27 Novembre 2020 | Residenzialità

Sognare l’RSA di domani

Nell’articolo precedente l’autrice ha raccontato l’esperienza vissuta come direttore sanitario della Fondazione Cardinal Gusmini durante il periodo più acuto dell’emergenza sanitaria. Ora immagina un futuro diverso per le RSA, con nuovi standard strutturali e gestionali, adeguatamente remunerate dalla Regione, in grado di garantire un’assistenza alle situazioni sanitarie complesse.

Sognare l'RSA di domani

La realtà delle strutture residenziali per anziani è il simbolo della nostra epoca di incertezze culturali e organizzative. Nelle aree di cerniera, dove sono impossibili risposte semplici e univoche, le nostre capacità di rispondere correttamente ai bisogni mostrano gravi limiti”. Sono le prime righe di un volumetto di Rozzini, Carabellese e Trabucchi, scritto nel 1992, sull’assistenza nelle residenze per anziani. Dopo 28 anni potrebbero essere l’incipit, oggi, per riaffermare l’importanza di continuare un percorso difficile, ma doveroso, senza farsi dominare dai fallimenti, soprattutto dopo l’epidemia Covid.

 

Le RSA del futuro: una prospettiva colta, fortemente progettuale e positiva

In questa società pragmatica, almeno apparentemente, fondata su criteri economici esasperatamente volti al risparmio, si sono persi gli obiettivi primari di una società civile, democratica e fondata sui valori che da sempre hanno connaturato l’Uomo. Il sognatore, l’idealista, colui che guarda oltre, viene pertanto snobbato e lasciato ai margini. In realtà l’Uomo da sempre ha costruito la società e i propri valori partendo dai sogni, da obiettivi molto elevati che ha cercato di raggiungere.

 

I traguardi più lungimiranti sono stati fissati proprio partendo dalle crisi più drammatiche, dagli errori e dai fattori che hanno portato alla crisi stessa. Perciò permettetemi di sognare e di accompagnarvi nel mio sogno, che è quello di immaginare che io possa dare degli spunti, delle informazioni al gestore politico della mia Nazione/Regione e che, per la prima volta mi venga chiesto come dovrebbe essere strutturata ed organizzata una RSA nel futuro, anche alla luce della esperienza drammatica della epidemia Covid.

 

Stranamente i miei intervistatori mi fanno parlare liberamente, perché sono persone completamente perse dai loro predecessori e non si sentono attaccati dai miei suggerimenti; mi dicono che metteranno a disposizione tutte le risorse economiche necessarie per raggiungere l’obiettivo che si sono posti, ovvero costruire una RSA con una adeguata qualità di vita per le persone anziane nella quotidianità e in totale sicurezza nelle emergenze epidemiche. Inoltre vogliono sapere come dovranno essere i rapporti delle RSA con il territorio. Ma soprattutto mi esternano che il civismo di una società viene valutato dal valore attribuito alle persone anziane, inpidui che con la loro vita hanno costruito i principi e la ricchezza del mondo in cui noi oggi viviamo. Sono consapevoli che le risorse economiche che gestiamo oggi sono state accantonate da loro, con il sudore, la fatica e le difficoltà del XX secolo e di questo sono loro grati. Inoltre ricordano che la decadenza di ogni civiltà pregressa è iniziata quando l’Uomo ha perso i valori più nobili come quelli di proteggere i vecchi e i bambini.

 

Sono stupefatta! Per la prima volta vedo la politica al servizio dell’Uomo e della società e non al servizio di se stessa… e, nonostante rimanga incredula, la mia mente rapidamente mette a fuoco e sistematizza tutti i pensieri che l’hanno affollata in questi mesi.

 

Un sogno

Se penso alla RSA del futuro, certamente penso a perse dimensioni su cui si devono poggiare i progetti, e i miei pensieri superano di molto la realtà attuale, sembrano un sogno appunto.

 

Requisiti strutturali

La salute, la serenità e il benessere dell’Uomo in primo luogo derivano dall’ambiente/casa in cui vive, ed è altrettanto chiaro ed evidente che un anziano ricoverato in un RSA ha bisogno di un ambiente che rispetti la sua dignità come persona nella quotidianità e al tempo stesso di una struttura che sappia gestire situazioni avverse o emergenze come questa del Coronavirus. Come garantire in RSA una vita comunitaria e al tempo stesso un isolamento in caso di epidemie e quindi di un contagio pericoloso che mette a rischio la vita delle persone?

 

Dobbiamo pensare e immaginare una struttura con questi due concetti contemporaneamente presenti e che, in verità stridono l’uno con l’altro, ricordando che una RSA non dovrà mai essere un ospedale. Si è sempre detto che la RSA deve essere strutturata come una casa per una famiglia con forti relazioni, quindi accogliente “calda”; al contempo, sappiamo che in RSA ora giungono persone anziane che sono molto malate, estremamente fragili e quindi la RSA del futuro deve essere anche un ambiente sanitario e specialistico.

 

La pandemia ha evidenziato in modo netto che non si può contrastare completamente un contagio quando operatori ed anziani si trovano ad essere vicini nelle pratiche assistenziali nonostante mascherine, guanti e disinfezioni accurate. E’ necessario avere molte più stanze singole rispetto alle doppie, le metrature devono essere più ampie, con antibagni/anticamere che facilmente pentino zone filtro; gli spazi comuni devono essere molto più ampi rispetto a quelli attuali e contemporaneamente ci devono essere spazi più piccoli, stanze in cui svolgere le attività in piccoli gruppi o in un rapporto duale, nei quali si può stare con i propri familiari senza creare assembramenti e confusione con gli altri. Questi spazi possono essere facilmente usati non solo per evitare gli assembramenti, ma soprattutto per far stare i residenti in sicurezza e per potere permettere le visite dei familiari, oltre che per fare delle attività socioeducative più mirate. Inoltre, per quanto costoso/oneroso, bisogna pensare anche ad organizzare delle stanze di isolamento, nelle quali è facilmente praticabile il protocollo nel caso di epidemie e contagi e, al tempo stesso, nella quotidianità, si possano applicare le cure palliative nel fine vita.

 

E che dire dei Nuclei Alzheimer? Come attuare l’isolamento per persone con deterioramento cognitivo, con wandering, agitazione e irrequietezza? Lo si può fare pensando ad una strutturazione dell’ambiente per piccoli nuclei o a nuclei che si posso chiudere ulteriormente in nuclei più piccoli, in modo di attuare un isolamento ambientale per gruppi all’interno del quale sia permesso di muoversi. Un altro elemento importantissimo è il verde: giardini vivibili, zone all’aperto, dove gli anziani possano essere portati, in qualsiasi stagione. Con questa possibilità si applica immediatamente il ricircolo d’aria, durante i periodi epidemici; nella quotidianità, la vita all’aria aperta è un elemento di prevenzione, perché la luce (attivazione Vitamina D) e l’aria aperta permettono la massima ossigenazione, i polmoni si espandono maggiormente, il movimento fa “tutto”, mantiene la funzionalità osteo-articolare e muscolare, mantiene l’appetito e modula positivamente il tono dell’umore, per citare solo alcuni dei benefici.

 

Quindi nel futuro, la RSA deve essere ampia, luminosa, aperta all’esterno, verso il giardino, con una ridotta percezione di affollamento e modulare agli eventi che possono subentrare. Ma le RSA oggi hanno dei requisiti strutturali vecchi, almeno di 15 anni. Le ristrutturazioni eseguite sugli standard regionali, sono inadeguate, legate a degli schemi confusivi, a metà strada tra i requisiti ospedalieri e le vecchie Case di Riposo. Sono molte poche, e sono per lo più le RSA nuove, costruite su standard più elevati, che sono riuscite a coniugare esigenze sanitarie e di vita di comunità in modo ottimale.

 

 

 

Requisiti gestionali

Negli ultimi anni i dati lombardi attestano un’assenza di programmazione nel numero di residenze, dimensione, rette e tariffe. Ritorno al mio sogno e penso da quanto tempo nella mia mente avevo il tarlo della inadeguatezza degli standard gestionali e come questi pensieri mi hanno accompagnato durante questi mesi osservando ciò che si è verificato.

 

Le RSA oggi non sono solo delle Long Term Care, ma veri e propri ospedali geriatrici territoriali. Lo dimostrano i quadri clinici presentati dagli ospiti, gli ingressi sempre più spesso successivi ad un ricovero ospedaliero per acuti dopo un evento indice, o dovuti ad una disabilità funzionale subentrante a domicilio per cui i servizi territoriali (ADI o RSA Aperta) non sono più in grado di essere una risorsa per le persone fragili e per la famiglia. Lo dimostrano i decessi, che sempre più spesso avvengono entro i primi 12 mesi dall’ingresso, a dimostrazione dell’avanzato grado di patologia e disabilità funzionale della popolazione anziana afferente alle RSA soprattutto in Lombardia.

 

Pertanto il nucleo fondamentale, il punto di rottura, si verifica nella discrepanza ormai eclatante tra le necessità sanitarie dei pazienti, sempre più puntuali e specialistiche, che richiedono un’oculata organizzazione, e lo standard gestionale richiesto agli Enti Gestori dalle Regioni/Stato.

 

Per fare un esempio pratico, la Regione Lombardia per le RSA chiede 901 min./settimana/ospite di assistenza sanitaria-assistenziale. Tra l’altro non entrando nel dettaglio delle professionalità richieste, lasciando ampio spazio ad ogni struttura su come e con quali professionalità organizzarsi. Per i Nuclei Alzheimer (Reparti Speciali per l’assistenza dei malati con deterioramento cognitivo e disturbi comportamentali) le richieste sono di 1.200/min./settimana/ospite, con alcuni dettagli delle professionalità richieste (medico, infermiere, educatore, OSS etc.)

 

Questa normativa, ormai datata e obsoleta, è ancora in vigore e non tiene conto degli sviluppi che le RSA lombarde hanno avuto soprattutto nell’ultimo decennio, dove lo standard è già largamente insufficiente nella quotidianità e senza alcuna eccezionalità, figuriamoci con l’esplosione di un’epidemia. Per fare un esempio molto semplice ed esplicativo, la figura del medico prevista è di un medico generalista, non è richiesta alcuna specializzazione. Ma in Lombardia è stato richiesto di accogliere SV e SLA in fase avanzata, patologie croniche molto invalidanti, di attuare le Cure Palliative in fase terminale, in cartella clinica si chiedono valutazioni multidimensionali con una testistica Geriatrica a volte Fisiatrica e Neurologica. Con questa epidemia si sono dovute affrontare tematiche infettivologiche e di Medicina Preventiva.

 

Come può una RSA che ha solo il minimo orario di un medico libero professionista, che non investe in campo geriatrico, affrontare quello che è accaduto? Inoltre, la premessa ovvia è che comunque le RSA non sono ospedali secondo il concetto attuale di ospedale, ma sono delle comunità dove le persone vivono anche per lungo tempo la loro vita. Per raggiungere questo obiettivo devono essere al contempo “molto sanitarie”. Unire ed eccellere in entrambe queste anime non è facile.

 

L’ulteriore elemento critico, strettamente collegato, è la tariffazione/contributo regionale (la quota che la Regione mette a disposizione per la parte sanitaria della gestione di ogni ospite), che risale al 2003, più di 15 anni fa, adeguata di € 1.50 nel 2010. Con questi presupposti organizzativi-gestionali e con questo contributo economico totalmente inadeguato, è estremamente difficile che le RSA possano affrontare situazioni molto complesse e di urgenza come quella che si è appena verificata. Ma la maggior parte delle RSA lombarde da molto tempo eroga i propri servizi con degli standard gestionali molto più elevati rispetto a quelli previsti dalla Regione; le recenti ristrutturazioni, eseguite per adeguamenti strutturali o per l’apertura di nuovi servizi, sono state caratterizzate da progetti che hanno superato largamente i requisiti strutturali minimi della Regione. Se tutto ciò non fosse stato fatto, la virulenza del Covid e la fragilità degli ospiti avrebbe dato un esito molto più drammatico. Ma in ogni caso, un pilastro del sistema di Welfare, l’organizzazione delle RSA attuali, anche se più sanitarie rispetto al resto dell’Europa, ha le fondamenta che scricchiolavano già prima del Covid-19.

 

Ma ritorno al mio sogno, vedo una RSA, non solo bella esteticamente e funzionalmente più adeguata, con i presupposti strutturali ottimali per la gestione delle fragilità del vecchio, ma al contempo con un’organizzazione molto più vicina alle esigenze quotidiane, capace di affrontare le emergenze e le sfide che potrebbero presentarsi. Come è possibile? Semplicemente con una tariffa regionale giornaliera calibrata alla effettiva fragilità, che si fa totale carico della componente sanitaria, evidentemente diversa a seconda delle comorbilità e della gravità delle patologie presentate, ma che oltretutto segue la persona anziana fino alle condizioni terminali, adeguando la tariffazione in modo che l’assistenza socio-sanitaria sia cucita sul paziente e sul suo percorso di vita e di malattia.

 

D’altra parte, è noto a tutti che le pensioni del prossimo futuro ancora meno di oggi saranno in grado di fronteggiare le rette giornaliere, e che è l’impegno sanitario a gravare maggiormente sulla retta e non i costi alberghieri.  Pertanto nel mio sogno vedo che verrà data a tutti la possibilità di un ricovero in RSA nel momento del bisogno, e che, a fronte di un’assistenza sociosanitaria garantita a tutti e di uguale misura, le persone potranno scegliere le RSA in base alle proprie tasche con rette più alte solo perché si desiderano dei servizi alberghieri più alti, come negli hotel, ma non verrà messa in discussione la assistenza sanitaria, educativa, relazionale e assistenziale, che deve essere uguale per tutti.

 

Alla fine del mio sogno, il politico/gestore mi chiede quale è lo standard ottimale e in quanto consiste la tariffazione adeguata, e io da tecnico gliela dico, perché so quale e quanto personale è necessario, quali sono i costi per una ottimale organizzazione.
È proprio un sogno…

 

 

 

 

RSA e lo sviluppo delle reti

Ma le RSA non sono solo delle comunità di persone che vivono in un edificio, che al momento del bisogno viene chiuso e sigillato per proteggere i suoi abitanti all’interno; sono una comunità ricca di persone, di relazioni, di attività aperte all’esterno, non solo con i familiari e i volontari, ma con tutta la società fuori di essa. Ed è attraverso questi vasi comunicanti che le RSA sono vive. Per il futuro la Key word è “collaborazione”.

 

Rsa e ospedale

Negli ultimi anni la sanità lombarda, ma non solo, il sistema sanitario in generale, ha sempre dato molta importanza agli ospedali e ciò è dovuto al ruolo intrinseco che essi svolgono, di cura delle malattie acute e gravi, come si è verificato in questi mesi con il Covid. All’opposto, le finalità delle RSA sono la cura e l’assistenza delle malattie croniche, pertanto dovrebbe essere naturale e ricercata una comunicazione e un’interrelazione stretta e reciproca tra questi due servizi, o meglio questi due pilastri del SSN.

 

Molte RSA hanno, oltre la classica residenza per anziani, altre Unità di Offerta, Degenze per Post Acuti, Riabilitazione di diversa intensità, Cure Intermedie, Nuclei Stati Vegetativi e SLA, Hospice e Cure Palliative, Ambulatori multispecialistici, attività domiciliari varie (ADI, UCPDOM, RSA Aperta). Pertanto dovrebbero assumere un ruolo più incisivo nella rete del sistema sanitario (se così fosse stato avrebbero avuto più informazioni e strumenti, come i DPI). Ma per poterlo fare ci vogliono dei presupposti che finora nessuno ha considerato. L’ospedale dovrebbe essere consapevole che c’è un mondo “sanitario” fuori da esso che non solo è complementare, ma è essenziale per le sue performance ospedaliere.

 

Questa epidemia lo ha evidenziato in modo chiaro. Certamente gli ospedali hanno dato il meglio di sé nel ricoverare e curare i malati più gravi che ad esso afferivano, ma al contempo le RSA hanno curato al proprio interno le persone evitando ulteriore sovraffollamento e impedendo molta sofferenza con dei ricoveri non appropriati e curando a domicilio tutte le persone che necessitavano dell’assistenza domiciliare. D’altra parte se, da subito, il vasto territorio fosse stato seguito dai MMG protetti con dei DPI come erano protetti i colleghi in ospedale, lo scenario senza alcun dubbio sarebbe stato diverso. Questa esperienza ha dimostrato che ogni servizio e ogni professionista hanno pari dignità, e che ognuno, se assolve pienamente al proprio mandato e fa bene il proprio lavoro, aiuta considerevolmente gli altri protagonisti, non attori, ma protagonisti del sistema.

 

Quindi, in primis, la rete delle RSA dovrebbe interfacciarsi con la rete ospedaliera, attraverso dei percorsi vecchi (come le centrali di dimissioni da una parte e le centrali di accoglienza dall’altra) e nuovi, tutti da definire, con l’obiettivo di applicare una “vera” continuità assistenziale, quindi una vera collaborazione. Le RSA d’altro canto dovrebbero sempre più farsi carico delle patologie croniche, riducendo il più possibile gli accessi ospedalieri, curando anche le patologie più impegnative (neurologiche, scompensi funzionali di organo etc.); ma lo potranno fare solo se sostenute economicamente dal sistema sanitario.

 

I consorzi di RSA

L’epidemia Covid ha messo in luce le difficoltà già note nella gestione delle RSA. Per i motivi sopracitati, molte RSA avevano difficoltà economiche; notevoli sono i costi fissi, con una grande incidenza delle spese per il personale e gli introiti non modificabili. Con questo punto di partenza è indubitabile che le RSA che maggiormente hanno sofferto in questa vicenda sono state le RSA piccole e più delocalizzate rispetto a quelle della città, con il pregio di essere ben distribuite nel territorio, soprattutto quello rurale, ma con lo svantaggio derivante da una gestione economica autonoma e molto precaria.

 

L’epidemia Covid ha aggiunto notevoli pesi e spese; se nei prossimi tempi gli introiti regionali non saranno commisurati alle spese, c’è il rischio reale di un fallimento o di un aumento delle rette per molti insostenibile. Una soluzione potrebbe essere quella di mettersi in alleanza attraverso una attività di consorzio: gruppi omogenei per numero, servizi offerti, territorio, ma con lo scopo principale di acquisire maggiore forza contrattuale con i fornitori. Si pensi ad alcune voci di spesa come le derrate alimentari, le spese farmaceutiche, i presidi, la formazione del personale, la condivisione degli specialisti, di alcune professionalità di consulenza, di alcune specificità come palliativisti, pneumologi, nutrizionisti per citarne solo alcuni. In questo modo ogni RSA manterrebbe la propria autonomia e identità, condividendo molte spese con le altre strutture.

 

Si pensi ad un’unica Direzione Generale e Direzione Sanitaria, all’accettazione degli utenti, alla stesura di procedure e protocolli, etc. In questo modo si avrebbero delle competenze elevate con una riduzione dei costi, ottenendo quindi il duplice scopo di mantenere una buona qualità assistenziale contenendo il bilancio.  E se l’unione fa la forza e la specializzazione è meglio della tuttologia, va da sé che nello sviluppo strategico di ciascuna e del gruppo associato non si creerebbero dei doppioni di servizi, ma ogni RSA svilupperebbe dei servizi adeguati alle proprie capacità e ai bisogni territoriali rappresentando il riferimento per quel servizio. La forza “contrattuale” e le specificità si otterrebbero anche con le ASST territoriali e le loro Centrali di Dimissione, con le ATS e con gli Organi Legislativi.

 

Solo con queste soluzioni potrà essere salvaguardato il retaggio e la storia di ogni RSA e del suo territorio e non si creeranno le basi per essere fagocitate dei grandi player oggi presenti sul mercato, che costruiscono RSA a scopo di investimento e profit.

 

RSA e territorio

Solo con risorse umane ed economiche adeguate le RSA potranno aprirsi verso l’esterno, producendo servizi e attività, offerti in seguito ad una conoscenza delle persone e dei bisogni del territorio.

 

Ma come? Attraverso una capacità innovativa, che sviluppi:

  • sempre di più la propria mission, cioè l’attenzione ai bisogni delle fragilità, focalizzandosi anche sulla prevenzione in ambito geriatrico
  • i servizi territoriali già in essere, ADI, ACP DOM, RSA Aperta, Residenzialità leggera, Co- Housing
  • altri servizi nuovi, attingendo da altre realtà a livello internazionale e declinandole nella nostra società
  • attività ambulatoriali finora non considerate dal SSN, più specifiche e necessarie per la popolazione anziana, non solo CDCD, ma anche ambulatorio Psicogeriatrico per le altre patologie minori come la depressione e l’ansia, ambulatorio per il Dolore Cronico, ambulatorio infermieristico, prelievi etc
  • il proprio “know how” all’esterno e strutturando in modo sistematico le terapie non farmacologiche a domicilio (Musicoterapia, Dolly Therapy per i deterioramenti cognitivi)
  • una serie di servizi utili alla popolazione anziana, come l’attività di consulenza per una casa a dimensione di persone anziane e disabili, servizi di compagnia, e altri servizi complementari (spesa, acquisto farmaci, rapporto con il MMG), l’organizzazione di attività ludiche, relazionali educative nel proprio territorio mirate ai bisogni (spesso non similari a quelli della RSA).

 

Già ora, in collaborazione con i Comuni e la società civile, le RSA hanno costruito le “Società amica delle persone con demenza”, le cosiddette Dementia Frendly Community e nel futuro daranno vita ad altre Comunità amiche di persone fragili.  Al contempo, nella sua componente sanitaria, l’RSA può farsi carico di attività di promozione della salute, invecchiamento attivo e di prevenzione delle malattie, attraverso proposte innovative. Tutto questo sarà possibile se le RSA saranno fornite di un adeguato numero di personale, formato e aggiornato, motivato, retribuito per la propria professionalità, attraverso l’applicazione dei contratti collettivi rispondenti alla professione.

 

 

Conclusione

Ora è il momento di progettare, costruire, investire su un sistema sociosanitario capace di rispondere ai bisogni attuali e di pensare strategicamente al futuro, non solo per affrontare eventuali epidemie e altre emergenze possibili, ma per pensare ad una società migliore, ricca di contenuti valoriali, perché i residenti delle future RSA saremo noi, che attualmente gestiamo il sistema.

 

La politica dovrà avere il coraggio di invertire la rotta. Credo che questo sia l’auspicio che tutti noi abbiamo, perché le morti dei colleghi, dei sanitari e di una intera generazione del nostro popolo, quella dei vecchi malati e non, non sia accaduta invano.  Si è parlato di guerra, ma questa non è stata una guerra, purtroppo il nemico non era esterno a noi; è stato un cataclisma, uno tsunami, e tutti hanno cercato di fronteggiarlo come potevano, ma le risorse ed energie erano tali da non riuscire a salvarli tutti.

 

Nonostante fossimo organizzativamente denutriti e stanchi per la mancanza di risorse, senza le armi adeguate per fronteggiare questa onda fortissima e violenta, ce l’abbiamo messa tutta; ognuno di noi, i colleghi in ospedale, i MMG nel territorio, in RSA, tutto il personale socio-sanitario, ha lavorato spalla a spalla e di questo siamo orgogliosi e fieri. E, se alla fine ci diranno che non abbiamo fatto abbastanza, non importa, nel nostro intimo, nella nostra coscienza ognuno di noi sa cosa è successo e cosa ha fatto. A Bergamo abbiamo avuto + 464% di decessi, più che a New York.
Nelle RSA bergamasche dal 1 gennaio al 30 aprile si sono avuti 1998 decessi pari al 32.7% della intera popolazione, 6.100 ospiti. Un numero pari ai decessi che si sono avuti in tutti e tre gli anni precedenti, 2017-2019.

 

Da bergamasca, avendo vissuto in prima persona come Medico e Direttore Sanitario questa vicenda, dolorosissima, con una sofferenza psichica profonda, oggi da sognatrice e idealista confido e spero che la lezione venga compresa da tutti e che in futuro ci venga data quella linfa vitale necessaria per essere in grado di costruire un domani migliore per noi stessi, per la nostra professione, per le persone anziane malate e fragili a noi affidate e quindi per il nostro sistema sanitario nazionale.

 

 

“Se nessuno avesse mai avuto la follia di uscire dal gregge,

l’Umanità avrebbe fatto ben pochi passi in avanti”

(Albert Einstein)

Bibliografia

Rozzini R., Carabellese C., Trabucchi M., (1992), Medicina nelle residenze per Anziani, Issy les Moulineaux, Ed. Masson.

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