4 Ottobre 2022 | Programmazione e governance

La programmazione integrata nella riforma della non autosufficienza

Con riferimento ai risultati della ricerca AUSER (2021) “Anziani non autosufficienti e integrazione sociosanitaria territoriale nei Piani regionali”, Claudio Falasca si interroga sul perché la programmazione nell’assistenza sociosanitaria agli anziani non autosufficienti non ha portato a risultati soddisfacenti, al fine di capire se le proposte di riforma in discussione siano in grado di porvi rimedio.

La programmazione integrata nella riforma della non autosufficienza

Nelle proposte di riforma delle politiche per la non autosufficienza viene posta una significativa attenzione alla programmazione integrata nazionale, regionale e territoriale. Tale interesse è del tutto comprensibile in quanto è dall’attività di programmazione che in larga misura dipende il raggiungimento dell’obiettivo dell’integrazione sociosanitaria. Parlando di integrazione sociosanitaria si rinvia a un insieme di indicazioni finalizzate a promuovere la sinergia tra servizi sanitari e servizi sociali, al fine di rispondere adeguatamente ai bisogni della popolazione. Suddetta integrazione, coinvolgendo due aree diverse del welfare, rende complessa una collaborazione effettiva, sebbene sia prevista da tempo nell’assetto normativo vigente. Dunque, interrogarsi sul perché la programmazione vigente non abbia prodotto i risultati attesi si pone come un quesito ineludibile al fine di capire le riforme da realizzare per una moderna politica per la non autosufficienza. Può essere proficuo, per tale intento, partire dalla ricerca Auser sui Piani regionali.

 

Le politiche per la non autosufficienza e il venir meno di riferimenti programmatici chiari

Secondo la ricerca AUSER, una delle cause per cui le politiche per la non autosufficienza non riescono a realizzarsi è da attribuire al disarticolato sistema programmatico che vede soggetti diversi nei vari ambiti – sanitario e sociale – e ai vari livelli – nazionale, regionale e territoriale – incapaci di integrarsi. Per quanto riguarda l’ambito sanitario, il metodo della programmazione pluriennale costituiva un principio fondamentale della materia “tutela della salute” ed uno degli elementi qualificanti del SSN. Nella Legge istitutiva (Legge 833/78) si individuava nel Piano Sanitario Nazionale il principale strumento di pianificazione (art. 53), questo prevedeva un sistema chiaro e stringente di programmazione pluriennale nazionale e regionale (sensibilmente mutato negli ultimi anni).

 

Il Piano Sanitario Nazionale, in pratica, è stato sostituito progressivamente dai “Patti per la salute”. L’ultimo Piano nazionale, in teoria ancora in vigore, resta quello approvato con il DPR 7 aprile 2006 e la programmazione sanitaria nazionale si è fermata a tale data. Allo stesso modo, la Relazione sullo stato sanitario del Paese è venuta meno con la soppressione del Consiglio sanitario nazionale e il passaggio delle sue competenze alla Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome. Competenza successivamente trasferita al Ministero della salute ma mai esercitata, tant’è che l’ultima Relazione, come si evidenzia dal sito del Ministero della salute, rimane quella del 2012-2013. In questo contesto le Regioni sono chiamate a produrre i loro piani sanitari e, allo stesso tempo, a recepire i piani settoriali e produrre piani regionali sulle stesse materie. Le regioni si trovano dunque private di un quadro di riferimento generale per la loro programmazione sanitaria; ne consegue una difformità notevole nell’impianto dei singoli piani e, soprattutto, modalità profondamente diverse nella trattazione degli argomenti presi in considerazione, spesso non derivanti dalla specificità territoriale, ma dall’assenza di una cornice unitaria di riferimento.

 

Per quanto riguarda l’ambito sociale, è attualmente in vigore il Piano sociale nazionale 2018-20 in attuazione dell’art. 21 del D.L n 147 del 2017 che, nel riformare la governance del Fondo nazionale per le politiche sociali (FNPS), ha previsto che l’utilizzo delle sue risorse sia oggetto di programmazione per mezzo di un Piano, della cui elaborazione è responsabile la Rete della protezione e dell’inclusione sociale. In realtà, non è la prima volta che si prevede un Piano nazionale per il governo delle risorse del FNPS. Il Fondo, infatti, seppur istituito nel 1998, trova una sua piena definizione nell’ambito della legge quadro 328 del 2000, nella quale viene stabilita una stretta connessione tra gli strumenti finanziari, il Fondo e il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali – uno specifico strumento di programmazione (art 18). Insieme, Fondo e Piano rappresentavano nel disegno del legislatore, strumenti fondamentali di attuazione delle politiche sociali nazionali. Questo disegno però non si è realizzato per almeno due motivi: dal punto di vista delle risorse sin dall’inizio non ha assunto caratteri strutturali, rendendo impossibile il finanziamento di diritti soggettivi. La seconda motivazione ha a che fare con il riparto di competenze tra i diversi livelli di Governo di cui alla riforma del Titolo V della Costituzione. In particolare, a seguito di tale riforma, la materia delle politiche sociali è diventata competenza esclusiva delle Regioni, rendendo non più legittimo il Piano nazionale inteso come strumento di indirizzo delle politiche territoriali da parte del Governo nazionale.

 

Per uscire da questa impasse, il Piano sociale nazionale è stato reintrodotto rendendo responsabile della sua elaborazione la Rete della protezione e dell’inclusione sociale e poi, per tener conto delle competenze regionali, sono state limitate le finalità del Piano rispetto a quanto stabilito nella Legge 328: non si tratta più di un documento generale di indirizzo, ma di uno strumento di programmazione nazionale dell’utilizzo delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali. Un disegno che riguarda anche il Piano per la non autosufficienza quale strumento programmatico per l’utilizzo delle risorse del Fondo per le non autosufficienze. In conclusione, la programmazione sociosanitaria nazionale si è trasformata nel tempo in un mero meccanismo di ripartizione delle risorse disponibili con un rapporto molto debole riguardo gli obiettivi nazionali e regionali da perseguire.

 

Le conseguenze della mancata integrazione nazionale sulla programmazione regionale

Di fatto si è verificato un progressivo venir meno delle ragioni profonde dei Piani regionali come luogo dove definire obiettivi, percorsi e interventi della integrazione sociosanitaria in relazione alla realtà regionale nel quadro degli obiettivi nazionali. Infatti, se assumiamo come presupposto che un Piano dovrebbe essere un programma di azioni per passare da una situazione A una situazione B che quindi dovrebbe basarsi sulla conoscenza della situazione A, ovvero sapere quali sono i suoi punti critici, definire gli interventi per eliminarli chiarendo le risorse da impiegare, i tempi dell’azione, i soggetti responsabili, i criteri di verifica della loro efficacia; ebbene di tutto questo tanto i Piani sanitari quanto i Piani sociali regionali contengono molto poco.

 

Nel complesso i piani sanitari e sociali contengono notevoli criticità. Anzitutto, le priorità e gli obiettivi non sempre discendono da un’attenta valutazione della situazione reale della regione, nel quadro di un indirizzo generale nazionale, ma piuttosto da quanto prevede il quadro normativo in termini di adempimenti, prestazioni e risorse secondo una logica basata sul bisogno (“c’è bisogno” – “bisogna fare”). Nei casi in cui vengono definiti specifici obiettivi, i soggetti responsabili della loro attuazione, tempi e risorse, sono indicati sempre con ampia alea di approssimazione.

 

Inoltre, per quanto riguarda il monitoraggio e la valutazione della dinamica del rapporto domanda/offerta, praticamente tutti i piani ne sono privi. Sebbene numerose regioni abbiano ritenuto opportuno unificare l’assessorato alla salute con quello delle politiche sociali, producendo in alcuni casi piani sociosanitari integrati, spesso la varietà dei modelli organizzativi e l’eterogeneità delle forme di gestione tra area sanitaria e sociale rimane una delle cause che non favorisce l’integrazione. Ancora, malgrado i progressi nel far coincidere i Distretti sanitari con quelli sociali, nei Piani il distretto sociosanitario non si è ancora affermato come luogo dell’integrazione.

 

Relativamente al tema delle risorse, solo pochi definiscono il rapporto risorse/tempi/servizi: il contesto dove si decide è il bilancio regionale. Luogo, quest’ultimo, in cui pesa notevolmente lo squilibrio tra risorse per l’assistenza sanitaria e l’assistenza sociale. Infatti, dai bilanci regionali emerge in tutta evidenza la clamorosa disparità tra i due capitoli: a fronte dei circa 147 miliardi del 2017 per la sanità (il 42,4% dei bilanci regionali), sono circa 6 i miliardi spesi per l’assistenza sociale (l’1,7% dei bilanci regionali al 2017). Per l’assistenza sociale per gli anziani le risorse spesa sono circa 630 milioni di euro (lo 0,2% dei bilanci al 2017). In aggiunta, il percorso di costruzione del piano non sempre avviene in un rapporto dialogante con i rappresentanti degli interessi economici e sociali e lo spazio dedicato agli anziani rimane ampiamente marginale.

 

In sostanza, la destrutturazione dell’impianto programmatico nazionale come conseguenza della mutata architettura istituzionale, che ha fatto seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione, non solo ha depotenziato la programmazione nazionale, ma ha anche svuotato la struttura dei piani regionali che conservano un valore programmatico molto approssimativo e nel merito abbastanza privo di sostanza. Solo in alcuni casi vengono indicati specifici obiettivi, il soggetto responsabile della loro attuazione, i tempi di attuazione – sempre con ampia alea di approssimazione; in altri casi prevale un impianto in generale burocratico rivolto essenzialmente all’interno delle strutture sociosanitarie.

 

Le proposte di riforma

Ѐ del tutto evidente come nel quadro sopra delineato risulti difficile programmare misure efficaci di integrazione sociosanitaria a favore degli anziani non autosufficienti. Sicuramente, la pandemia ha avuto il grande merito di far emergere il problema e portare il tema degli anziani non autosufficienti al centro dell’attenzione. Questo ha determinato la ripresa di un confronto che si andava sviluppando da più di due decenni. Un confronto che, pur favorendo la maturazione e la condivisione di misure parziali di riforma, non è riuscito a elaborare soluzioni strutturali. Infatti, anche se può sembrare paradossale, il tema della programmazione integrata non è mai stato oggetto di proposte correttive da parte dei vari soggetti che in questi anni si sono interessati della riforma della non autosufficienza.

 

Oggi il quadro sembra positivamente mutato e al tema della programmazione viene dedicata l’attenzione che merita. Vediamo allora come le varie proposte affrontano il problema nella proposta di legge Delega elaborato dalla Commissione Turco e la proposta del Patto per la non autosufficienza.

 

La programmazione nella proposta di legge delega elaborata dalla Commissione Turco

Al tema della programmazione integrata, la proposta di legge delega elaborata dalla Commissione Turco dedica l’intero articolo 5 che introduce alcune novità di rilievo:

  • il PNNA viene considerato parte integrante del Piano Nazionale degli interventi e dei servizi sociali che si raccorda con i Patti per la salute a cui faranno riferimenti i Piani regionali;
  • introduce la presentazione al Parlamento della Relazione sulla condizione delle persone anziane non autosufficienti e sullo stato di attuazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e dei Livelli Essenziali delle Prestazioni in ambito Sociale (LEPS) per le persone anziane non autosufficienti;
  • programma un aggiornamento triennale sulla base delle attività di monitoraggio specificamente previste e disciplinate per ciascuno dei settori considerati, sul grado di adeguatezza dei LEPS e dei LEA;
  • prevede il rafforzamento degli Ambiti sociali territoriali (ATS);
  • coinvolge l’ISTAT per produrre il quadro informativo sulle persone anziane e con ridotto/non sufficiente grado di autonomia e sui servizi sociali e sociosanitari;
  • comporta l’aggiornamento dei contenuti del Sistema informativo unitario dei servizi sociali (SIUSS);
  • include un aggiornamento triennale sulla base delle attività di monitoraggio del Fondo Nazionale per la Non Autosufficienza per sostenere il progressivo consolidamento strutturale del sistema dei livelli essenziali delle prestazioni sociali a favore di tutte le persone non autosufficienti sull’intero territorio nazionale e per garantirne l’integrazione con il sistema dei servizi sanitari;
  • presuppone un budget di cura per sostenere adeguatamente l’attuazione dei progetti individualizzati di assistenza integrata.

 

Si tratta indubbiamente di novità rilevanti in quanto recuperano il ruolo nazionale della programmazione sociosanitaria, rafforzano il sistema informativo e di monitoraggio, consolidano le strutture territoriali, stabiliscono il corretto rapporto tra prestazione dei servizi essenziali e flusso delle risorse necessarie.

 

Tuttavia, la proposta di legge delega non interviene sul quadro delle relazioni tra i soggetti della programmazione sociosanitaria integrata. In particolare, l’integrazione tra area sanitaria e sociale è considerata un “principio” da adottare da parte di Governo, Regioni ed Enti Locali, ma non viene chiarito come tradurre concretamente questo principio nel rapporto stato/regioni/enti locali. Inoltre, non viene recuperato il Piano sanitario nazionale, confermando i Patti per la salute e non si riprende la relazione sulla Stato sanitario del Paese; per gli ATS permane il limite del frazionamento comunale e della titolarità in capo alla Conferenza dei Sindaci. Infine, per quanto concerne il “Budget di cura”, su di esso confluiscono “tendenzialmente” le risorse provenienti da vari canali, ma non si parla di fondo unico e delle modalità e consistenza del finanziamento.

 

La programmazione nella proposta del Patto per un Nuovo Welfare sulla Non Autosufficienza

Nella proposta di riforma del Patto la scelta di fondo è l’istituzione di un autonomo Sistema Nazionale Assistenza Anziani (SNA) fortemente strutturato che comprende l’insieme di tutte le misure a titolarità pubblica dedicate all’assistenza degli anziani non autosufficienti (interventi sanitari, interventi sociali e prestazioni Inps). Il funzionamento dello SNA si basa sul governo unitario e sulla realizzazione congiunta degli interventi, confermando le titolarità istituzionali attualmente esistenti (siano esse statali, regionali o comunali).

 

Per rendere effettivo il governo congiunto degli interventi rivolti agli anziani non autosufficienti, le competenze delle diverse amministrazioni afferenti allo SNA vengono ricomposte in organismi unitari di governance: la Rete nazionale per l’assistenza integrata alle persone anziane non autosufficienti, le Reti Regionali e le Reti Territoriali (Ambito/Distretto). Ogni Rete elabora un proprio Piano integrato per la non autosufficienza: il Piano Nazionale, i Piani Regionali e i Piani Territoriali. Ogni Piano, per quanto riguarda le competenze del livello di governo coinvolto, definisce in modo contestuale e coordinato l’insieme degli interventi per la non autosufficienza.

 

Viene altresì introdotta la Griglia Fabbisogni Risposte che concorre alla governance dello SNA permettendo di confrontare i diversi profili di fabbisogno assistenziale degli anziani assistiti e gli interventi erogati, considerati per tipologie, quantità e intensità (la Griglia viene alimentata attraverso il sistema di monitoraggio della non autosufficienza). Per perseguire l’integrazione organizzativa delle risposte alla non autosufficienza viene prevista la piena e strutturale integrazione tra Distretto sanitario e Ambito sociale, resa possibile dalla loro coincidenza geografica e dalla completa attivazione di entrambi; oltre che sulla programmazione integrata, si basa su governo congiunto, un coordinamento operativo e un budget unitario in materia.

 

Lo SNA si fonda sul finanziamento pubblico dei livelli essenziali – sociali (LEP) e sanitari (LEA) – rivolti agli anziani non autosufficienti. Concorrono allo SNA le attuali fonti di finanziamento per la non autosufficienza, riguardanti le politiche sanitarie, le politiche sociali e i trasferimenti monetari nazionali. Vengono individuate ulteriori misure a carico della finanza pubblica, per assicurare la piena attuazione dei livelli essenziali. Con la sua proposta il Patto compie una scelta netta: supera la ricerca dell’integrazione generale tra servizi sanitari e servizi sociali a favore di un obiettivo più limitato, ma forse più realistico, dell’integrazione dei servizi sociosanitari per la non autosufficienza nell’ambito dell’istituendo Servizio Nazionale Assistenza Anziani.

 

Il suo funzionamento si baserebbe sul governo unitario e sulla realizzazione congiunta delle misure rivolte agli anziani non autosufficienti, con il mantenimento delle titolarità istituzionali attualmente esistenti (siano esse statali, regionali o comunali). Lo SNA, pertanto, prevede la piena collaborazione e il coordinamento tra Stato, Regioni e Comuni nel rispetto delle competenze di ognuno. Ne consegue che anche l’attività di programmazione si ridimensiona e si specializza riguardo al suo ambito specifico di intervento.

 

Le scelte soprariportate sono nette e presentano alcuni limiti; anche nella proposta del Patto non viene recuperato il Piano sanitario nazionale confermando di fatto i Patti per la salute. Inoltre, non si recupera la relazione sulla Stato sanitario del Paese e non si chiarisce il rapporto tra PNNA e Piano sociale nazionale. Ancora, per gli ATS permane il limite del frazionamento comunale e della titolarità in capo alla Conferenza dei Sindaci. Per quanto attiene alle risorse, la loro definizione, programmazione e gestione avviene in modo contestuale, unitario e integrato, nell’ambito del nuovo sistema di programmazione e governance, ma non si spiega in quale misura vengono integrate le misure a favore degli interventi sociali. In sintesi, pur comprendendo alcune delle scelte di fondo del Patto, rinunciare alla costruzione di un sistema sociosanitario integrato a copertura dell’insieme dei bisogni di assistenza per tutte le età per non mettere in discussione l’attuale architettura istituzionale appare come una scelta seria che meriterebbe maggiore attenzione.

 

Verso una maggiore efficacia dell’attività di programmazione?

Ritornando all’interrogativo da cui siamo partiti, legato alle problematiche della programmazione vigente, si può dire che le due proposte di riforma introducono novità importanti che dovrebbero dare maggiore efficacia all’attività di programmazione in relazione:

  • alla base informativa sulla platea di persone di riferimento e alle loro condizioni;
  • all’attività di monitoraggio e valutazione dello stato di attuazione della programmazione;
  • al più stringente riferimento ai LEA e LEPS in quanto obiettivi da raggiungere;
  • al rafforzamento del ruolo e alla maggiore visibilità del distretto sociosanitario;
  • al percorso di costruzione con il coinvolgimento terzo settore.

 

Tuttavia, rimangono ancora dei punti critici poiché non viene modificata in modo sostanziale l’architettura istituzionale e la governance all’origine dei limiti della programmazione sociosanitari per la non autosufficienza. Certamente la proposta del Patto di istituire un Sistema Nazionale Assistenza anziani (SNA) incardinato su un sistema multilivello di governance interistituzionale a livello nazionale, regionale e territoriale, è una novità importante che va messa alla prova, anche se forti sono i dubbi sull’auspicato governo unitario e sulla realizzazione congiunta degli interventi mantenendo invariate le titolarità istituzionali attualmente esistenti (siano esse statali, regionali o comunali). Sono i dubbi contenuti nella ricerca AUSER dove si propone, in forma interrogativa, l’istituzione del Servizio nazionale per la Long-Term Care (LTC) a cui affidare le politiche sociosanitarie e socioassistenziali escludendo le prestazioni sanitarie che rimarrebbero in capo al Sistema Sanitario Nazionale. Ѐ auspicabile che il dibattito in corso sulle riforme trovi il modo per ridurre al minimo i rischi di un cambiamento che per un eccessivo senso di realismo non sia capace di rimettere in discussione alcuni punti dell’attuale assetto istituzionale Stato/Regioni che rappresentano il vero problema, tanto più a fronte di devastanti ipotesi di autonomia differenziata.

Bibliografia

Auser, Falasca C., a cura di, (2021), Anziani non autosufficienti e integrazione sociosanitaria territoriale nei Piani regionali.
Decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 2006, Approvazione del «Piano sanitario nazionale» 2006-2008.
Decreto Legislativo 15 settembre 2017, n.147 art. 21, Rete della protezione e dell’inclusione sociale.
Legge 23 dicembre 1978, n.833, Istituzione del servizio sanitario nazionale.
Legge 8 novembre 2000, n.328, Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.
Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione.
Ministero della Salute, (2012-2013), Relazione sullo Stato Sanitario del Paese.

P.I. 00777910159 - © Copyright I luoghi della cura online - Preferenze sulla privacy - Privacy Policy - Cookie Policy

Realizzato da: LO Studio