16 Febbraio 2023 | Residenzialità

L’accoglienza in struttura: l’inizio fondamentale per una buona permanenza…e assistenza

Nell’articolo l’autore offre una visione concreta delle fasi di accoglienza delle persone anziane in una struttura, evidenziando il ruolo centrale della relazione e del capitale umano per la realizzazione di un inserimento e di una permanenza di qualità.

L’accoglienza in struttura: l’inizio fondamentale per una buona permanenza…e assistenza

Nelle residenze per anziani l’emergenza COVID-19 sta lentamente rientrando e ci si sta spostando da una situazione straordinaria ad una di nuova normalità, con la quale le nostre organizzazioni dovranno abituarsi a convivere ancora a lungo. Anche recentemente abbiamo dovuto fronteggiare nuovi focolai, ma grazie alla vaccinazione i nostri anziani positivi spesso non hanno presentato sintomi o solo sintomi lievi. Certo, ogni volta il dover tornare ancora agli isolamenti, alle quarantene, porta la nostra mente indietro nel tempo, ad un incubo che sembra senza fine. Si ripresenta la necessità di non far più accedere i familiari alle strutture, si ritorna alla solitudine, alla paura, al disorientamento, alle inevitabili difficoltà nel gestire chi ha problemi di deterioramento cognitivo, costretto in una stanza.

 

In questi due anni di pandemia le modalità dell’accoglienza hanno registrato inevitabili cambiamenti; i familiari hanno vissuto un forte senso di impotenza affiancato a sensi di colpa ed il non poter incontrare liberamente i propri cari ha contribuito ad accentuare in loro possibili dubbi sull’assistenza erogata. Inoltre, la pandemia ha portato all’attenzione dei mass media e dell’opinione pubblica le RSA: non sempre se ne è parlato in modo appropriato; tuttavia, allo stesso tempo sono emersi i limiti delle strutture a livello di risorse dedicate, così come di spazi e ambienti – a volte non idonei a garantire adeguati isolamenti. Basti pensare all’importanza di disporre di stanze singole, del poter creare delle zone rosse con percorsi pulito/sporco1 e di spazi adeguati alle visite in sicurezza dei familiari.

 

Oltre le risorse economiche: l’importanza del capitale umano

Oggi per chi ha la responsabilità di dirigere un servizio – già seriamente messo a rischio nei budget dalla pandemia e dagli inevitabili effetti che la guerra sta avendo sulla nostra economia – risulterebbe particolarmente semplice e riduttivo abbandonarsi ad una lamentela sulle scarse risorse a disposizione. Rimango convinto che possibili miglioramenti organizzativi dipendano prima ancora che dall’aumento delle risorse economiche, sicuramente importanti, dalla valorizzazione delle potenzialità del capitale umano già a nostra disposizione e dalle competenze che i professionisti sanno introdurre.

 

È bene ricordarsi che i miglioramenti non sempre sono condizionati dall’immissione di risorse, ma sono realizzabili anche grazie a modifiche organizzative e/o comportamentali e ad un significativo lavoro d’équipe. Non dimentichiamoci, inoltre, che non ci può essere benessere dell’anziano se si tralascia la qualità della vita di chi assiste e di quanto il clima organizzativo sia collegato alla tipologia delle relazioni. In questi due anni di pandemia oltre ai conosciuti fattori di stress lavorativo, come ad esempio la gravità della patologia degli anziani che dobbiamo assistere, si sono aggiunti nel nostro personale elementi quali la paura del contagio, il lockdown e la crisi economica. È aumentata altresì la fatica fisica e psichica in tutti i professionisti del nostro gruppo di lavoro, già a rischio di burn out.

 

La relazione tra caregiver formali e informali

Già prima dell’emergenza COVID-19 diversi studi evidenziavano lacune nella comunicazione tra i caregiver  formali e informali2. È necessario pensare che ogni atto, procedura, processo, possa comunque essere migliorato, compreso il processo dell’accoglienza in struttura. Il caregiver, dopo una fase iniziale caratterizzata da una grande “fame” di informazioni, sposta spesso l’interesse alla routine della giornata. Ai familiari interessano fondamentalmente due cose. La prima è la possibilità di essere informati sui piccoli elementi della quotidianità (ad esempio, desiderano sapere se e come i loro familiari hanno dormito, come hanno trascorso la giornata). La seconda, legata al forte desiderio dei parenti di partecipare alle cure, è la volontà di essere coinvolti maggiormente nella vita della struttura; così da avere la possibilità di comunicare le abitudini e le preferenze del proprio caro in modo che possano essere rispettate. Questo tipo d’informazione, se ben gestita, può essere molto utile.

 

Date queste premesse è fondamentale che léquipe curante lavori con la massima attenzione ai possibili dubbi dei familiari fin dalla fase della pre-accoglienza, rivedendo le proprie strategie comunicative e migliorando l’utilizzo di strumenti tecnologi semplici – come le videochiamate con i tablet ed i social network – utili alleati delle nostre organizzazioni. Se gestita da personale adeguatamente formato, la videochiamata può rivelarsi uno strumento utile per rendere possibile l’espressione e la condivisione delle emozioni, per favorire comunicazioni comprensibili e veritiere, per dare evidenza e visibilità all’organizzazione. Abbiamo capito l’importanza e la potenza che può avere l’invio di un breve video o di una foto al caregiver, capaci di fungere da testimoni di un frammento di benessere della vita quotidiana del proprio caro. Non dimentichiamo che una comunicazione efficace con le famiglie può migliorare il processo clinico e gli outcome nelle residenze geriatriche.

 

L’accoglienza in struttura

Ma veniamo all’accoglienza in struttura, l’inizio fondamentale per una buona permanenza e assistenza. Dopo aver gestito in venticinque anni, come responsabile di struttura, l’accoglienza di circa duemila persone anziane, sono sempre più convinto che la qualità della vita nei luoghi della cura debba partire dalla massima attenzione a questa delicatissima fase, dove nulla può essere lasciato al caso.

 

Tra gli obiettivi generali di una procedura per gestire l’accoglienza vi è sicuramente quello di migliorare la qualità di vita degli anziani ospiti della casa residenza/RSA3, uniformando i comportamenti degli operatori e fare in modo che le attenzione ed i comportamenti da tenere diventino patrimonio comune di tutto il personale. Tra gli obiettivi specifici, vi è quello di istituire un percorso organizzativo per rendere meno traumatico l’inserimento dell’assistito, per raccogliere il maggior numero d’informazioni possibili (abitudini di vita, preferenze,…), per personalizzare l’assistenza dell’ospite fin dai primi momenti dell’ingresso, per coordinare in modo efficace le diverse figure professionali che operano durante l’accoglienza e per gestire con la massima attenzione e professionalità la relazione con i familiari.

 

Ricordiamoci anche dell’importanza della prima impressione, in quanto i primi istanti di relazione con un cliente influenzano la percezione del servizio che si offre. Un buon customer service dovrebbe sempre assicurarsi che la prima impressione sia positiva; è difficile correggere un errore fatto nei primi minuti di relazione, perché la brutta sensazione immagazzinata resterà a lungo nella mente del cliente, impedendogli di essere completamente obiettivo. Un ulteriore elemento fondamentale per un’adeguata accoglienza è rappresentato dall’ambiente, indispensabile per la salute e il benessere della persona dal momento che costituisce parte integrante dell’assistenza. Il contesto di accoglienza deve essere protesico e rispettosamente contenitivo e l’organizzazione deve privilegiare sicurezza, comfort e facilità di accesso rispetto alla stimolazione con terapie non farmacologiche (come la musicoterapia, la danzaterapia, le terapie occupazionali). Abbiamo la necessità di monitorare e controllare con la massima attenzione questa fase, perché da essa potrà dipendere il successo del processo d’inserimento dell’individuo nella struttura.

 

Chi è il paziente geriatrico che dobbiamo accogliere?

Le nostre non sono più le case di riposo di un tempo, ma residenze sempre più simili ad ospedali per cronici, delle “Long-Term Care”. L’Istat nell’ultimo report dell’anno 2019 parla di quasi 4 milioni di anziani con gravi limitazioni motorie, sensoriali o cognitive, mentre la residenzialità definitiva-permanente in Italia riguarda oggi circa 300.000 persone, 230.000 delle quali gravemente non autosufficienti. Vengono richieste sempre più soventemente risposte adeguate fin dall’accoglienza ai principali disturbi comportamentali e psicologici delle demenze (BPSD4, causa frequente di istituzionalizzazione anche per ricoveri temporanei di sollievo.

 

Abbiamo avuto un aumento dei bisogni sanitari, un’interazione tra dipendenza funzionale, fragilità sanitaria e compromissione cognitiva, tipologie di utenza “particolari” (multimorbilità, demenze con BPSD, patologie psichiatriche, adulti con gravi disabilità), variabilità dei bisogni sanitari (PEG, PICC, CVC, stomie, cannule tracheali). I nostri ospiti appena accolti spesso manifestano aggressività e irrequietezza, sono disorientati nello spazio e nel tempo. La crucialità di questa fase di accoglienza deriva principalmente dal fatto che il nuovo ospite è per numerose ragioni un soggetto estremamente fragile – sia sul piano psicologico ed emotivo che fisico-sanitario – con un serio rischio di subire del tutto passivamente gli eventi che gli accadono e con la possibilità che si inneschino perdita di autonomia e decadimento cognitivo.

 

Un’accoglienza di qualità

Non possiamo non considerare che dalla qualità dell’accoglienza può dipendere l’aspettativa di vita della persona nei primi mesi di permanenza nella struttura. È il momento in cui l’individuo prende coscienza del cambiamento radicale che investirà la sua quotidianità, sia sotto un profilo pratico-organizzativo che psicologico-relazionale. E ciò vale, sebbene a diversi livelli, anche per le persone con uno stato cognitivo già significativamente compromesso. Chi viene ricoverato in una RSA non sceglie il compagno di camera, chi gli fornisce l’assistenza, l’arredo, l’orario dei pasti. L’obiettivo è quindi dare all’utente la possibilità di mantenere e sviluppare relazioni affettive ed emotive autentiche anche all’interno della residenza, sia con persone che con oggetti personali.

 

Date suddette premesse risulta quindi fondamentale creare un’organizzazione che rispetti e favorisca:

  • l’agire e il muoversi liberamente, entro limiti di rischio ragionevoli e correlati alle proprie capacità residue;
  • l’esercitare la libertà di scelta nel rispetto delle regole della civile convivenza e partecipare alle decisioni dell’organizzazione riguardanti la vita quotidiana dei residenti;
  • il vivere in un luogo caldo, accogliente, confortevole, pulito, con un’atmosfera stimolante e rispettosa delle esigenze dei residenti e del contesto della vita comunitaria;
  • il riconoscimento dei tempi e ritmi di vita personali, della privacy e della riservatezza dei dati, della dignità della persona e dei suoi valori;
  • la realizzazione concreta delle aspirazioni, desideri, passioni, stili di vita, superando ove possibile gli ostacoli derivanti dalla non autosufficienza;
  • l’accoglienza nella globalità con una presa in carico attenta all’ascolto, alla personalizzazione degli interventi ed alla dimensione umana e relazionale dell’assistenza.

 

La gentilezza come competenza fondamentale nel percorso di accoglienza

Per un’adeguata accoglienza rimane fondamentale la formazione del personale, l’acquisizione ed il perfezionamento degli strumenti di cura e le capacità relazionali. Fra le competenze fondamentali del personale indubbiamente si annovera anche la gentilezza, che riflette, come altre funzioni – quali ad esempio ospitalità, ascolto, comprensione, compassione, empatia – un modo di fare e di essere, un atteggiamento prosociale (Gilbert et al., 2019) ed uno stile professionale che corrisponde anche ad uno stato della mente, ad una condizione dell’animo umano, ad una concezione della malattia e del malato, della sofferenza e della cura.

 

L’essere gentili nel modo di pensare ed agire non è mai un errore. La gentilezza è uno stile di vita, di pensiero, di cura. Le competenze relazionali sono mutevoli, si imparano; si diventa gentili promuovendo e praticando gentilezza. Essa rappresenta spesso una forza silenziosa, nascosta, che sensibilmente agisce e qualifica le comunicazioni e le relazioni interpersonali, promuove sentimenti di fiducia e di benessere anche in presenza di sofferenze emotive (Curry et al., 2018; Gherghel et al., 2019).

 

Qualità della vita e qualità della cura

Uno degli obiettivi principali dell’assistenza dovrebbe essere quello di dare pari valori alla qualità della vita e alla qualità della cura, garantendo il più alto livello di autonomia possibile agli ospiti, il mantenimento della dignità individuale e la possibilità di prendere le proprie decisioni, anche in base alle preferenze soggettive. La qualità della vita è un concetto complesso e personale, che dipende da diversi fattori quali lo stato di salute, l’ambiente sociale, i fattori psicologici della persona. All’interno di una casa residenza la sua misurazione è ancor più difficile perché entrano in gioco anche le peculiarità della struttura, l’organizzazione della vita quotidiana, le caratteristiche ambientali, le relazioni che si instaurano con il personale e la famiglia.

 

L’assistenza all’interno delle residenze non può essere valutata solamente mediante indicatori del processo di cura ed outcome clinici basati sull’assenza di eventi negativi degli ospiti (ad esempio lesioni da decubito, cadute). Gli anziani vivono nelle residenze per mesi o anni, per cui diventa importante poter valutare, dove ancora possibile, la percezione della qualità di vita e la soddisfazione sull’assistenza ricevuta. La vita in struttura andrebbe vissuta come “sentirsi a casa”, un luogo dove trovarsi a proprio agio in un clima il più familiare possibile. In altri termini, la residenza non può essere vista semplicemente come un luogo di custodia dell’anziano, ma deve farsi carico anche delle sue attese ed esigenze, compresa quella di vivere serenamente e nel modo più vicino alle sue convinzioni e principi. Il risultato di benessere e di qualità della vita dell’utente accolto all’interno di una casa residenza/RSA deve essere quindi l’obiettivo primario del prendersi cura della persona, l’outcome sul quale valutare l’organizzazione nel suo complesso, perché la qualità della vita in struttura non è una conseguenza diretta di una buona cura in termini medici.

 

L’importanza della relazione operatore – utente

Le nostre scelte organizzative devono tenere conto di tutti i parametri finora menzionati. È necessario contrastare i rischi di possibili modalità organizzative che portano il personale ad agire come in “catene di montaggio”, nelle quali l’unica priorità del lavoro di cura diventa il rispetto di orari per svolgere specifiche attività d’assistenza, dove il “fare tecnico” ha il sopravvento sulla psicologia del malato, sulla sua sensibilità e sull’importanza di una comunicazione corretta tra personale e anziano. All’interno delle strutture residenziali, per evitare questo rischio, è necessario diffondere a tutti gli operatori dell’équipe curante la consapevolezza dell’importanza della relazione. È bene ricordare che l’obiettivo di primaria importanza per realizzare interventi di qualità è considerare l’atto di cura nelle sue duplici, e non scindibili, parti: l’intervento tecnico e la relazione. L’insoddisfazione dell’ospite per la cattiva comunicazione con l’operatore ha un peso molto superiore a qualsiasi altra scontentezza circa le competenze tecniche. Anche se non si potranno mai soddisfare i molteplici bisogni di tutti gli ospiti, l’abilità e lo sforzo nella comunicazione del personale sono fondamentali per gli utenti e le loro famiglie.

 

Nel nostro lavoro dobbiamo essere in grado di percepire i disagi, consapevoli che a volte basta un sorriso, una carezza o un abbraccio, al momento opportuno, per migliorare sintomi e vissuti giornalieri di un anziano fragile. Spesso una parola guarisce e cura più della medicina o danneggia più della malattia. Un tono di voce caldo e calmo, una maggiore attenzione ai piccoli desideri dell’ospite, la sensibilità nel cogliere i disagi non manifesti, qualifica positivamente l’operatore, capace di combinare tecnica e creatività. Relazione, contatto, sorriso e buon umore possono essere il valore aggiunto nelle strutture residenziali. Se sottovalutiamo il valore della modalità con la quale ci si rapporta agli anziani, si perde di vista una delle più importanti competenze richieste alla professione di aiuto, ossia la capacità di entrare in empatia con l’anziano, cogliendo le sue esigenze e parlando la sualingua. La regola d’oro rimane sempre quella di mettersi al postodelle persone verso le quali si presta un determinato servizio e assicuraglielo come vorremmo fosse fatto a noi, nel modo che più gradiremmo.

 

Le fasi dell’accoglienza

Il processo dell’accoglienza del nuovo ospite può essere strutturato in tre fasi: la pre-accoglienza, l’accoglienza e la presa in carico.

 

La pre-accoglienza. Questa fase ha come fine la conoscenza tra l’utente e la struttura prima dell’ingresso in struttura. Sono fornite all’anziano, se possibile, al familiare di riferimento e/o all’amministratore di sostegno o al tutore, le informazioni amministrative, sui servizi, sulle rette, sul contratto di ospitalità che andrà sottoscritto al momento dell’ingresso in struttura, sulle regole e sulle modalità di visita. Si procede alla consegna della carta dei servizi e del regolamento interno, della relazione medica per l’ammissione che andrà compilata prima dell’ingresso dal medico curante dell’anziano. È anche il momento per raccogliere il maggior numero d’informazioni possibili sulle abitudini di vita e sulle preferenze del futuro ospite per personalizzare l’assistenza fin dai primi minuti dell’arrivo in struttura.

 

L’ingresso di un nuovo ospite e della sua famiglia è un momento nel quale gli operatori sono chiamati ad accogliere consapevolmente quell’universo di dubbi, perplessità, dolori, aspettative, paure, angosce, rabbia presenti nell’animo della persona e dei suoi familiari. La persona anziana giunge con il suo bagaglio di fragilità psico-fisiche che incidono pesantemente sulla sua qualità di vita e su quella della sua famiglia. Il nuovo utente spesso per vari motivi non riesce a comunicare i suoi vissuti che possono essere ad esempio depressivi, generati dalla sofferenza, di timore verso la nuova realtà, di paura di non riuscire ad affrontare persone nuove, di abbandono per la separazione dal suo ambiente e dai familiari, sentimenti di rabbia verso la famiglia, di preoccupazione legata al fatto di non essere più al centro dell’attenzione e quindi di non vedere esauditi anche i più semplici bisogni.

 

A sua volta la famiglia porta con sé le problematiche legate alla decisione di ricoverare il proprio caro, che spesso sono fonti di gravi sofferenze psicologiche connesse a vari fattori quali il vissuto d’impotenza nei confronti delle problematiche della persona, di abbandono, di colpa e di lutto imminente generati dalla nuova realtà e dalla scelta fatta, di conflitti all’interno della famiglia dovuti alla decisione di giungere al ricovero, di aspettative talora miracolistiche nei confronti della struttura, di scarsa o assente conoscenza della nuova realtà nella quale si troverà il proprio familiare, di difficoltà a fidarsi di altri che si prenderanno cura del proprio caro. Per quanto riguarda la nostra esperienza, un punto di forza è poter disporre fin dalla pre-accoglienza di una dettagliata relazione dell’Unità di Valutazione Geriatrica del Distretto. Questo rende possibile pianificare alcuni interventi dall’inizio e preparare al meglio la delicata fase dell’accoglienza, con obiettivi del Piano Assistenziale Individualizzato (PAI) da condividere fin dall’ingresso con la famiglia. Nella fase di pre-accoglienza si tratta anche di comprendere la struttura dei legami familiari e le aspettative dei familiari stessi, di far conoscere gli ambienti, i servizi, le regole che orientano la vita comunitaria della struttura.

 

L’accoglienza (il primo giorno). L’ingresso in una casa residenza rappresenta come già detto un cambiamento radicale nella quotidianità dell’individuo. Anche se l’ingresso in struttura può essere dovuto ad un periodo temporaneo di riabilitazione e cura, di sollievo per la famiglia, la maggior parte delle volte rappresenta l’ultima dimora per la persona, ed è quindi accompagnata da pesanti ed inevitabili conseguenze psicologiche. Per questo motivo, occorre gestire il momento con molta attenzione agli aspetti umani e relazionali. Il responsabile delle attività assistenziali (RAA) e l’operatore sociosanitario (OSS), dopo aver accolto la persona, iniziano a mostrare i nuovi ambienti e a far conoscere gli altri ospiti. Viene chiesta conferma delle abitudini alimentari, l’ospite viene coinvolto nelle attività ludico-ricreative e di socializzazione (come la terapia occupazionale, i gruppi di stimolazione cognitiva, la ginnastica di gruppo). Il medico e l’infermiere svolgono la visita medica d’ingresso ed il monitoraggio dei parametri vitali (PA, FC, SAT, glicemia). Il fisioterapista valuta l’ospite dal punto di vista motorio e l’appropriatezza degli ausili in uso.

 

La presa in carico (i primi sette giorni). La presa in carico è l’ultima fase di una prima accoglienza in struttura. La valutazione multidimensionale, realizzata attraverso il contributo integrato di tutti gli operatori del servizio, viene effettuata per identificare correttamente i bisogni della persona e per giungere alla costruzione di un piano assistenziale idoneo. L’équipe multidisciplinare5considera le informazioni raccolte e definisce i possibili obiettivi specifici, tenendo a mente come output atteso il miglior benessere possibile della persona, nonostante la malattia e la disabilità. Il piano assistenziale si configura come uno strumento fondamentale per garantire, anche nel breve-medio periodo, il completo soddisfacimento dei bisogni dell’ospite individuando e definendo interventi, tempi, modalità, responsabilità e valutazione dei risultati.

 

Il piano assistenziale individuale (PAI) prevede altresì elementi come il lavoro di squadra, la valutazione multidimensionale, il lavoro per obiettivi, la comunicazione, la formazione continua, le procedure e i protocolli condivisi e strutturati. L’uso costante degli strumenti di valutazione multidimensionale prima di costruire un PAI e prima della sua verifica, offrono la possibilità concreta, agli operatori coinvolti, di toccare con mano gli esiti del loro lavoro. La rilevazione e la conseguente diffusione dei risultati offre a ciascuno la possibilità di sentirsi gratificato per gli sforzi profusi, infonde energia per affrontare nuove sfide, genera senso di appartenenza, permette di valutare l’adeguatezza delle procedure adottate. L’elaborazione del PAI comporta il coinvolgimento di tutti i soggetti competenti per garantire lo stato di salute dell’ospite nel suo percorso residenziale. I piani assistenziali sono strumenti che offrono una straordinaria occasione per sviluppare l’integrazione professionale, per migliorare la comunicazione e per consolidare il rapporto di fiducia con gli utenti e con i familiari.

 

I questionari per valutare la qualità della vita

La necessità di potenziare oltre alla qualità di cura anche quella di vita è dimostrata dal fatto che, da oltre 10 anni, il sistema di controllo statunitense delle Nursing Home, il Minimum Data Set (MDS revisione 3, ottobre 2010), ha inserito numerose domande e valutazioni dirette a esplorare gli elementi della qualità di vita delle persone ricoverate in strutture protette. Negli Stati Uniti già dal 1998 il Center For Medicare Services (CMS) e l’Università del Minnesota, nell’ambito del progetto Measures, Indicators and Improvement of Quality of Life in Nursing Homes, con la sua responsabile Rosalie Kane, ha elaborato un questionario mediante il quale valutare gli aspetti della qualità della vita non indagati dal Minimum Data Set (MDS), in particolare quelli psicologici e sociali. Si tratta di uno strumento innovativo poiché viene somministrato direttamente ai residenti. È stato dimostrato, infatti, che il giudizio di parenti e amici della persona ricoverata presenta delle differenze con quanto dichiarato dall’ospite stesso.

 

Nella tabella sottostante sono riportati i dati riguardanti la somministrazione del questionario agli ospiti della “Casa Residenza Villa Matilde di Bazzano” (periodo pre-Covid).

Tabella 1 – Scala sulla qualità della vita
(Ver. Dicembre 21, 2001, Università del Minnesota, Istituto di Igiene) – Periodo di riferimento dall’anno 2015 al 2019

Il suo utilizzo avviene da oltre otto anni (dopo la sospensione durante la pandemia è stato ripreso il suo utilizzo in quest’ultimo periodo) ed è somministrato solitamente agli ospiti con assenza di deterioramento, o deterioramento cognitivo lieve/moderato (circa il 15% delle persone accolte a tempo indeterminato). Le informazioni ottenute da tali questionari hanno contribuito anche nella nostra realtà alla pianificazione di un intervento di assistenza individualizzato centrato sulla storia, sulle scelte effettive e sul benessere della persona, evidenziando le aree di criticità ed i possibili miglioramenti organizzativi per il raggiungimento di questo obiettivo.

 

Il monitoraggio della qualità della vita deve rappresentare il faro dell’assistenza, ma richiede allo stesso tempo un’organizzazione flessibile, in grado di rispondere attraverso l’approccio multidimensionale ai reali bisogni e alle attese delle persone affidate ai nostri servizi. Ogni servizio deve adottare un sistema per la rilevazione di indicatori: della qualità della vita dei propri utenti, della qualità dell’assistenza e delle cure (ad esempio attraverso il monitoraggio del raggiungimento degli obiettivi dei piani assistenziali individualizzati, dell’incidenza di eventi sentinella (ad esempio cadute, lesioni da decubito, malnutrizione, disidratazione, infezioni, etc.) e del livello di qualità percepita dei familiari (ad esempio tramite questionari di valutazione del servizio).

 

Il ruolo dei beni relazionali nella cura

In conclusione, ciò che porta benessere all’utente non è solo l’aspetto terapeutico e assistenziale, ma tutte le dimensioni delle relazioni, quei cosiddetti beni relazionali che si creano tra utente e operatore nel contesto sociale dell’attività di cura. L’attenzione alla relazione da parte del personale è la caratteristica più importante per la qualità percepita dall’utente e dalla sua famiglia, è ciò che può rendere più gradito e apprezzato il “servizio offerto” poiché intriso di quel valore aggiunto che rappresenta sostanzialmente “il motore” della vita vissuta, uno degli aspetti fondamentali caratterizzanti la qualità di vita.

 

All’interno delle nostre organizzazioni dobbiamo quindi puntare a sviluppare/monitorare le competenze relazionali del nostro personale. La qualità del servizio e dell’accoglienza si gioca “nel momento della verità”, nel modo in cui le conoscenze, le capacità, il “saper essere” del personale è messo in pratica nel processo di erogazione a livello operativo fra operatori/professionisti e persona/famiglia. Per suddetti motivi, il personale deve essere inserito in un percorso continuo di formazione, di valutazione e riconoscimento delle proprie competenze comprese quelle relazionali.

Note

  1. Con percorsi di accesso con zone filtro per la vestizione e svestizione e percorsi pulito sporco per quanto riguarda la biancheria e lo smaltimento dei contenitori ROT  (Rifiuti ospedalieri trattati).
  2. Gli ospiti in RSA sono di fatto seguiti da due tipologie di caregiver: quelli formali (operatori sanitari e professionisti) ed informali (familiari) (Weinberg, 2007). Diversi studi evidenziano lacune nella comunicazione tra i caregiver formali e informali, e ci mostrano che spesso i familiari sono confusi e hanno molti dubbi sui processi di cura dei loro parenti (Kripalani, 2007).
  3. Casa Residenza per anziani non autosufficienti (CRA) è l’acronimo usato in Emilia-Romagna per definire le strutture residenziali sociosanitarie per anziani non autosufficienti altrove chiamate RSA. Sono realtà diverse della Case di riposo, dalle Case albergo, dalle Comunità alloggio e dalle Case-famiglia.
  4. Con l’acronimo BPSD (Behavioral and Psychological Symptoms of Dementia) i medici identificano la sintomatologia psichica e comportamentale che può accompagnare i disturbi cognitivi delle persone che soffrono di demenza.
  5. .L’équipe multiprofessionale è formata solitamente da un medico, un infermiere, un RAA, un coordinatore, un animatore, un OSS e un fisioterapista.

Bibliografia

Bertolini, L., Pagani M. (2011), Qualità della vita o qualità della cura, I luoghi della cura, (3):20-25

Garulli, M. (2014), La relazione come cura per migliorare la qualità di vita nelle case residenze: l’esperienza di Villa Matilde di Bazzano, Rivista dell’Associazione Geriatria Extraospedaliera (9):14-16

Gelmini, G., Braidi, G. (2011), La relazione come cura nell’assistenza geriatrica, Maggioli Editori

Guaita, A. (2005), Linee guida della SIGG per le RSA, Bollettino SIGG

Istat (2021), Report, Migliora la salute degli anziani ma cresce la domanda di cura e assistenza

Trabucchi, M. (2000), La misura oggettiva dei risultati come metro di valutazione dei servizi alla persona: l’esempio della geriatria. La promozione della salute, ISU

Kane, R.A. (2002), Definitions, measurement and correlates of quality of life in Nursing Home: Toward a Resonable Practice, Research and policy Agenda, The Gerontologist

Kane R.A. (2003), Measures Indicators and Improvement of Quality in Nursing Home, The Johns Hopkins University pressKane R.A (2005), Meeting the challenge of Chronic illness, The Johns Hopkins University press

Fiore  F., Casati  F. (2018) I Luoghi della Cura, Complessità ed opportunità nel rapporto fra staff e parenti degli ospiti in RSA, www.iluoghidellacura.it1 giugno

P.I. 00777910159 - © Copyright I luoghi della cura online - Preferenze sulla privacy - Privacy Policy - Cookie Policy

Realizzato da: LO Studio