Sembra siano trascorsi inutilmente questi ultimi vent’anni, in cui tutti avevano chiara evidenza della situazione sociale dei grandi anziani e dei loro caregivers durante la quale i dati demografici e statistici si scontravano con la realtà dei diversi servizi sociali e sociosanitari delle regioni italiane, inadeguati a far fronte ai bisogni di cura dei non autosufficienti. Nonostante ciò, nessun approccio preventivo è stato attuato1.
La famiglia, sola nell’affrontare la non autosufficienza
Oggi si intende dare senso concreto ai servizi domiciliari per anziani fragili utilizzando il PNRR, sull’onda degli effetti devastanti che la pandemia ha determinato nel sistema dei servizi residenziali. In questi ultimi periodi si sono alzate molte voci dirette a demonizzare le strutture residenziali per le quali sicuramente è necessario promuovere un concreto miglioramento delle logiche gestionali. Ma va evidenziato anche che negli ultimi anni queste strutture hanno fatto comunque notevoli progressi in termini di competenza, professionalità e rispetto delle persone.
Forse sarebbe opportuno alzare il velo su cosa sia oggi il servizio domiciliare. Parliamo di quello pubblico, sia esso ADI o SAD, con poche decine di ore di servizio reale all’anno, che raggiunge percentuali irrisorie del bisogno rispetto a quello reale? Oppure parliamo delle badanti, vero asse portante del sistema domiciliare italiano. Un milione di persone, in larga parte straniere e non contrattualizzate, con competenze basate esclusivamente sull’esperienza personale, che nessuno forma, istruisce, coordina e verifica, lasciando l’incombenza sulle spalle delle famiglie. Possiamo parlare di un welfare domiciliare di carattere familiare. Mi sembra che il sistema italiano, ovvero le decine di sistemi italiani regionali, abbiano largamente speculato su tale situazione, nella logica della cosiddetta razionalizzazione che si può tradurre in risparmio sulla pelle e sulle tasche delle famiglie. Un esempio, quanti euro hanno risparmiato e stanno risparmiando le regioni oggi grazie alle migliaia di posti letto vuoti nelle RSA a causa del Covid? Come vengono utilizzati quei soldi?
Oggi la non autosufficienza è un problema enorme che condiziona pesantemente la vita delle persone a vario titolo coinvolte. Ne condiziona la vita, la libertà e la parte economica. Assistere un grande anziano non autosufficiente o fragile costa dai 2.000 ai 3.000 euro mediamente, in base ai profili di bisogno, alle diverse soluzioni possibili ed al territorio di riferimento. Il significato reale di quanto indicato è che oggi una famiglia normale dal punto di vista reddituale, fa molta, molta fatica a gestire la non autosufficienza, per non parlare di cosa significa dal punto di vista umano.
Stiamo assistendo all’annullamento dell’universalismo, siamo entrati nell’era del totale liberismo, chi ha riceve servizi, chi non ha, si deve arrangiare in qualche altro modo. Questo liberismo sociale viene ormai dato per scontato, nessuno si prende cura reale dei poveri, di chi vive sotto la soglia di povertà e ricordiamo che un italiano su sei vive questa realtà. Tutto ciò accade nonostante esistano formalmente i livelli essenziali di assistenza e delle prestazioni sociali2. Il nostro Stato appare sclerotizzato sulle tematiche del contenimento dei costi; esistono per fortuna alcune situazioni positive, alcune persone che provano a ragionare, ma fanno fatica a trovare interlocutori, condivisione e sostegni adeguati.
Chi si sta preoccupando degli anziani non autosufficienti?
Cosa sta accadendo a livello governativo? L’impressione che se ne trae in ambito operativo locale è che il dibattito sia limitato, racchiuso a forme rappresentative settoriali. Il progetto del Patto per la non autosufficienza appare l’unica interlocuzione credibile attualmente. A livello locale3tale dibattito semplicemente non esiste. Vi è un dirigismo verticistico che discende dalla regione ed applicato dalle diverse aziende sanitarie ed in parte dai comuni, senza alcuna interlocuzione aperta con chi poi è chiamato a dare riscontro ai bisogni, siano essi soggetti pubblici o privati. Il concetto di formazione partecipata appare una chimera, la critica costruttiva, la proposizione ragionata una offesa al manovratore di turno. L’ossequienza dirigenziale legata allo spoils system si accompagna ad un progressivo inaridimento delle competenze e della professionalità.
Le riforme devono essere fatte con serietà e competenza
Il PNRR intende promuovere uno sviluppo dei servizi domiciliari, unitamente alla creazione di strutture intermedie gestite dalle aziende sanitarie. Sono già molti mesi che stiamo sentendo di una riforma nazionale del sistema di supporto alla non autosufficienza. Oggi stiamo attendendo di verificare cosa realmente accadrà. Rilevo alcune contraddizioni: dove sono e quando ci saranno medici ed infermieri capaci di gestire la riforma dei servizi alla non autosufficienza? Perché non si interviene immediatamente nel sistema formativo? Non si intravvedono significative modifiche ed aperture nei numeri e nei percorsi universitari che in almeno altri tre anni dovrebbero rendere disponibili quei professionisti che vengono indicati come forza trainante dei processi di riforma. Inoltre, perché dover edificare o ristrutturare con i tempi che sappiamo essere reali ulteriori strutture, abbiamo centinaia di sedi di carattere sanitario ed assistenziale, abbiamo i distretti sanitari, i servizi sociali dei comuni, le Asp, le Ipab, le diverse forme private di strutture convenzionate esistenti?
La domanda sorge spontanea: le persone che oggi e domani hanno e avranno bisogno di cure e assistenza dovranno aspettare anni per riceverle? Dovranno continuare ad attendere, a spendere le risorse risparmiate in un’intera vita per una vecchiaia decente? Si fa poi un gran parlare della coprogettazione, senza peraltro sia ben chiara la logica applicativa, sarebbe forse più semplice etichettare il tutto con la progressiva ed inesorabile privatizzazione del sistema sociale di supporto pubblico alla non autosufficienza? Tutto questo nonostante le valanghe di risorse impiegate male in questi ultimi decenni, le alternanze nelle proposte a seconda del tipo di giunta regionale o comunale, la mancanza assoluta di ogni percorso di valutazione di esito rispetto ai servizi erogati.
Oggi vedo4un dirigismo ed un’ossequienza troppo esagerata verso il decisore politico ovvero verso le grandi centrali cooperativistiche ovvero i grandi gruppi privati che hanno invaso alcune aree del paese con esiti positivi per i loro bilanci, ma non sempre per le persone che ricevono servizi, ma anche per coloro che vi lavorano, mediamente sottopagati e con competenze formative limitate. Non si intravvede una gran tensione riformatrice in quest’Italia dove si fatica ad innovare, a far tesoro delle esperienze desunte dalla realtà di ogni giorno. Basta attendere! E’ necessario agire sfruttando le risorse esistenti, quelle reali, concrete che esistono, che non vengono ascoltate o utilizzate. Tempus fugit! Ecco perché è importante ragionare su cosa sia possibile e ragionevole fare a breve ed a medio termine.
Servizi attuabili e sostenibili per gli anziani non autosufficienti: fare tesoro delle esperienze
I diversi territori, pur con modalità diversificate, presentano molte competenze sociali e sociosanitarie e hanno maturato reale esperienza e capacità di lavorare nei servizi di assistenza alle persone fragili. Esperienze e progettazioni anche diverse, accomunate dalla realtà operativa che affrontano. Lo sviluppo di servizi domiciliari adeguati deve partire da organizzazione, formazione, coordinamento, supporto, verifica e continuo adeguamento. La presa in carico della persona è un processo preciso da gestire attraverso forme di condivisione professionale.
Superando l’ormai assurda contrapposizione fra servizi domiciliari e residenziali, bisogna mettere a frutto le competenze ed integrare la presa in carico della fragilità, indipendentemente dal grado di autosufficienza, ma in base al reale profilo di bisogno, in sinergia completa con la famiglia, all’interno di centri servizi per la fragilità, progettati per i bisogni dell’età anziana. Tali centri esistono già, nella gran parte dei territori e sono conosciuti dai cittadini, magari in modo inappropriato: sono le RSA. Probabilmente non tutte le RSA sono pronte per queste nuove sfide, ma la realtà odierna mette in evidenza esperienze mature quali, ad esempio, l’Isrra di Treviso o all’Itis di Trieste nelle quali l’apertura al territorio ha permesso di offrire ai cittadini ogni tipo di servizio utile ad affrontare la fragilità.
Servizi domiciliari personalizzati, abitare possibile, centri diurni di diversa natura, servizi sociosanitari, riabilitativi, poliambulatori dedicati all’età anziana sino alle residenze diversificate per profilo di bisogno. Realtà organizzative dove le persone anziane e le famiglie possono essere accolte in maniera appropriata e non burocratica, con utilizzo sapiente della tecnologica, dove possano coesistere occasioni di incontro, di relazione, opportunità esperienziali legate alla cultura e all’arte.
Di cosa ha bisogno una famiglia che si ritrova a dover far fronte ai bisogni di cura e assistenza di un membro anziano non autosufficiente? Di servizi diversificati e accessibili, di spazi e competenze adeguate dove poter individuare e scegliere la migliore soluzione di vita per il proprio caro, dal permanere al proprio domicilio sino soluzioni residenziali è fondamentale. La famiglia ha bisogno della garanzia di poter contare sempre su un supporto professionale per affrontare ogni tipo di scelta necessaria. Il compito delle istituzioni oggi è sostenere un reale processo di trasformazione dei sistemi di cura per gli anziani non autosufficienti, attraverso un’unificazione dei percorsi operativi ed amministrativi e una adeguata applicazione della ripartizione dei costi tra famiglia e sistema sanitario, per garantire sostenibilità ed efficacia.
E le badanti?
L’assistenza domiciliare in Italia oggi si regge sulle badanti. Il prezioso e insostituibile apporto che tali figure garantiscono per gli anziani, potrebbe essere meglio qualificato e valorizzato all’interno di un percorso riformatore dei Centri di servizi per anziani. Lo sviluppo di percorsi di formazione mirati volti a creare, progressivamente e continuamente, gruppi di assistenti domiciliari in grado di garantire servizi domiciliari adeguati, flessibili, in sinergia con la famiglia. Si passerebbe dalla realtà odierna a forme corrette di lavoro sociale, contrattualizzato, garantito, con esiti sicuramente migliori per tutti i soggetti interessati, a partire da chi riceve il servizio. Lo sviluppo di questi percorsi potrebbe, ad esempio, trovare importanti sinergie con l’ambito cooperativistico che avrebbe la possibilità di applicare una positiva forma di coprogettazione ad esempio con i centri di servizi pubblici, siano essi comunali o Asp o Ipab. Le esperienze esistenti confermano la positività di questi modelli innovativi.
Riflessioni conclusive
Da ormai diversi anni gli interventi di sostegno alla non autosufficienza vedono una centratura sanitaria. La gran parte delle forme di supporto attuale da parte dei Distretti e delle figure infermieristiche è di natura prestazionale, a fronte di un bisogno solo parzialmente sanitario e soprattutto assistenziale, sociale, relazionale e di carattere continuativo. La vita della persona fragile riguarda le ventiquattro ore. Certamente gli interventi sanitari sono fondamentali e imprescindibili ma l’onere della gestione quotidiana dell’anziano ricade soprattutto in ambito socioassistenziale.
La vera battaglia è di carattere etico, indipendentemente dalle opzioni di vita. Il concetto di anziano come peso, come problema, come bisogno sanitario, ha determinato sino ad oggi la ricerca di soluzioni “di tampone”. La questione fondamentale è invece definire, da parte di équipe multidisciplinari competenti, progetti di vita che consentano di dare senso alla parte finale dell’esistenza, con piena consapevolezza dei bisogni sanitari, sociali, assistenziali e di relazione, costruendo possibili azioni di supporto.
Lo Stato, le Regioni, il decisore politico eletto dal popolo vuole realmente intervenire per dare attuazione ai principi costituzionali ovvero vogliamo mantenere il mercato esistente? Esiste ancora il servizio pubblico in ambito assistenziale?
Note
- Mi viene tristemente in mente un paragone con l’attuale situazione ucraina, tutti sapevano l’esito, ma nessuno è voluto intervenire preventivamente.
- Mi viene in mente il fatto che nel corso di incontri o convegni provavo a citarli quale punto di partenza dei ragionamenti, venivo spesso criticato da quei dirigenti regionali, sanitari e comunali che ormai vivono nella dipendenza dal volere di assessori e direttori che hanno quale unico obiettivo il contenimento dei costi a loro dire non necessari.
- parlo della realtà che conosco
- Questa la realtà che appare a chi ha lavorato da oltre trent’anni nel settore. Non vorrei dare l’impressione di essere negativista, alla luce del fatto di aver sempre promosso ogni forma possibile di innovazione e di miglioramento basati sull’evidenza della realtà , sul rispetto assoluto delle persone e delle regole in sinergia con il territorio di riferimento.