Nonostante l’articolo 2 della nostra Costituzione recita che: “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, a differenza di altri Paesi europei, nostri vicini e concorrenti, l’Italia è in grande ritardo.
Il nostro bel Paese non si è ancora dotato di una di una legge quadro nazionale sulla non autosufficienza mentre Austria (1993), Germania (1995), Francia (2002), Spagna (2006) sono già intervenute, da anni in Italia si continua a discutere, polemizzare senza mai concretizzare.
In attesa da vent’anni di una riforma dell’assistenza agli anziani
L’Istat ha da qualche tempo attirato l’attenzione della politica sulla domanda sociale e sanitaria degli anziani, descrivendo come tra le persone over 65 anni, fascia di età in cui si concentra la gran parte delle persone non autosufficienti, vi siano 3,8 milioni di soggetti con difficoltà motorie gravi e/o compromissioni dell’autonomia nello svolgere le normali attività della vita quotidiana. E ciò diventa ancora più rilevante se pensiamo che, in Italia, la quota di popolazione con oltre 65 anni di età rappresenta circa il 23% del totale e sia destinata a crescere sino al 33%, tra il 2040 e il 2060. Un livello superiore a quello registrato tra tutti gli Stati membri dell’Unione Europea. Pertanto, siamo un Paese che invecchia di più in un continente sempre più anziano, e il caso Italia presenta un notevole ritardo, sia nella definizione delle priorità e degli interventi che dovrebbero essere presi e sia nella riflessione pubblica sulle conseguenze, per gli anziani e le loro famiglie, dell’invecchiamento della popolazione.
Le proposte di legge sulla non autosufficienza non sono certo mancate, a partire dalla Commissione Onofri nel 1997, a quella presentata dalla Fnp Cisl pensionati sui “Livelli essenziali per la protezione delle persone non autosufficienti” nel 2017 e da altri numerosi tentativi di disegni di legge che giacciono ancora nei cassetti del Parlamento. Purtroppo, si è assistito ai soliti annunci in campagna elettorale ma i vari Governi, che si sono succeduti, non sono mai riusciti a presentare un testo di legge “cornice” nazionale condiviso dalle diverse forze politiche. Solo nel 2006 il Governo di turno si è limitato a istituire il Fondo nazionale ad hoc, Fna, con risorse a corrente alternata fino al 2015.
Dal 2015 il Fondo per le non autosufficienza è diventato strutturale, per gli anni a venire, con una dotazione di 400 milioni che, grazie al confronto con le Oo.ss. dei pensionati, è stata incrementata dalla legge di bilancio 2022 per un ammontare pari a 100 milioni di euro per l’anno 2022, a 200 milioni per l’anno 2023, a 250 milioni per l’anno 2024 e a 300 milioni di euro a decorrere dal 2025. Più risorse pubbliche, che si vanno ad aggiungere all’indennità di accompagnamento e alle poche ore anno erogate dai servizi di assistenza domiciliare integrata (Adi), ma non sono sufficienti per garantire una riforma complessiva dell’intero sistema assistenziale per la non autosufficienza in Italia.
Un mancato impegno dello stato con ricadute pesanti sulla famiglia: l’occasione di costruire un nuovo futuro con il PNRR
Il nostro sistema di welfare per la gestione delle cronicità, della disabilità e della non autosufficienza si è mantenuto, e si mantiene in piedi, scaricando, di fatto, il peso, l’impegno e il costo dei servizi quasi esclusivamente sulle famiglie. Non stiamo parlando di bruscolini ma di circa 34 miliardi di euro anno che le famiglie sborsano per assistenza in RSA e assistenza domiciliare con le badanti.
Oggi, con l’approvazione del Piano Nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) il Paese ha l’occasione di investire risorse fresche per una riforma complessiva del sistema dei servizi dedicato alla non autosufficienza e alla disabilità, che non possono essere trattate separatamente perché parti integranti nel nostro sistema di welfare, a partire dal riconoscimento esigibile di Livelli essenziali di assistenza sanitari e sociali per tutti cittadini, da Sud a Nord del Paese. In questo ultimo anno autorevoli e competenti esperti si sono impegnati ad elaborare progetti su questi temi, dalla Commissione cosiddetta di monsignor Paglia per conto del Ministero della Salute alla Commissione cosiddetta dell’Onorevole Turco per conto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, dal Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza alla nuova e rinnovata cosiddetta Commissione Garofoli per conto della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
In particolare, il Patto ha presentato una proposta di riforma complessiva del welfare per la non autosufficienza, grazie al contributo attivo di ricercatori universitari e di una quarantina di associazioni, tra cui anche la nostra Fnp Cisl, che operano a sostegno di malati e loro familiari. Questa proposta di Piano nazionale di domiciliarità integrata per i servizi dedicati alla non autosufficienza non si focalizza solo sui servizi sanitari domiciliari forniti dall’Adi ma cerca di coinvolgere e integrare, a pieno titolo, anche la fascia dei servizi sociali, soprattutto, per combattere solitudine e abbandono degli anziani.
L’Adi è l’intervento sanitario e domiciliare pubblico più utilizzato ma oggi riesce a garantire l’assistenza a circa il 6,2 per cento degli over 65 anni, e si limita a 18 ore medie anno per non più di 2 – 3 mesi. Il suo finanziamento pubblico dovrebbe crescere progressivamente dagli attuali 1,3 miliardi di euro annui fino a 2,9 miliardi nel 2026, con l’obiettivo di raggiungere almeno il 10 per cento degli over 65 entro il 2026. Il limite di questo servizio non è solo quantitativo ma anche qualitativo in quanto l’Adi, per sua stessa natura, non considera la non autosufficienza nei suoi molteplici aspetti sociali ma interviene esclusivamente da un punto di vista medico, infermieristico, riabilitativo.
La proposta del patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza
Il Patto propone di sviluppare e integrare concretamente l’attuale sistema dei servizi Adi (servizio sanitario) con il sistema di assistenza domiciliare Sad (sociale comuni) per rispondere adeguatamente alle condizioni delle persone, alle richieste delle loro famiglie. Nel 2018, i comuni hanno speso circa 347 milioni di euro per i servizi Sad e la spesa media annua per singolo utente anziano è di circa 1.800 euro anno, con differenze notevoli tra regioni. Per raggiungere questo obiettivo, oltre ad un maggior finanziamento occorre una maggior integrazione tra ministeri competenti per la non autosufficienza (welfare e salute) costituendo una cabina di regia nazionale unitaria. Non si può chiedere ai territori di lavorare in modo integrato, se i primi a non farlo sono i dicasteri e gli assessorati responsabili.
La sfida dell’invecchiamento è strettamente legata a quella della “non autosufficienza”, conseguenza inevitabile dell’allungamento dell’aspettativa di vita media. E, prima o poi, coinvolgerà anche persone e famiglie a noi vicine. Oggi, i cittadini anziani ricorrono alle residenze RSA quando le condizioni di salute richiedono cure qualificate sul piano clinico e assistenziale, che non possono essere prestate in maniera adeguata a casa.
Qualche decennio fa le cose andavano diversamente, ma oggi sono molto pochi gli anziani che potrebbero restare nella loro abitazione ricevendo gli interventi a cui hanno diritto. E, quindi, anche le Rsa possono giocare un ruolo attivo, sia nella continuità assistenziale e sia nel panorama dei servizi offerti dal Ssn per la non autosufficienza. E’ per questi motivi che alla Fnp Cisl pensionati non ha mai appassionato, più di tanto, il dibattito: se è meglio investire maggiormente in soluzioni domiciliari e intermedie piuttosto che in strutture residenziali Rsa per anziani. A nostro parere si deve ripartire da una rete di servizi integrati territoriali capillare, efficace ed efficiente per le persone anziane, dove anche la residenzialità in Rsa possa trovare il suo adeguato spazio, come risposta importante, al bisogno della persona anziana a un certo punto del proprio itinerario di salute quando l’assistenza domiciliare non basta più, in quanto i bisogni dell’anziano non autosufficiente richiedono assistenza quotidiana e continuativa.
È arrivato il momento di chiarire, superando incertezze e modelli regionali contradditori, cosi si intende per “rete dei servizi territoriali”, dove medico di famiglia, domiciliarità, strutture residenziali, centri diurni, distretto, case di comunità, ospedali di comunità, pronto soccorso, struttura ospedaliera, hospice devono essere messi in grado di prendersi carico concretamente della persona malata e al bisogno della persona anziana e cronica nelle diverse fasi del suo itinerario di salute. Insomma, è necessario fare chiarezza sul “chi, fa, che cosa e quando”, senza concorrenza e sovrapposizioni.
Long-Term Care in Italia: serve una riforma ambiziosa
Riteniamo assolutamente prioritario, a questo punto, tenendo conto degli errori del passato, ripartire dal domicilio come primo luogo di cura e di assistenza dove ricevere le cure socio sanitarie secondo un piano assistenziale graduato in base alle reali esigenze del singolo cittadino in modo di accompagnarlo in tutto il suo percorso di vita, alleviandogli, quanto possibile, le fatiche e le sofferenze della cronicità prima, e poi della non autosufficienza. Gli anziani non autosufficienti meritano una riforma ambiziosa, e le proposte presentate dal Patto per la non autosufficienza mostrano tutte le carte in regola per arricchire e integrare il disegno di legge delega a cui sta lavorando il Governo.
Tra le novità proposte dal Patto c’è l’istituzione di un Sistema Nazionale di Assistenza agli Anziani (SNA) che, attraverso uno stretto coordinamento fra Stato, Regioni e Comuni, definisca un percorso unico e chiaro ed integri le prestazioni sanitarie e quelle sociali a favore dei quasi 4 milioni di anziani non autosufficienti e delle loro famiglie.
La proposta sostiene lo sviluppo di una nuova governance delle politiche per la non autosufficienza degli anziani che punti a costruire una serie di risposte, differenziate e complementari tra loro: servizi residenziali, semiresidenziali, domiciliari, trasferimenti monetari, adattamenti delle abitazioni, sostegni ai caregiver familiari e alle assistenti familiari (badanti). Dobbiamo semplificare l’accesso, da parte degli anziani, all’assistenza pubblica ed evitare che le famiglie debbano, come oggi accade, girovagare a vuoto tra sportelli, luoghi e sedi. Nello SNA la possibilità di accedere a tutte le risposte è definita attraverso una sola valutazione iniziale ed è previsto un percorso unico, chiaro e semplice, all’interno dell’intera rete del welfare.
Le proposte ci sono e non resta altro che fare presto, fare bene e fare insieme. Ora questo Paese è chiamato a dimostrare di essere in grado di fare sintesi, di essere concreto, di sapere armonizzare tutte le risorse e le forze della società civile disponibili, con l’unico obiettivo di arrivare ad una riforma, attesa da oltre 20 anni, che sia all’altezza delle esigenze e aspettative dei 3,8 milioni di anziani non autosufficienti e delle loro famiglie.