1 Marzo 2024 | Programmazione e governance

Indennità di accompagnamento e prestazione unica universale: una “riforma” tradita…

L’articolo propone un approfondimento critico rispetto ai contenuti dello Schema di Decreto Legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri il 25 gennaio scorso, primo provvedimento attuativo della Legge Delega 33/2023. In particolare, alla luce dell’ampio respiro riformatore previsto, ci si attendeva che i decreti attuativi dessero l’avvio alla riforma complessiva dell’indennità di accompagnamento. Questa aspettativa, purtroppo, è stata disattesa nei fatti.


Rappresentare, anche in prima approssimazione, le ricadute e gli effetti di una nuova legge non è mai un’operazione semplice. Quando poi questa legge è stata presentata dal legislatore delegato dal Parlamento (il Governo) come una vera e propria “riforma epocale” destinata a dare una risposta ad una straordinaria emergenza sociale, e quando la si è annunciata nell’aula della Camera promettendo un plus di 1.000 euro/mensili a favore di ogni persona anziana non autosufficiente, l’operazione diventa ancora più complessa ponendo un elevato livello di rischio: rischio che si può contenere se (e solo se) la si storicizza nel suo iter approvativo, nei suoi (dichiarati) obiettivi, nelle sue (annunciate) finalità e, quando si tratta di una norma delegata, nel non trascurare l’esame di coerenza che deve esistere tra i criteri ed i principi direttivi della disciplina delegata e la concertazione finale coerentemente a quanto previsto dal precetto costituzionale (art. 76, Costituzione).

 

Operazione, quest’ultima, spesso complessa perché condizionata dal grado di precisione dei principi e dei criteri direttivi ma necessaria a pena di invalidità del decreto attuativo perché tra legge delega e decreto attuativo delegato deve sempre esistere un rapporto si sana e virtuosa peculiarità che non deve compromettere la gerarchia delle fonti.

 

 

La Legge Delega n. 33/2023 e lo schema di Decreto attuativo approvato dal Governo il 25 gennaio 2024

La legge 23 marzo 2023, n. 33 (Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane) ha, come sappiamo, delegato il Governo italiano a dare effettività ai suoi principi ed obiettivi nel rispetto dei criteri direttivi da essa fissati. Per la verità, come già evidenziato, molte sono state le deleghe lasciate purtroppo in bianco ed abbandonate alla discrezionalità dell’Autorità delegata anche se, sotto il profilo dei contenuti, chiara ed esplicita era la complessiva riforma della indennità di accompagnamento. Riforma che sarebbe dovuta avvenire introducendo, in via sperimentale e progressiva, una prestazione universale “graduata secondo lo specifico bisogno assistenziale ed erogabile, a scelta del soggetto beneficiario, sotto forma di trasferimento monetario e di servizi alla persona, di valore comunque non inferiore alle indennità e alle ulteriori prestazioni” statali” (art. 35, comma 2, lettera a, n. 1, Legge delega 33/2024).

 

L’esigenza, ampiamente condivisibile, era così quella di “promuovere il progressivo potenziamento delle prestazioni assistenziali in favore delle persone anziane non autosufficienti (art. 5, comma 2, lettera a, Legge n. 33/2023) così da dare un nuovo volto ed una nuova dimensione ad un benefit concepito negli anni ’80 del secolo scorso, liberamente spendibile, erogato o al solo titolo della menomazione per gli ipovedenti (ciechi assoluti) oppure, nel caso degli invalidi civili, nell’ipotesi in cui la persona si trovi “nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore” e/o che “non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita” abbisogni “di un’assistenza continua” indipendentemente dalla sua situazione patrimoniale; e di graduarlo economicamente in relazione all’intensità del carico assistenziale con un livello minimo non inferiore a quello dato dall’indennità di accompagnamento (al momento 531,76 Euro mensili).

 

Questo obiettivo è stato però ampiamente tradito dal Governo con il provvedimento attuativo approvato nello scorso gennaio nonostante l’introduzione, in via transitoria (dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2026) e sperimentale, della c.d. “prestazione universale […] al fine di promuovere il progressivo potenziamento delle prestazioni assistenziali per il sostegno della domiciliarità e dell’autonomia delle persone anziane non autosufficienti” (art. 34, comma 1). Questo nuovo intervento assistenziale sarà infatti un benefit fisso, determinato pertanto in misura forfettaria e, soprattutto, senza quella gradualità determinata dai criteri direttivi (stato di bisogno e carico assistenziale) previsti dalla Legge-delega, purtroppo destinato ad una ridottissima platea di persone anziane non autosufficienti, non a libera spendibilità, essendo stata la sua erogazione vincolata all’acquisto di servizi di cura e di assistenza forniti da imprese qualificate in questi settori. Al punto tale che, laddove questa quota non venga utilizzata in tutto o in parte, il beneficiario sarà “tenuto alla restituzione di quanto indebitamente ricevuto” (art. 36, comma 5).

 

 

Come cambia (e si svuota di valore) la riforma dell’indennità di accompagnamento

Nonostante gli annunci iniziali (e senza aver ascoltato rettifiche), nello scheda di Decreto attuativo approvato dal Governo il 25 gennaio 2024 l’importo mensile della nuova prestazione a sostegno degli anziani non autosufficienti è stato indicato in 850 Euro mensili, senza alcuna graduazione e – dunque – indipendentemente dal carico assistenziale richiesto dalla persona, senza ammettere, quindi, che ci sono anziani non autosufficienti che richiedono alcune ore di assistenza giornaliera per l’igiene, per la mobilizzazione e per la preparazione dei pasti ed altri, invece, che, oltre a questi interventi, necessitano di una stretta e continua sorveglianza e vigilanza protratte sulle 24 ore (sette giorni su sette) e della presenza continua di almeno un familiare/assistente domiciliare per poter espletare, in sicurezza, le attività della vita quotidiana (ADL).

 

Nessuna gradualità, dunque, né della indennità di accompagnamento (che continuerà ad essere concessa sulla base di criteri valutativi non solo opinabili ma soprattutto incerti, purtroppo non ancora standardizzati) né, tanto meno, dell’assegno di assistenza che sarà percepibile, dall’anno prossimo, non da tutti gli anziani non autosufficienti ma da una coorte di persone oltremodo ristretta avendo il Governo previsto un vincolo legato all’età anagrafica del richiedente ed uno stringente sbarramento reddituale: su domanda accederanno, infatti, al nuovo benefit (che di ‘universale’ ha solo il nome) i soli grandi anziani over-80enni non autosufficienti, già titolari dell’indennità di accompagnamento, in possesso di un indicatore economico (ISEE) non superiore a 6 mila Euro/anno e che hanno “stato di bisogno assistenziale gravissimo (art. 35, comma 1). Situazione, quest’ultima, che il Governo ha lasciato al momento nel regno dell’indistinto visto che essi dovranno essere definiti da una apposita “Commissione tecnico-scientifica per l’individuazione degli indicatori atti alla definizione dei criteri di classificazione dello stato di bisogno assistenziale gravissimo, tenuto conto delle disposizioni di cui al decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 26 settembre 2016, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 280 del 26 settembre 2016” (art. 34, comma 3).

 

Decreto che, all’art. 3, li ha, in qualche modo, già indicati esplicitando quali sono le condizioni cliniche della persona da cui essi possono essere fatti derivare (persone in coma, persone dipendenti da ventilazione meccanica assistita, persone affette da grave o gravissimo stato di demenza con CDR uguale o superiore a 4, persone con lesioni spinali da C0 a C5, persone con gravissima compromissione motoria da patologia neurologica o muscolare, persone con deprivazione sensoriale complessa, persone con disabilità comportamentale e persone affette da ritardo mentale grave) o, in prospettiva più estensiva, il grado e l’entità della loro c.d. “dipendenza vitale” indicata nell’esigenza “di assistenza continua e monitoraggio sulle 24 ore, sette giorni su sette, per bisogni complessi derivanti dalle gravi condizioni psicofisiche” (art. 3, comma 2, lettera i).

 

Con ulteriori limiti fissati nell’impegno di bilancio complessivo a carico dello Stato che non potrà e superare il limite massimo di spesa fissato in 250 milioni di euro per l’anno 2025 ed in 250 milioni di euro per l’anno 2026 (art. 36, comma 6) con la precisazione che, in caso di sforamento, “con decreto del Ministro dell’economia e delle finanza, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, si procederà a rideterminare l’importo mensile della prestazione universale” (art. 36, comma 6): 500 milioni complessivi, quindi, provenienti non da nuove risorse ma da disponibilità economiche già finanziate su altri capitoli di spesa pubblica visto che 150 milioni provengono dalla riduzione del Fondo per le non autosufficienze, 250 milioni dal Programma nazionale inclusione e lotta alla povertà e 100 milioni dalla Missione 5 del PNRR.

 

Questo il disegno complessivo del nuovo intervento assistenziale che verrà realizzato, nelle originarie intenzioni del Governo, con ferrei sbarramenti, vincoli davvero esagerati, incomprensibili vuoti normativi i e plurimi rinvii a successivi atti normativi che, oltre ad allontanare all’infinito le risposte ai problemi, offrono una risposta parzialissima ad un’emergenza che dovrebbe essere urgentemente affrontata visto che le stime realistiche portano ad ammettere che i beneficiari dell’annunciata riforma (non certo ‘epocale’) non supereranno le 24,5 mila unità. Quando gli anziani italiani non autosufficienti sono oltre 2,8 milioni, quando 1,4 milioni degli stessi risulta percepire l’indennità di accompagnamento, quando oltre 1 milione di questi sono ober-80enni e quando il 33,8% di questa ampia coorte di persone ha un’entrata pensionistica cumulativa inferiore a 1.000 Euro mensili, del tutto insufficiente a coprire i costi di un regolare contratto di badantato (compresi, per 54 ore/settimana, tra 19-21 mila Euro, tra retribuzione, tredicesima, congedi, Tfr e contributi dovuti).

 

Nell’importo economico definito dal Governo, l’assegno di assistenza sarà così sufficiente, per chi ha un ISEE inferiore ai 6 mila Euro/anno, a sostenere le spese di un contratto di assistenza limitato a 22 ore settimanali, assolutamente insufficiente a coprire le esigenze e a soddisfare i bisogni assistenziali dell’anziano non autosufficiente con uno stato di bisogno assistenziale gravissimo. Se poi l’obiettivo della riforma era anche quello di ridurre il nero e di regolarizzare il lavoro domestico che sappiamo essersi ridotto nel nostro Paese nel 2022 (-76.548 lavoratori) di ciò che accadrà possiamo essere facili interpreti. Non solo perché il nuovo benefit assistenziale, che di “universale” ha ben poco, non sarà certo sufficiente a pagare il costo di un regolare contratto di badantato a cui sono naturalmente da aggiungere tutte le altre spese necessarie per una vita decorosa e dignitosa cosicché moltissimi (oltre il 98%) saranno gli anziani non autosufficienti che resteranno esclusi da questa nuova tutela.

 

Una riforma straordinariamente debole che non affronta ed allontana nel dare una soluzione ai problemi, incoerente rispetto ai criteri direttivi della Legge delega

L’approvazione della legge n. 33/2023, avvenuta in tempi rapidissimi e a distanza di poco più di due mesi dalla sua presentazione, aveva suscitato grandi speranze e legittime aspettative sulla possibilità di realizzare la tanto attesa riforma del sistema italiano di Long-Term Care e di dare una risposta ai bisogni delle persone anziane non autosufficienti e delle loro famiglie. La delega parlamentare affidata al Governo, pur essendo stata parzialmente onorata nei tempi previsti, è stata però sostanzialmente tradita non solo a causa della modestissima copertura finanziaria ma soprattutto per la provvisorietà delle idee, non certo a tenuta e che complicheranno i processi invece che semplificarli e renderli omogenei.

 

L’insufficienza del piano di finanziamento con risorse già stanziate, recuperate da altri capitoli di spesa e senza alcun nuovo investimento, non è di poco rilievo anche se dei suoi semi germinanti troviamo un’ampia traccia nella Legge delega per i ripetuti richiami fatti, in essa, alla clausola dell’invarianza finanziaria, sigillata dalla precisazione che “qualora uno o più decreti legislativi determinino nuovi o maggiori oneri che non trovino compensazione al loro interno, i medesimi […] sono emanati solo successivamente o contestualmente alla data di entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti misure finanziarie” (art. 8, comma 4) e dall’inciso che “dall’attuazione delle deleghe […] non devono derivare nuovi e maggiori oneri a carico della finanza pubblica” (art. 8, comma 5).

 

Per dare una copertura economica alla effettiva tutela degli anziani non autosufficienti sarebbero, infatti, serviti in aggiunta almeno 3 miliardi di Euro/anno (più di 10 volte rispetto alla quota finanziata) da aggiungere agli oltre 12 miliardi di Euro/anno spesi, secondo i dati dell’INPS, per l’indennità di accompagnamento se l’obiettivo era quello di dare una miglior copertura assistenziale ad almeno il 15% degli stessi. Per ragioni di finanza pubblica non si è potuto o voluto farlo pur dovendo chiederci le ragioni dello sparuto budget di risorse reperite dal PNRR: il cui piano di investimento, continuamente rivisto e rimaneggiato per ragioni poco chiare, era una straordinaria ed irripetibile opportunità per riformare davvero il nostro sistema di Long-Term Care.

 

Ciò che è, tuttavia, mancato sono però le idee ed il coraggio politico di realizzarle in tempi brevi. La mancata riforma dell’indennità di accompagnamento ne è un esempio eclatante. Si poteva procedere in questa direzione perché la delega parlamentare lo consentiva ma non si è voluto farlo per correggere i forti elementi di iniquità verticale che la caratterizzano che non trovano nessun analogo nel panorama europeo, molto probabilmente per non turbare gli interessi corporativi che continuano a frammentare la disabilità in rivoli di portata diversa, privilegiando alcune categorie di persone disabili rispetto ad altre: soprattutto quelle a cui l’indennità di accompagnamento viene erogata al solo titolo della minorazione (nel caso dei ciechi assoluti), indipendentemente dal loro reale fabbisogno assistenziale e dalla loro effettiva situazione patrimoniale. Non potendo essere trascurato il fatto che il suo importo è, per questa particolarissima coorte di persone, di 959,21 Euro/mensili, di gran lunga superiore a quello percepito dagli invalidi civili non autosufficienti e dalle persone anziane che richiedono un carico di assistenza particolarmente elevato.

 

Certo, qualcuno obietterà sottolineando la bassa numerosità di questa coorte di persone disabili anche se questo non giustifica, a nostro modo di vedere, la scelta astensiva del Governo che ha gettato al vento un’occasione imperdibile che difficilmente potrà riproporsi visto che l’indennità di accompagnamento, il cui impianto regolativo non si è adattato alle mutate condizioni contestuali, rappresenta, da sola, oltre un terzo della spesa italiana allocata alla Long-Term Care nonostante i suoi profili di indiscutibile criticità e dei suoi effetti negativi sul piano dell’appropriatezza e dell’equità.

 

La scelta è stata di non riformare questo intervento assistenziale che, nonostante il suo universalismo, non risulta essere né equo né appropriato e che continuerà ad essere erogato in misura forfettaria nonostante manchi ancora uno standardizzato strumento di valutazione lasciato nella discrezionalità di chi valuta. Con un radicale (profondo) salto di prospettiva rispetto alla delega parlamentare che aveva previsto di graduarlo in relazione al fabbisogno assistenziale della persona.

 

C’è da chiedersi che cosa accadrà e come tutti i contesti territoriali sapranno adeguarsi alla normativa statale rivedendo la loro organizzazione interna, visto che la valutazione finalizzata al riconoscimento della indennità di accompagnamento transiterà definitivamente all’INPS e rinnovando, come sarà necessario fare, anche gli assetti normativi regionali e provinciali che regolano l’assegno di cura.

 

Il silenzio e (spero di sbagliare) il sostanziale disinteresse che percepisco dai medici su queste delicatissime questioni, fatta eccezione per qualche isolata presa di posizione pubblica, non sicuramente un buon viatico. E c’è ancora da chiedersi se la delega parlamentare sia stata realmente onorata dal Governo italiano e, in caso negativo, che cosa potrà accadere visto che il Decreto legislativo dovrà comunque essere firmato dal Presidente della Repubblica per la sua approvazione e, ad approvazione avvenuta, essere anche oggetto di un pur sempre possibile giudizio di legittimità costituzionale.

Bibliografia

Bibliografia di approfondimento

Barbieri P.V. (2023), Troppo silenzio sul disegno di legge delega sulla disabilità, in Vita.

Cembrani F., Cingolani M., Fedeli PG., (2022), L’inclusione della persona disabile con strumenti tecnologici: occasione di un primo commento alla legge-delega al Governo in materia di disabilità, in Riv. It. Med. Leg., 3, 267 e ss.

CENSIS (2023), Il lavoro domestico. Una risorsa per il nuovo welfare, Roma.

Cingolani M., Fedeli PG., Cembrani F., (2021), Disabilità. Quel silenzio assordante sulla legge delega che cela diversi aspetti da rivedere, in Quotidiano sanità, 21 dicembre.

Flick GM. (2023), La tutela costituzionale del malato non autosufficiente: le garanzie sanitarie dei LEA, il pericolo dei LEP, in Rivista AIC, 2, 14 giugno.
Decreto anziani. In attesa del provvedimento 14 milioni di persone, ma non ci sono risorse aggiuntive. L’audizione di Gimbe, in Quotidiano sanità, 14 febbraio 2024.

ISTAT, Rapporto 2023, Roma.

Ranci C. (2024), La riforma tradita. La nuova prestazione universale, in Lavoce Info, 9 febbraio.

Terzo Rapporto Domina presentato in Senato il 31 gennaio 2024.

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