Politiche sociosanitarie nazionali e regionali per gli anziani
La regolazione nazionale delle politiche sociali e sociosanitarie in Italia è piuttosto debole e frammentata. L’approccio si è a lungo caratterizzato per la settorialità nella definizione dei destinatari, dei sistemi di finanziamento e delle responsabilità istituzionali per le diverse aree di intervento. Soprattutto nell’ambito degli interventi a favore della popolazione anziana, il quadro normativo nazionale è rimasto particolarmente “leggero” o “debole”, lasciando margini consistenti di sviluppo a politiche regionali differenziate. Ci si può pertanto attendere che gli interventi regionali siano differenziati quanto a obiettivi perseguiti, strumenti impiegati, assetti organizzativi dei servizi, risorse umane, strumentali ed economiche a disposizione.
Anche dopo l’approvazione della legge riforma degli interventi e dei servizi sociali1 – che pure vede tra i suoi obiettivi prioritari la costruzione di un quadro di riferimento, orientamenti generali ed obiettivi comuni per le politiche sociali – una certa continuità in questo senso sembra plausibile. In primo luogo, la riforma si inserisce in contesti regionali già diversamente articolati e strutturati (Formez 2002a, 2002b). Inoltre, la legge di riforma si presenta più come una norma di principi che non come la definizione di contenuti delle politiche, privilegiando l’attenzione all’architettura istituzionale ed alle modalità di pianificazione e progettazione territoriale. Infine, la riforma non incide in maniera drastica sulle risorse disponibili per le politiche sociali e sulla loro allocazione.
La prospettiva di una limitata armonizzazione degli interventi regionali appare ancora più realistica nel quadro della riforma costituzionale, che regionalizza ulteriormente le politiche sociali (De Martin 2002).
L’analisi comparata delle politiche delle regioni evidenzia fin dagli anni ’70 linee di sviluppo differenti per le regioni del nord e quelle del sud, oltre che per le regioni a statuto speciale e quelle a statuto ordinario (Fargion 1997, Labos 1994), tanto nelle politiche sociali in generale quanto nell’area degli interventi a favore degli anziani. Più nello specifico, poiché gli interventi e servizi nell’area degli anziani non autosufficienti si collocano al confine con le politiche sanitarie, hanno risentito della differenziazione delle politiche sanitarie regionali. La differenziazione degli assetti organizzativi e gestionali dei servizi sanitari su base regionale, che si è andata accentuando negli anni ’90 (Anessi Pessina e Cantù, 2002), può contribuire significativamente a spiegare la variabilità presente nel sistema dell’integrazione sociosanitaria.
Questo articolo mette a confronto le politiche sociosanitarie per gli anziani in tre regioni relativamente “simili” – Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Saranno analizzate similitudini e differenze sia nello sviluppo di idee e principi di fondo sia nella definizione organizzativa ed operativa degli interventi e dei servizi da parte delle Regioni, con particolare attenzione alle conseguenze sulle opportunità offerte alle persone anziane residenti.
Principi e orientamenti a confronto
L’analisi degli orientamenti generali di politica sociale espressi dalle tre regioni, mette in evidenza numerosi tratti comuni nel corso dei tre decenni di sviluppo delle politiche sociali regionali.
La nascita delle politiche sociali negli anni Settanta
I primi anni ’70 sono caratterizzati da un notevole attivismo legislativo delle Regioni italiane in materia socioassistenziale. Alcune leggi regionali approvate in questo periodo costituiscono l’attuazione e la specificazione di politiche nazionali, come nel caso degli asili nido2, dei consultori familiari3 e delle tossicodipendenze4. Vi sono inoltre iniziative proprie delle regioni che, sulla base delle nuove competenze assunte in materia di assistenza e beneficenza, intraprendono percorsi autonomi nell’ambito delle politiche a favore di anziani, minori e portatori di handicap (Ferrario, 2001). Lo studio comparato della legislazione regionale del periodo ha documentato una divisione piuttosto netta tra regioni del centro-nord e del sud (Fargion, 1997). Mentre le prime hanno mostrato una maggiore attenzione assumendo leggi ad hoc con un approccio innovativo, promuovendo la “deistituzionalizzazione” e lo sviluppo di servizi territoriali “aperti”, le seconde sono intervenute in misura minore ed hanno per lo più dato continuità alla tradizionale prevalenza dei contributi economici quali strumenti di politica sociale.
Nel 1974 viene approvato dalla Regione Lombardia un provvedimento che colloca la regione a pieno titolo tra quelle promotrici di una politica di deistituzionalizzazione, attraverso lo sviluppo di servizi territoriali aperti. Secondo la legge lombarda il ricorso alle strutture residenziali deve avere carattere straordinario e può avvenire solo nel caso che gli altri servizi presenti sul territorio e disciplinati dalla legge stessa non risultino accessibili. Inoltre, i contributi erogabili a favore delle strutture residenziali sono condizionati al non ampliamento delle capacità ricettive e non è previsto alcun sostegno per la gestione delle attività socioassistenziali in contesto residenziale. Il riconoscimento di contributi giornalieri a copertura delle spese sanitarie e di rilievo sanitario sostenute dalle strutture residenziali lombarde avviene a partire dal 19795 grazie a finanziamenti del fondo sanitario (Da Roit, 2001).
In Emilia-Romagna, dopo una legge del 1975 finalizzata al finanziamento della ristrutturazione di immobili da destinare ad abitazioni per anziani, viene approvata nel 1979 una norma più generale, relativa agli interventi a favore degli anziani. La legge sancisce la necessità di rimuovere il disagio o il bisogno per consentire la permanenza delle persone anziane nel loro contesto familiare e sociale. Gli strumenti per raggiungere tale obiettivo risiedono sia nell’istituzione o potenziamento di servizi di assistenza domiciliare, sia nella istituzione di case protette e nella trasformazione delle case di riposo in case protette6. Tale provvedimento, assunto diversi anni più tardi rispetto alla Lombardia, riflette orientamenti analoghi e comuni a numerose regioni del centro nord.
In questo contesto, assume un carattere particolare la legge della regione Veneto del 1975 che, pur ribadendo la necessità di sviluppare un sistema di servizi territoriali e domiciliari per favorire l’autonomia e la permanenza al domicilio delle persone anziane, affronta parallelamente il problema dell’adeguamento delle strutture residenziali esistenti.
Le politiche socioassistenziali per gli anziani sono realizzate sia attraverso “servizi aperti” sia attraverso “servizi residenziali”, ai quali si accede “ogni qualvolta gli interventi di assistenza aperta risultino meno efficaci o impossibili”. Tuttavia si prevede che la regione promuova “la ristrutturazione, l’ammodernamento e il completamento delle case di riposo esistenti, al fine di adeguarle alle moderne metodologie di assistenza”7. Inoltre è previsto il finanziamento regionale non solo per la sistemazione di edifici già adibiti a strutture residenziali, ma anche per l’ampliamento o l’acquisizione di nuove strutture, preferibilmente destinate ad anziani non autosufficienti. Oltre ai contributi annui per la gestione di servizi domiciliari e centri diurni ed ai finanziamenti in conto capitale per la ristrutturazione e costruzione di strutture residenziali, sono previsti finanziamenti a favore delle case di riposo a titolo di “contributo giornaliero per il servizio di assistenza infermieristica e sanitaria a favore di persone anziane non autosufficienti”.
Gli anni Ottanta e le leggi di riordino delle politiche sociali
Con la fine degli anni settanta, che vede l’approvazione della legge istitutiva del servizio sanitario nazionale8 ed il trasferimento ai comuni delle funzioni amministrative relative ai servizi socioassistenziali9, cambia radicalmente il quadro di riferimento. A seguito della mancata approvazione della legge quadro sui servizi sociali, negli anni immediatamente successivi la maggior parte delle regioni a statuto ordinario procede all’approvazione di leggi di riordino complessivo in materia socioassistenziale, facendo esplicito riferimento ai servizi sociali a favore degli anziani come parte integrante della politica sociale regionale in senso più ampio.
Dal punto di vista dei contenuti, i testi legislativi adottati sono sorprendentemente simili nel linguaggio, negli obiettivi individuati, nel tentativo di attribuire alle politiche socioassistenziali caratteristiche di universalismo. Il superamento dell’approccio settoriale alle politiche sociali, l’approvazione di leggi di riordino sociale e sociosanitario, l’enfasi sull’universalismo nell’accesso alle prestazioni caratterizzano fortemente la produzione normativa degli anni ottanta in numerose regioni italiane. La Lombardia approva la legge di riordino socioassistenziale nel 1986, secondo gli indirizzi prevalenti. Nonostante l’approccio rilevabile nel piano sia di tipo universalistico e riconosca “diritti” dei cittadini nell’accesso ai servizi sociali, viene esplicitata la necessità di far fronte prioritariamente a coloro che si trovano in maggiori condizioni di bisogno, evidenziando così un intento “selettivo”. Per alcune aree di intervento – tra cui l’assistenza residenziale agli anziani – è sottolineata la necessità di interventi integrati sociali e sanitari.
Mentre il ruolo regionale di programmazione, definizione di obiettivi e priorità in ordine alle politiche sociali emerge piuttosto chiaramente dal testo della legge, in termini di “vincolo” per gli enti locali attuatori e gestori degli interventi, concorrono alla realizzazione del sistema regionale socioassistenziale enti pubblici e privati senza scopo di lucro, tra cui le organizzazioni di volontariato. Viene inoltre istituito il fondo sociale regionale nel quale confluiscono tutte le risorse da destinare alle diverse aree di intervento ed a servizi specifici. La necessità di utilizzare tali risorse per orientare, qualificare e sviluppare il sistema dei servizi sociali regionali ed equilibrare territorialmente l’offerta è ripetutamente sottolineata dalla legge lombarda. La legge rinvia quindi a successivi piani e progetti obiettivo la piena realizzazione degli obiettivi generali fissati: il primo piano socioassistenziale (PSA) – che individua una tipologia di servizi (residenziali, diurni e domiciliari), nonché aree di intervento (materno infantile, adolescenti e giovani; disabili; anziani; dipendenze) per i quali sono fissati specifici obiettivi e priorità – viene adottato a fine 1987 con riferimento al triennio 1988-90. Il Progetto obiettivo anziani sarà invece approvato solo alcuni anni più tardi.
La regione Emilia-Romagna adotta la legge di riordino socioassistenziale nel 1985, un anno prima rispetto alla Lombardia. La definizione dei principi generali di riferimento della legge è coerente con le tendenze del periodo. Per quanto riguarda, in particolare, gli interventi a favore degli anziani la legge di riordino recepisce sostanzialmente i contenuti generali e gli obiettivi stabiliti dalla legge di settore approvata alla fine degli anni ’70. A differenza della Lombardia, in Emilia-Romagna alla legge di riordino non seguono provvedimenti attuativi delle politiche a favore degli anziani. E’ tuttavia rilevante la decisione assunta all’inizio degli anni ’90 di riordinare il sistema di offerta di servizi residenziali e semiresidenziali, prevedendo una precisa tipologia di offerta nonché caratteristiche strutturali e gestionali, connesse al rilascio delle autorizzazioni al funzionamento ed alla successiva vigilanza10.
La legge di riordino socioassistenziale della regione Veneto è tra le prime adottate in Italia. Risale, infatti, al 1982 ed è successivamente modificata ed integrata nel 1986. Anche nel testo normativo veneto è particolarmente sottolineato il ruolo di promozione sociale che gli interventi pubblici devono assumere, coerentemente con gli orientamenti generali delle leggi regionali di riordino del periodo. Anche in questo caso la programmazione regionale e territoriale assumono una posizione centrale nella logica della legge, così come il finanziamento dei servizi grazie alle risorse del nuovo fondo sociale regionale dovrebbe servire a sviluppare un’offerta di servizi coerente con gli obiettivi di sviluppo predefiniti. La legge di riordino non affronta in modo specifico gli interventi da realizzare a favore delle persone anziane, ma rinvia a successive decisioni. Sono infatti seguiti a tale legge, nel corso degli anni ’80, due piani sociali approvati nel 1984 e nel 1989, che tuttavia non fanno esplicito riferimento a politiche nell’area anziani, ma conservano un approccio organizzativo e generale rispetto al sistema dei servizi. La legge regionale di settore dei primi anni ’70 resta pertanto in vigore anche dopo il riordino socio assistenziale.
Gli anni Novanta e la rete dei servizi per anziani
E’ tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni ’90 che l’attenzione si concentra sulle politiche a favore della popolazione anziana ed in particolare sui bisogni di cura degli anziani non autosufficienti. La legislazione nazionale pone per la prima volta attenzione ai servizi residenziali per gli anziani non autosufficienti, predisponendo a partire dal 1987 un piano di investimenti per la realizzazione di residenze sanitario assistenziali e fissando requisiti minimi strutturali per l’autorizzazione al funzionamento di tali strutture11. Inoltre, nei primi anni ’90, prende avvio un dibattito sulla relazione tra prevenzione, cura, riabilitazione e assistenza in presenza di patologie cronico degenerative, che pone l’accento sulla “fragilità” come aspetto cruciale della condizione anziana e come concetto attorno al quale costruire le politiche di sostegno.
Nel 1992 viene approvato dal parlamento il Progetto Obiettivo Tutela della salute dell’anziano (POSA), successivamente incluso nel Piano Sanitario Nazionale 1994-1996, che introduce l’idea della “rete” dei servizi, cui si accede grazie alla mediazione di équipe multidisciplinari territoriali12. Altrettanta enfasi è posta sulla necessità di integrare prestazioni socioassistenziali e sociosanitarie per rispondere in modo unitario ai bisogni di cura delle persone anziane. Si sottolinea in particolare, in questo caso, la necessità di far fronte in modo integrato ai bisogni di salute e benessere sul piano sia delle cure domiciliari sia diurne e residenziali.
Nel 1995 viene approvato dalla regione Lombardia il Progetto obiettivo anziani (POA). L’idea che pervade il documento lombardo è quello della attivazione di un modello a rete di risposta ai bisogni delle persone anziane, con lo sviluppo prioritario dei servizi diurni e domiciliari. Particolare attenzione è posta alla necessaria integrazione tra interventi sanitari, socioassistenziali e di rilievo sanitario. Lo strumento operativo con il quale raggiungere tali obiettivi è l’UVG, cui sono attribuiti compiti di valutazione multidimensionale dei bisogni, di individuazione delle risposte più idonee, di orientamento nella rete dei servizi e di monitoraggio nel tempo. Il ruolo dell’UVG verrà solo successivamente rimosso nella regione.
Nel 1994 l’Emilia-Romagna approva una legge relativa al sistema dei servizi a favore della popolazione anziana13. Con particolare riguardo agli anziani non autosufficienti la legge sottolinea la necessità di promuovere l’integrazione tra servizi sociali e sanitari, sotto il profilo sia istituzionale sia gestionale. In questo nuovo quadro normativo la legge prevede l’articolazione dell’offerta dei servizi della rete, l’introduzione del responsabile del caso per ogni anziano preso in carico.
A differenza delle altre due regioni analizzate, il Veneto non procede nello sviluppo delle politiche per gli anziani attraverso strumenti quali la legge di settore o il progetto obiettivo, come è avvenuto in Emilia- Romagna e Lombardia. Nel 1991 la regione Veneto approva una legge relativa alle “Provvidenze a favore delle persone non autosufficienti assistite a domicilio e norme attuative delle Residenze sanitario assistenziali” 14. Con tale norma viene introdotta una nuova misura a sostegno delle persone non autosufficienti, non solo anziane, che secondo la regione stessa deve essere considerata non sostitutiva di altre unità di offerta (domiciliari e diurne), ma ad esse complementare (Regione Veneto, 1992). Un contributo economico erogato a favore di persone non autosufficienti che, pur non necessitando di ricovero continuativo, hanno bisogno di interventi assistenziali e di rilievo sanitario al loro domicilio. Si tratta di un provvedimento che per alcuni aspetti anticipa molti temi ed approcci tipici della seconda parte degli anni ’90 anche in altre Regioni.
Inoltre, lo sviluppo delle politiche sociali per gli anziani in Veneto è strettamente connesso ai processi di riorganizzazione complessiva del settore sociosanitario nella seconda metà degli anni ’9015: l’assistenza ospedaliera, l’assistenza residenziale extraospedaliera e quella domiciliare. Nel modello Veneto della fine degli anni ’90 la residenzialità sanitaria extraospedaliera a carattere estensivo si realizza attraverso la implementazione di una rete di Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), costituita da presidi territoriali derivanti da riconversioni di strutture ospedaliere dismesse, nonché attraverso un processo di qualificazione della risposta sanitaria della rete delle case di riposo per anziani non autosufficienti e degli istituti per disabili. Infine la programmazione regionale si è orientata alle cure domiciliari, attraverso la definizione di linee guida regionali dirette sia alle Aziende ULSS sia ai Comuni che organizzano l’assistenza a domicilio.16
Le tendenze recenti
Due idee cruciali nello sviluppo delle politiche a favore degli anziani, a partire soprattutto della seconda metà degli anni novanta, sono rappresentate dalla necessità di garantire sostegno alle famiglie degli anziani non autosufficienti e libertà di scelta nell’accesso ai servizi socioassistenziali. In particolare si evidenzia il crescente ricorso ad erogazioni economiche a favore delle famiglie: nel caso delle politiche a favore degli anziani non autosufficienti tale tendenza si coniuga con il tentativo di limitare le domande di istituzionalizzazione (Gori, 2001; Gori e Pasquinelli, 2001; Gori e Torri, 2001).
Sussidiarietà orizzontale, prioritaria autosoddisfazione dei bisogni da parte delle famiglie; sostegno ai caregiver informali; enfasi sulla libertà di scelta rappresentano i temi emergenti nel dibattito e nei testi normativi. E’ in questo clima che regioni ed enti locali hanno promosso il ricorso agli assegni di cura17 e, in maniera più limitata, ai voucher18, soprattutto nell’ambito delle politiche per le persone anziane non autosufficienti.
In Lombardia la legge a sostegno delle responsabilità familiari si colloca tra le iniziative (e nel dibattito) volte a riconoscere e promuovere l’autosoddisfazione dei bisogni di cura da parte delle famiglie19. Di particolare rilievo per il peso assunto nel dibattito è l’introduzione, nel 2001 in via sperimentale, di un buono sociosanitario a favore delle persone anziane non autosufficienti, finanziato con risorse del fondo sanitario regionale. I destinatari sono persone con almeno 75 anni, non autosufficienti, che vivono a casa propria ed in possesso un reddito inferiore a determinate soglie. I beneficiari possono utilizzare il contributo o per soddisfare in proprio i bisogni di cura o per acquistare servizi presso erogatori accreditati.
Anche in Emilia-Romagna, come nella sperimentazione lombarda, il finanziamento del sostegno delle famiglie non autosufficienti è realizzato attraverso fondi di natura sanitaria. Si tratta di un contributo economico a favore dei non autosufficienti, che siano stati valutati dall’UVG20 e che possiedano un reddito inferiore a determinate soglie. Nonostante il denaro erogato possa essere speso liberamente dai percettori, la misura si configura come più strutturata e coordinata con la complessiva rete dei servizi sociosanitari. Il caregiver che percepisce l’assegno per conto dell’anziano non autosufficiente sottoscrive infatti un contratto con l’amministrazione pubblica, che, almeno nelle previsioni, dovrebbe incaricarsi di monitorare l’evolversi della situazione.
Per quanto riguarda la regione Veneto, da sottolineare sono le iniziative messe in atto nell’area anziana a sostegno delle persone malate di Alzheimer e delle loro famiglie21 che si affiancano ai contributi economici già in essere a favore delle persone non autosufficienti. Infine, di recente introduzione sono i contributi alle famiglie che impiegano regolarmente assistenti a pagamento.
L’offerta di servizi e prestazioni sociali: organizzazione, destinatari, risorse
Nonostante le numerose linee di tendenza comuni presenti nelle rispettive normative regionali, ad uno sguardo più ravvicinato le politiche per gli anziani e la loro implementazione appaiono assai differenti nei tre contesti regionali considerati. E’ sul piano regolamentare, dei contenuti di dettaglio della pianificazione e progettazione degli interventi riforma sanitaria, della definizione dei budget e dell’accesso ai servizi che le politiche regionali si differenziano notevolmente.
La rete dei servizi residenziali, semiresidenziali e domiciliari
La Regione Lombardia considera la RSA come risposta assistenziale per anziani totalmente o parzialmente non autosufficienti, oltre che agli anziani affetti da malattia di Alzheimer. Secondo un sistema che si è consolidato alla fine degli anni novanta, gli standard assistenziali previsti crescono in intensità dal primo tipo di utente all’ultimo. A partire dall’anno 2003 ha trovato prima applicazione una nuova disciplina complessiva in materia di RSA per quanto attiene sia la classificazione dei residenti in relazione ai loro bisogni assistenziali, sia la remunerazione delle strutture, secondo una tipologia maggiormente articolata22.
La Regione Emilia-Romagna prevede due tipi di strutture residenziali per anziani non autosufficienti: le case protette e le RSA. Mentre le prime sono destinate ad anziani parzialmente autosufficienti, le seconde rappresentano strutture a più elevata intensità sanitaria riservate ad anziani non autosufficienti affetti da patologie cronico degenerative23. In Veneto, infine, i posti letto in struttura residenziale sono classificati a seconda dell’intensità dell’assistenza sanitaria24.
Le previsioni di fabbisogno e le dotazioni nelle tre regioni sono differenziate. Il numero di posti letto in RSA accreditate in Lombardia ammontava a 41.121 nel 1999, pari al 2,7% della popolazione residente di 65 anni e più25. Nel 1998 i 12.27026 posti letto disponibili in RSA ed in casa protetta in Emilia-Romagna corrispondevano ad 1,4 posti letto per ogni 100 residenti con almeno 65 anni di età. Nella regione Veneto il fabbisogno di posti letto per anziani non autosufficienti in strutture residenziali è stimato nell’1% della popolazione con età compresa fra 65 e 74 anni oltre al 4% della popolazione con almeno 75 anni, ovvero circa il 2,3% della popolazione con almeno 65 anni. Il fabbisogno stimato per l’anno 2000 corrisponde a 20.085 posti letto contro un’offerta leggermente inferiore (19.814 posti). Il contenuto stesso dei servizi residenziali assume connotati differenti. Se facciamo riferimento agli standard gestionali previsti dalle normative regionali per l’autorizzazione al funzionamento, l’accreditamento ed il convenzionamento ad un estremo troviamo la regione Emilia-Romagna, i cui standard di personale sociosanitario sono decisamente più elevati (per quanto riguarda soprattutto le Rsa); all’estremo opposto la regione Veneto prevede requisiti per l’autorizzazione al funzionamento ed al convenzionamento molto ridotti in termini comparativi. In posizione intermedia si trova la Lombardia, pur con alcune differenziazioni interne connesse alla tipologia degli ospiti ed al loro fabbisogno assistenziale.
Per quanto riguarda i servizi semiresidenziali, i centri diurni rappresentano un’unità di offerta relativamente recente e poco sviluppata. Nel 1998 erano 1.100 utenti anziani dei centri diurni nella Regione Veneto. Nello stesso anno l’offerta in Emilia-Romagna era pari a 1.522 posti nei centri diurni accreditati per anziani (Regione Emilia-Romagna, 2001). In Lombardia, infine, i posti nei centri accreditati ammontano a 1459 nel 200427.
I requisiti per l’accreditamento o l’autorizzazione al funzionamento dei centri diurni integrati paiono relativamente più omogenei nelle tre regioni, ma meno dettagliati rispetto alle RSA. Infine, l’analisi comparata dell’offerta di assistenza domiciliare è resa particolarmente difficile dalla carenza di informazioni su questa specifica unità di offerta. I pochi dati disponibili al riguardo riferiscono che i servizi domiciliari in Italia, pur poco sviluppati nel complesso, sono relativamente più presenti nell’Italia centro settentrionale che al sud e nelle isole. Tuttavia la natura stessa del servizio – particolarmente flessibile o frammentato e gestito in maniera diversa nei contesti territoriali – rende i pochi dati disponibili di difficile lettura.
In Lombardia nel 1999 le persone anziane che ricevevano assistenza domiciliare integrata erano pari al 3,5% circa della popolazione con almeno 65 anni; nello stesso anno erano 27.020 gli anziani utenti del servizio di assistenza domiciliare comunale, pari all’1,8% degli anziani (Regione Lombardia, 2000)28. In Emilia-Romagna gli anziani utenti di assistenza domiciliare sia per prestazioni assistenziali che sociosanitarie integrate sfioravano nel 1998 le 11.000 unità, con un’incidenza percentuale sulla popolazione di 65 anni e più pari al 2,26% (Regione Emilia-Romagna, 2001). Nella regione Veneto, gli anziani assistiti a domicilio erano, invece, 14.709 nel 1995, ovvero l’1,94% della popolazione anziana residente (Presidenza del Consiglio dei Ministri, 1998)29.
Tuttavia poiché variabili sono le modalità organizzative, le intensità assistenziali ed i rapporti con gli altri servizi, il significato assunto dai dati nelle tre regioni è probabilmente assai diverso30.
Gli assegni di cura
In Lombardia il “buono sociosanitario” a favore degli anziani non autosufficienti è una misura introdotta sperimentalmente nel 200131 e sospesa l’anno successivo, destinata a persone di almeno 75 anni di età, con una valutazione positiva per l’accesso all’indennità di accompagnamento32 ed un reddito personale e familiare inferiore a determinate soglie. Fin da principio si è previsto che nel caso le presentate domande fossero in eccesso rispetto alla complessiva disponibilità di risorse, i beneficiari sarebbero stati selezionati in relazione alla loro età. Il valore del buono, uguale per tutti i beneficiari, era stabilito in 800 mila lire mensili (circa 400 euro). I destinatari del buono potevano utilizzarlo a scelta o come “assegno di cura” o come “voucher”.
Nel primo caso il buono, sottoforma di erogazione monetaria, poteva essere utilizzato con assoluta discrezionalità da parte dei beneficiari per compensare i propri familiari caregiver o per acquistare assistenza privata. Nel secondo caso era possibile acquistare prestazioni sociosanitarie presso erogatori accreditati.
La fornitura del buono sociosanitario era incompatibile con il ricovero in RSA, ma non con l’erogazione di servizi domiciliari e semiresidenziali, sociali o sanitari. Nel primo anno di sperimentazione i destinatari (circa 7.000, per una spesa pari a 25 milioni di euro) erano anziani di età uguale o superiore agli 87 anni; il 90% di questi ha optato per l’utilizzo del buono come “assegno” di cura. Con la fine della sperimentazione la Regione ha, da un lato, avviato la sperimentazione di voucher sociosanitari nell’ambito dei servizi domiciliari integrati (ADI) e dall’altro ha indicato ai Comuni di impiegare una quota delle risorse del fondo nazionale per le politiche sociali,33 all’introduzione di assegni di cura e voucher.
Nella regione Emilia-Romagna gli assegni di cura sono stati introdotti nel 199434 come forma di sostegno economico per le famiglie che prendono in carico un anziano a domicilio. Anche in questo caso si tratta di un’alternativa all’inserimento in una struttura residenziale.
Accanto alla valutazione della condizione di bisogno socioassistenziale, effettuata dall’unità di valutazione territoriale, la situazione economica della famiglia rappresenta un requisito per l’assegno: anche in questo caso il reddito non può superare determinate soglie. Nel 1997 gli anziani che hanno usufruito degli assegni di cura sono stati 6.949, e nel 1998 sono stati 6.832 (pari all’1,72% degli over 75). Al 31 dicembre 2001 i contratti attivi erano 6.568. La spesa sostenuta per la misura è stata pari a circa 16,5 milioni di euro, quasi interamente finanziati con risorse del fondo sanitario regionale (Regione Emilia-Romagna 2001). Le risorse destinate a questa misura, ed il numero dei beneficiari, sono cresciuti considerevolmente nel tempo; per l’anno 2004 si prevede una spesa complessiva pari a 21,5 milioni di euro, ripartiti tra circa 15 mila beneficiari.
Nella regione Veneto le “Provvidenze a favore delle persone non autosufficienti assistite e domicilio” sono state introdotte sperimentalmente nel 199235 e portate a regime nel 199536. I richiedenti devono possedere una condizione economica inferiore a determinate soglie e requisiti connessi al bisogno psicofisico. La misura del contributo è commisurata al grado di perdita di autonomia fisica o psichica, al livello degli interventi assicurati al soggetto dal servizio sociosanitario integrato, alle prestazioni fornite dai familiari o dalle reti di solidarietà, all’accertamento delle condizioni socioeconomiche del soggetto e del nucleo familiare di stabile convivenza. L’entità del contributo non può comunque superare l’importo dell’indennità di accompagnamento. Ogni anno viene formata una graduatoria degli aventi diritto ed una lista di attesa: a seconda del numero degli aventi diritto e dei fondi a disposizione, viene stabilito un tetto di domande cui dare risposta e la percentuale di abbattimento dei benefici da applicare per soddisfare quel tetto. I beneficiari del contributo possono scegliere liberamente come utilizzarlo. Approssimativamente la spesa per il finanziamento della misura nell’anno 2000 è stata pari a circa 13 milioni di euro: anche in questo caso, come avvenuto nella regione Emilia-Romagna si riscontra una crescita notevole delle risorse destinate all’assegno di cura, che raggiungono i 20 milioni di euro nell’anno 2004.
Più recente è l’introduzione da parte della regione Veneto di una specifica misura a sostegno delle famiglie che assistono a domicilio malati di Alzheimer, la cui sperimentazione è stata avviata nel 200137. I destinatari sono persone affette da demenza con gravi disturbi comportamentali. Oltre alla valutazione della patologia e delle condizioni psicofisiche, è previsto sia l’accertamento delle condizioni complessive della famiglia in ordine alla possibilità di garantire i livelli assistenziali necessari, sia delle condizioni economiche. Diversamente da quanto previsto per i contributi economici a favore delle persone non autosufficienti – che non sono cumulabili questa forma di sostegno – si considera in questo caso il solo reddito individuale della persona affetta da Alzheimer. A parità di condizione economica è discriminante la gravità della malattia ed a parità di gravità sono favorite le persone più giovani. Il contributo economico è pari a 516 euro mensili. Anche in questo caso l’accertamento delle condizioni sociali e sanitarie è effettuato dalle apposite unità di valutazione territoriali. Il finanziamento della misura, stabilita per l’anno 2001 in 5 milioni di euro, è cresciuto fino a 10 milioni di euro nell’anno 2004.
Infine, la regione Veneto ha introdotto nell’anno 2002 contributi economici a favore delle famiglie che assistono a domicilio persone non autosufficienti con l’aiuto di assistenza privata38. Questa forma di intervento rappresenta una risposta al crescente ricorso delle famiglie a personale a pagamento, ed alla necessità di sostenere il ricorso ad impiego regolare in questo settore. Requisiti per l’accesso al beneficio sono la condizione di non autosufficienza della persona assistita a domicilio, la regolare assunzione di un assistente familiare, la condizione economica della famiglia rilevata in base all’indicatore della situazione economica. Il contributo è cumulabile con altre provvidenze economiche a favore di persone non autosufficienti assistite a domicilio. L’entità del contributo è al massimo di 250 euro mensili per l’anno 2004 ed è commisurata ai livelli contrattuali di impegno delle assistenti familiari, all’indicatore della situazione economica equivalente rilevata dalla dichiarazione sostitutiva unica, nonché alle risorse regionali disponibili. Sulla base di quanto sperimentato nel 2003, è prevista per l’anno 2004 una spesa complessiva di 6,5 milioni di euro.
Una sintesi comparativa
Dall’analisi svolta, emergono rilevanti analogie nello sviluppo normativo nelle tre regioni prese in considerazione, soprattutto per quanto riguarda i principi ispiratori delle decisioni regionali. Nelle diverse fasi storiche si sono susseguiti principi generali cui le politiche di intervento a favore degli anziani si sono ispirate e cui è stata attribuita particolare enfasi nella produzione normativa. Ciò che accomuna negli anni 1970 la legislazione delle tre regioni, in materia di interventi a favore degli anziani, è l’attenzione posta allo sviluppo di servizi alternativi al ricovero e di accesso agevolato all’edilizia pubblica. Le norme differiscono parzialmente quanto al rapporto tra servizi residenziali e servizi territoriali e domiciliari: mentre la Lombardia esprime una chiara tendenza a privilegiare i servizi territoriali, nel Veneto all’opzione ideale a favore dei servizi territoriali fa riscontro l’obiettivo di sviluppo parallelo di interventi residenziali; in posizione intermedia si colloca, infine, l’Emilia-Romagna.
Ciascuna delle tre regioni adotta un provvedimento di riordino socioassistenziale negli anni 1980. La regione Lombardia si distingue per il carattere innovativo della norma rispetto al panorama precedente. Infatti, tutte le leggi settoriali, ivi compresa quella relativa agli anziani vengono abrogate, per procedere alla ridefinizione del sistema dei servizi attraverso un modello organizzativo unico ed obiettivi specifici di tutela per particolari gruppi di persone. Al contrario, in Veneto ed in Emilia-Romagna i contenuti delle leggi di settore degli anziani vengono o recepite nella nuova norma o restano in vigore, pur in quadro organizzativo modificato.
Inoltre la regione Lombardia è la sola a definire, fin dagli anni ’80, accanto ad una tipologia di servizi nell’area anziani, obiettivi da raggiungere sulla base di alcuni indici di fabbisogno. Nelle tre regioni si riscontra, peraltro una tendenza ad una maggiore definizione e specificazione dei contenuti degli interventi residenziali rispetto a quelli domiciliari e territoriali, nonostante l’enfasi sia sempre posta sulla necessità di sviluppare adeguati servizi domiciliari ed aperti. E’ nel decennio successivo che le unità di offerta dei servizi per anziani si sviluppano pienamente nelle tre regioni, sulla base di quanto stabilito dalla precedente programmazione ed in relazione alla riorganizzazione dei servizi sociosanitari più in generale. L’idea della “rete” dei servizi è presente in ciascun caso regionale considerato e messa al centro dei documenti normativi e di programmazione. Più recentemente sono stati introdotti o estesi nuovi tipi di prestazioni – assegni di cura e voucher – che tendono ad occupare una posizione centrale nella politica di tutte e tre le regioni considerate.
L’assenza di una legge quadro nazionale sembra non aver impedito lo sviluppo di approcci comuni nelle tre regioni esaminate, e la crescita di analoghe unità di offerta. Ciononostante, appare evidente una differenziazione significativa nella implementazione delle politiche dal punto di vista organizzativo, delle risorse disponibili, della effettiva destinazione di tali risorse. In effetti, ciò che distingue le normative regionali non sono tanto gli obiettivi generali perseguiti quanto i traguardi raggiunti attraverso forme di regolazione istituzionali ed una strumentazione normativa, organizzativa ed economico-finanziaria differenziate.
Per quanto riguarda i servizi residenziali, che rappresentano una delle più importanti unità di offerta, vi sono differenze considerevoli, pur restando i tassi di istituzionalizzazione piuttosto bassi nelle tre regioni.
L’Emilia-Romagna ha optato per uno sviluppo contenuto di RSA ad alta intensità sanitaria e lo sviluppo relativamente più ampio – ma pur sempre limitato al confronto con la Lombardia – di case protette, a media intensità sanitaria e paragonabili alle RSA lombarde. La Lombardia ha invece centrato lo sviluppo della rete delle strutture residenziali sulla diffusa presenza di RSA a intensità sanitaria intermedia e presenta i tassi di istituzionalizzazione più alti tra le tre regioni. Infine, il Veneto si caratterizza per una diffusione di strutture residenziali analoga a quella emiliana, ma con un grado di intensità sanitaria sensibilmente più basso.
Il confronto relativo ai servizi semiresidenziali e domiciliari appare assai difficile, a causa del limitato sviluppo di queste unità di offerta – in particolare per quanto riguarda i centri diurni – e della difficoltà di interpretazione di dati disomogenei, soprattutto relativamente ai servizi domiciliari.
Nell’area delle “nuove” prestazioni, le tre regioni hanno messo in atto, sperimentalmente o a regime, assegni di cura che rispecchiano le generali caratteristiche di tali forme di intervento in Italia. Si tratta, infatti, di interventi volti ad incentivare la cura informale e la permanenza a domicilio delle persone anziane non autosufficienti, particolarmente rivolte a coloro che si trovano in condizioni economiche svantaggiate. Ciononostante le misure adottate nei tre contesti differiscono notevolmente quanto a importanza del sostegno fornito e soprattutto relativamente alla selezione dei beneficiari. Nel caso del Veneto, a differenza delle altre due regioni, non siamo in presenza di interventi rivolti esclusivamente agli anziani, ma a coloro che necessitano di supporto socioassistenziale o sociosanitario, a prescindere dall’età. Le condizioni per l’accesso alle misure sono molto più restrittive nella sperimentazione lombarda ed in Veneto rispetto all’Emilia-Romagna, dove i limiti di reddito sono più elevati39: l’entità dell’erogazione a favore del singolo utente è decisamente più generosa nell’ambito della sperimentazione lombarda, dove tuttavia i criteri di selezione sono più restrittivi e dove la platea dei beneficiari è più ristretta.
Infine nel caso del Veneto, si è in presenza di una nuova misura specifica volta ad incentivare il mercato regolare della cura, assente al livello regionale negli altri due contesti40. Ciò che distingue nettamente la sperimentazione lombarda del buono sociosanitario dalle esperienze sia veneta, sia emiliano-romagnola è il grado di inserimento di un metro di misura nella rete nel sistema dei servizi territoriali. Sia in Veneto che in Emilia-Romagna, pur con modalità differenti, l’assegno di cura è una misura integrata nel sistema dei servizi. Sotto il profilo della valutazione dei bisogni, l’acceso al beneficio è regolato dai medesimi soggetti istituzionali che valutano l’accesso ai servizi sociosanitari più in generale, che predispongono un piano di intervento di cui l’erogazione monetaria fa parte. Anche se nel Veneto ed in Emilia-Romagna i contributi erogati possano essere spesi liberamente dai percettori, il caregiver e l’anziano, avviano con l’accesso all’assegno un rapporto con il sistema dei servizi che, almeno formalmente, è responsabile di monitorare l’evolversi della situazione. Tale differenza rispecchia una divergenza fondamentale nelle politiche regionali di accesso ai servizi che vede Lombardia da un lato e Veneto ed Emilia-Romagna dall’altro. Mentre in queste ultime due regioni sono previste, per l’accesso alla rete dei servizi, procedure di valutazione dei bisogni e di definizione dei piani di intervento UVG, ciò non avviene in Lombardia, dove l’accesso alle strutture residenziali è lasciato alla discrezionalità delle singole Rsa, mentre per quanto riguarda l’accesso agli altri servizi, le situazione varia considerevolmente da un’area territoriale all’altra.
Le scelte di politica sociale a favore degli anziani si sono, pertanto, compiute non soltanto attraverso gli strumenti formali rappresentati dalle norme regionali in materia, ma anche per mezzo di strumenti di rego- lazione del settore socioassistenziale e sanitario in senso lato. La programmazione di breve e di medio periodo, le differenze organizzative e di risorse pubbliche messe a disposizione, la definizione di criteri differenziati per l’accesso alle prestazioni ed ai servizi sociali rappresentano gli elementi per la costruzione di diverse modalità di supporto per le persone anziane ed i loro familiari nei tre contesti analizzati.
Note
- Legge 328/2000.
- Legge 1044/1971.
- Legge 405/1975.
- Legge 685/1975.
- Delibera del Consiglio regionale della Lombardia II/1976 anno 1979.
- Legge n. 30/1979 artt. 1 e 2.
- LR Veneto, 72/1975, artt. 1 e 2.
- Legge 833/1978.
- DPR 616/1977.
- Delibera del Consiglio Regionale n. 5601/1991.
- La Legge 67/1988 fissa l’obiettivo della realizzazione di 140.000 posti letto in strutture per anziani non autosufficienti e non assistibili a domicilio. Il DPCM 22 dicembre 1989 e le successive linee guida del Ministero della Sanità n.1/1994 determinano gli standard strutturali relativi alle Residenze sanitario assistenziali(RSA).
- Si tratta dell’Unità di Valutazione Geriatrica (UVG), successivamente introdotte da dodici regioni (Dipartimento affari sociali, 1998)
- Legge regionale Emilia Romagna 5/1994.
- Legge regionale 6 settembre 1991 n.28, seguita dal Regolamento regionale 6 settembre 1991 n.9.
- Decreto Legislativo n. 502/92 e n.517/93.
- DGR n. 5273/98.
- Un assegno di cura è un contributo in denaro erogato a persone con un determinato bisogno assistenziale (considerato meritevole di tutela pubblica) o ai loro familiari. . L’assegno una volta percepito può essere utilizzato discrezionalmente per acquistare prestazioni sul mercato affidando l’assistenza a personale retribuito o per compensare i familiari per l’attività di cura svolta. La legge di riforma dell’assistenza li considera una forma di sostegno delle responsabilità familiari (art.16 Legge 328/2000).
- I voucher (o “buoni-servizio”) rappresentano per gli enti pubblici un’alternativa alla erogazione diretta di servizi di cura. I Comuni, le Regioni e le Aziende sanitarie, anziché fornire direttamente servizi quali l’assistenza domiciliare per anziani o i centri diurni per disabili, possono emettere a favore di persone che hanno un riconosciuto bisogno di cura (o loro familiari) dei buoni per l’acquisto di servizi, spendibili presso erogatori pubblici e privati accreditati. I voucher sono definiti dalla legge di riforma dell’assistenza “titoli per l’acquisto di servizi sociali” (art.17 L.328/2000).
- LR 23/99 “Legge regionale per la famiglia”.
- Sono previsti 3 livelli assistenziali in corrispondenza dei quali viene erogato un assegno mensile di entità diversa.
- Art. 40 (“Intervento sperimentale di assistenza domiciliare a favore delle persone con morbo di Alzheimer grave”) della Legge regionale n° 5 del 9 febbraio 2001 e Delibera di Giunta Regionale 1513 dell’8 giugno 2001.
- Sulla base di SOSIA (Schede di Osservazione Intermedia di Assistenza) che prevedono 8 tipi di ospite con relativo riconoscimento del contributo sanitario per giorno di degenza.
- In effetti la tendenza in atto è di dare vita a strutture uniche con livelli di assistenza interni differenziati (Regione Emilia-Romagna, 2001).
- In nuclei di RSA (assistenza sanitaria di intensità media), nuclei di RSAir (RSA ad intensità ridotta, con assistenza sanitaria ridotta) e nuclei Rass (Residenze assistite, con intensità assistenziale minima).
- La programmazione regionale realizzata con il POA regionale ha fissato in 3,5 posti letto per ogni anziano con almeno 65 anni il fabbisogno di posti letto nella regione mentre il nuovo piano sociosanitario cambia l’indice di fabbisogno fissandolo ad almeno 7 posti letto per ogni anziano con almeno 75 anni e più.
- Di cui 1.415 in RSA e 10.855 in casa protetta.
- DRG 14367/2004.
- In effetti non è possibile stabilire se gli utenti di un servizio siano considerati contemporaneamente anche utenti dell’altro o se si tratta di valori sommabili (Regione Lombardia, 2000).
- Il dato sugli utenti del servizio di assistenza domiciliare sale a 24.389 nel 1999 per le sole prestazioni sociali (oltre a 55.000 utenti dell’ADI nello stesso anno) (Regione Veneto, 2001). Non è tuttavia indicata l’utenza anziana, né la sovrapposizione possibile tra utenti SAD ed utenti ADI.
- Le stesse Regioni invitano ad una certa cautela nella valutazione dei dati a causa delle diverse modalità classificatorie su base territoriale (cfr. ad esempio: Regione Veneto, 2001).
- Delibera della Giunta regionale della Lombardia n.2857 del 22 dicembre 2000.
- L’indennità di accompagnamento è una misura nazionale di sostegno economico non sottoposta alla prova dei mezzi e la cui erogazione presuppone che i beneficiari siano stati dichiarati ciechi assoluti o inabili totali che si trovino nelle condizioni di non poter deambulare autonomamente o, non essendo in grado di compiere in autonomi agli atti fondamentali della vita quotidiana, abbiano bisogno di assistenza continua (legge 508/88).
- Tendenzialmente pari al 70% nel triennio.
- Dalla legge regionale n. 5/94.
- Legge regionale Veneto 28/1991.
- I beneficiari della misura non sono soltanto gli anziani, ma anche adulti e minori purché residenti in Veneto, privi di autonomia fisica o psichica che, pur non necessitando di ricovero continuativo in strutture ospedaliere, necessitano di particolari interventi assistenziali e di rilevo sanitario al proprio domicilio.
- “Intervento sperimentale di assistenza domiciliare a favore delle persone con morbo di Alzheimer grave”, art.40, Legge regionale Veneto 5/2001.
- DGR 3630/2002 – Interventi a favore delle famiglie che assistono in casa persone non autosufficienti con l’aiuto di assistenti familiari.
- Per un’analisi più dettagliata vedi: Da Roit (2003).
- Sono presenti, invece, sia in Lombardia che in Emilia-Romagna esperienze locali in tal senso.
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