuttavia, vi sono alcune patologie (quelle cardiache, l’infarto, i tumori, le patologie nervose e la cirrosi epatica), la cui presenza comporta un tasso di utilizzo pari a circa il doppio di quello mostrato da chi non ne è affetto; altre, invece (l’artrite, l’artrosi o l’osteoporosi)non sembrano comportare un incremento dell’utilizzo rispetto a chi ne è immune. Le prime si confermano così per il loro essere particolarmente invasive sul complessivo quadro sanitario di chi ne è affetto, le seconde come patologie che incidono più sui livelli di autonomia, che sull’insorgere di emergenze tali da richiedere interventi di urgenza e terapie ospedaliere.

 

Quasi nulle, a parità di condizioni di salute, le differenze di genere; da segnalare, invece, quelle in base alla tipologia familiare: più esattamente, mentre per quanto riguarda i ricoveri ospedalieri non si rilevano differenze significative tra chi vive solo e chi vive in famiglia, sia per il Pronto Soccorso sia per la Guardia Medica il ricorso appare un po’ maggiore, ovviamente a parità di condizioni di salute, tra quanti vivono da soli. Questo dato sembra implicitamente confermare il ruolo di complessiva protezione giocato dalla presenza, nel proprio nucleo, di altri componenti in grado di rassicurare nei casi di insorgenza di elementi di problematicità, mettendo in atto scelte che non contemplano il ricorso a strutture di pronto intervento. Altrettanto interessanti le differenze territoriali.

 

Mentre per il Pronto Soccorso non si registrano differenze rilevanti tra le grandi macro-aree del Paese, per l’Ospedale e ancor più per la Guardia Medica l’utilizzo risulta un po’ più elevato nelle regioni del Centro e del Sud che in quelle del Nord. Inoltre, nelle prime, appaiono più frequenti i ricorsi ripetuti e più lunghi i periodi di degenza. Tali dati ben si inseriscono nelle tendenze rilevate a livello nazionale (Istat, 2012) che indicano come i tassi di ospedalizzazione siano un po’ maggiori in alcune regioni meridionali, presumibilmente anche come risultato della complessiva organizzazione del loro sistema sanitario.

 

La valutazione del ricovero ospedaliero

Analizziamo ora le valutazioni date all’eventuale ricovero ospedaliero. Quattro gli aspetti sondati dall’Indagine Multiscopo: i primi due attengono più specificamente ad aspetti sanitari (assistenza medica e assistenza infermieristica), gli altri due ad aspetti a carattere alberghiero: vitto e servizi igienici. Anzitutto, si può notare che le valutazioni appaiono decisamente positive sia per quanto riguarda gli aspetti più propriamente sanitari, che per quanto riguarda i servizi igienici, mentre tale positività si attenua per quanto riguarda il vitto. Come evidenzia la Tabella 2, circa la metà di chi è stato ricoverato dà una valutazione abbastanza positiva a tutti e quattro gli aspetti considerati; inoltre, le valutazioni molto positive raggiungono circa un terzo per quanto concerne la cura e l’assistenza e i servizi igienici, circa un quarto per quanto riguarda il vitto; specularmente, le valutazioni poco o per nulla positive raggiungono rispettivamente circa il 10% per gli aspetti più sanitari, il 16-25% per quelli alberghieri.

Valutazioni date ad alcuni aspetti del ricovero ospedaliero
Tabella 2 – Valutazioni date ad alcuni aspetti del ricovero ospedaliero

Per quanto riguarda il vitto, lo scarso gradimento non stupisce se si considera lo scarto di norma esistente tra l’alimentazione abitualmente assunta nella vita quotidiana e quella fruita in ospedale, soggetta, anche per motivazioni attinenti alle stesse patologie dei ricoverati, a vincoli che tendono ad essere più o meno restrittivi. Diverso è invece il discorso per quel che riguarda i servizi igienici, per i quali la presenza di valutazioni critiche sembra piuttosto rimandare a problematicità nell’igiene e/o nell’accessibilità dei locali ad essi adibiti. Per l’assistenza medica i molto soddisfatti passano dal 49.7% del Nord-Ovest e del Nord-Est, al 34.8% del Centro, al 27.8% delle Isole, al 25.8% del Sud. Simile l’andamento per quel che concerne l’assistenza infermieristica: i molto soddisfatti passano, rispettivamente, dal 48.7%, al 52.4%, al 36.4%, al 23.8% e al 22.6%. Sostanzialmente analoghe le differenze territoriali per quanto concerne gli aspetti a carattere alberghiero: i molto soddisfatti passano, infatti, per le diverse ripartizioni sopraelencate, dal 43.2% al 49%, al 29.4%, al 22.1% al 16.3% per quanto riguarda i servizi igienici, dal 30.5%, al 41%, al 18.9% al 13.8%, al 15.8% per quanto concerne il vitto.

 

Certo, nelle regioni settentrionali quanti sono molto soddisfatti diventano meno numerosi rispetto a quanto rilevato per gli aspetti più sanitari, ma si tratta comunque di valori più elevati di quelli riscontrati nelle regioni centro-meridionali che evidenziano, inoltre consistenti percentuali di chi si dichiara poco o per nulla soddisfatto. Tale scarto tra le diverse ripartizioni territoriali è più evidente se rapportiamo le percentuali di chi dà valutazioni molto o abbastanza positive con quelle di chi, al contrario, le dà poco o per nulla positive.

 

La Tabella 3, che presenta tali rapporti, ben evidenzia che mentre nelle regioni settentrionali per ogni scontento si registrano, per gli aspetti sanitari, dai 15 ai 23 soddisfatti, nelle regioni centromeridionali tale rapporto scende su valori più modesti, tra i 5 e i 7.

Rapporto tra valutazioni positive e valutazioni negative di alcuni aspetti del ricovero ospedaliero per area geografica
Tabella 3 – Rapporto tra valutazioni positive e valutazioni negative di alcuni aspetti del ricovero ospedaliero per area geografica

 

Tali differenze permangono anche per vitto e servizi igienici, dato che a fronte di valori tra i 13 e i 17 delle regioni settentrionali (con l’unica eccezione del vitto per le regioni del Nord-est) si scende a valori che vanno da 2.5 a 5 in quelle centro-meridionali. Certo, le valutazioni dei ricoveri ospedalieri risultano comunque complessivamente positive, e questo appare certamente un dato importante, ma non si possono sottovalutare le differenze territoriali, dato l’impatto che esse hanno sui soggetti e le loro famiglie. La salute costituisce, infatti, un bene del tutto peculiare, configurandosi, per il ruolo che ha non solo sulla qualità della vita quotidiana, ma sulle stesse capacità dei soggetti, come una sorta di prerequisito affinché le altre capacità individuali possano dispiegarsi. Non a caso, anche se il diritto all’assistenza sanitaria si declina in modi diversi nei diversi modelli sociali e di welfare, vi è comunque una sostanziale condivisione circa il fatto che vi sia una responsabilità complessiva della società a questo riguardo e che forti differenze nell’accesso ai servizi sanitari, o nella qualità che essi hanno, siano sostanzialmente inique.

 

Da questo punto di vista, le differenze di qualità (almeno di quella percepita) che risultano attraversare il nostro paese per quanto concerne il sistema sanitario (Giarelli, 2010; Istat, 2012), possono essere considerate uno degli elementi che lo connotano più negativamente. Questa considerazione è ancora più pregnante dato che è assai ragionevole ipotizzare che tali disomogeneità incidano in modo particolare sui soggetti economicamente più deboli, che difficilmente possono accedere a strutture sanitarie alternative a quelle pubbliche presenti nel luogo di residenza. Vale a dire che le differenze territoriali nell’accesso ad un efficace (ed efficiente) sistema di cura si intrecciano con quelle determinate dalla collocazione sociale, accentuando tendenzialmente, nei contesti territoriali più svantaggiati, la situazione di problematicità dei soggetti socialmente più deboli (Costa, 2009).

 

Se si considera che, in base al nuovo assetto istituzionale, il sistema sanitario è connotato da una corresponsabilità di Stato e Regioni, e che si stanno strutturando sistemi regionali anche normativamente difformi tra loro, sembra difficile prevedere che tale divario sia destinato a scomparire o, almeno, ad attenuarsi in misura consistente. E questo pone, credo, non pochi problemi, non solo in termini politici, ma anche in termini etici.

Bibliografia

Costa G. Le disuguaglianze di salute: una sfida per le discipline che si occupano di valutazione delle politiche. In: Brandolini et al., (a cura di) Dimensione della diseguaglianza in Italia: povertà, salute, abitazione. Il Mulino, Bologna 2009.

Della Croce F, Facchini C. Anziani e condizioni di salute in Lombardia. In: Facchini C. (a cura di) Anziani, pluralità e mutamenti, Franco Angeli, Milano 2001.

Giarelli G. Il sistema dei servizi sanitari. In: AIS (a cura di) Mosaico Italia. Lo stato del paese agli inizi del XXI secolo. Franco Angeli, Milano 2010.

Istat. Condizioni di salute, fattori di rischio e ricorso ai servizi sanitari. Anno 2005, Istat, Roma 2007.

Istat. Disuguaglianze, equità e servizi ai cittadini, Rapporto annuale 2012 La situazione del Paese. Istat, Roma 2012. Porcu S. Invecchiamento della popolazione, stato di salute e domanda di servizi. In: Porcu S. (a cura di) Salute e malattia. Mutamento socio-culturale e trasformazioni organizzative dei servizi alla persona. Franco Angeli, Milano 2008.

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