1 Settembre 2011 | Editoriali

Editoriale
Una rete costruita tra diversi luoghi della cura

Una rete costruita tra diversi luoghi della cura

Potrebbe sembrare inutilmente ripetitivo affrontare ancora una volta il tema della rete dei servizi per l’anziano. Posso invece testimoniare, anche per esperienza personale, che ogni volta che ci si appresta concretamente, in una o in un’altra realtà, a progettare una rete, il mondo delle cure riserva indicazioni sorprendenti, provenienti dalle sue dinamiche interne, che impongono di rinnovare le ipotesi precostituite, per costruirne sempre di nuove. Nonostante tutto è un mondo vivace, che ha solo bisogno di essere aiutato e indirizzato nella sua crescita spontanea.

 

Schematicamente riassumo alcuni passaggi che caratterizzano il nostro tempo, e quindi delineano lo scenario nel quale ci muoviamo. Vanno letti in una prospettiva di ottimismo, perché nell’insieme mostrano un settore che risponde a domande forti da parte dei cittadini, che richiedono risposte altrettanto significative. Vanno letti soprattutto nella prospettiva di ricercare nuovi percorsi attraverso studi seri e sperimentazioni coraggiose.

 

Un primo aspetto è di carattere culturale. Finalmente si accetta il parametro della complessità come caratteristica fondamentale dello scenario; nulla in questa realtà è semplificabile e nulla guidabile con imposizioni e rigidità. La ricchezza delle professionalità e delle volontà spontanee supera gli schematismi, anche quelli apparentemente ineluttabili. Nello scenario complesso convivono le nuove tecnologie con le modalità tradizionali di cura, la medicina delle evidenze scientifiche con la medicina narrativa, la fiducia nel progresso con lo scetticismo conseguente a tante rivisitazioni critiche, la speranza di cambiamento che accompagna gli operatori più generosi e intelligenti con le resistenze indotte da ignoranza e interessi particolari, gli interessi e le problematiche cliniche con quelle socio-assistenziali. Chiunque si ritenesse in grado di rompere la convivenza tra queste dicotomie compirebbe un atto di retroguardia, per costruire modelli di lavoro incapaci di sopravvivere al confronto con la realtà.

 

Ovviamente questa cultura richiede un continuo adattamento delle conoscenze da parte di chi opera nei vari nodi della rete; la formazione è quindi un atto indispensabile e non spezzettabile in piccoli atti di informazione tecnica. Anche se costa in termini economici, è il vero collante nei momenti evolutivi; va inoltre tenuto presente il meccanismo di sostituzione tra le varie professionalità, che porterà certamente entro breve ad una valorizzazione delle professioni non mediche, che devono quindi essere al centro di una particolare attenzione formativa. Talvolta chi programma ritiene erroneamente che vi sia una risposta poco partecipata agli stimoli formativi; l’esperienza invece insegna che nelle aree dei servizi per l’anziano vi è un grande desiderio di ricevere una formazione che permetta di essere più motivati e tecnicamente adeguati rispetto al nuovo che ci accompagna. I limiti sono di carattere operativo, non certo legati all’interesse dei fruitori.

 

Un’attenzione specifica deve essere data alla formazione dei caregiver informali (familiari e badanti), le cui esigenze sono del tutto particolari, partendo però da considerazioni che ne valorizzano il ruolo come componenti irrinunciabili del sistema delle cure, che andranno sempre più coinvolti in un’impresa comune. Soprattutto nella prospettiva di costruire una rete, la formazione delle generosità spontanee è strutturale al successo dell’impresa.

 

Un secondo aspetto è di carattere umano e politico; l’indifferenza verso la condizione dell’anziano ammalato e sofferente cede spazio – almeno in alcuni ambienti più sensibili – al concetto che la democrazia impone di mettersi sempre nei panni dei più sfortunati, perché solo così non diventa un esercizio formale, ma riconosce le potenzialità di un comune, progressivo miglioramento della condizione di ogni cittadino. In molte zone dell’Italia, e in molti settori, questo esercizio di condivisione porta alla ricerca senza scuse e senza limiti artificiosi delle modalità più serie per costruire i luoghi della cura. Dove ciò non avviene (e non è avvenuto) si deve ricordare il dovere civile di condivisione che diventa obbligo di costruire al meglio una rete attorno alla sofferenza delle persone fragili. In questa prospettiva, la condizione degli anziani a rischio di perdita della speranza sociale può essere avvicinata a quella di tante altre persone (poveri, immigrati, ecc.) che hanno creduto nel progresso condiviso e che non possono essere lasciate da sole quando il progresso stesso non le sfiora. La condizione impone anche un atteggiamento di generosità da parte della comunità rispetto al funzionamento dei servizi.

 

Oggi sembra che sulla non autosufficienza e sui servizi collegati sia sceso il silenzio. La generosità imporrebbe invece alla comunità una continua azione di controllo dolce e sereno sui servizi e la qualità della loro azione, senza burocrazia, come avviene nelle famiglie. Certamente mancano i soldi, però sullo sfondo vi è la colpevole mancanza di attenzione verso i vecchi fragili. La condivisione richiede anche un atteggiamento concreto di partecipazione attiva attorno al processo di ricerca e di definizione del servizio più adatto per una certa persona in una determinata circostanza. Ciò riguarda sia il funzionamento delle Unità di Valutazione Geriatrica (o multidimensionale), il cui lavoro non è mai privo di risvolti concretamente legati alla dignità e alla sofferenza del singolo individuo; ancor più riguarda la prospettiva di organizzare i servizi della rete attorno alla fornitura di strumenti di acquisto che pongono l’anziano fragile e la sua famiglia nella condizione difficile di dover decidere da soli, senza la protezione fornita da chi conosce ed ha potere (una libertà di scelte teorica e spesso ingiusta). La libertà di scelta e l’autonomia della persona si rispetta se realmente viene messa nelle condizioni di essere esercitata; altrimenti rischia di divenire una grave, intima, mancanza di rispetto.

 

Sul piano della partecipazione attiva alle difficoltà degli anziani fragili si pone anche il problema delle differenze regionali che si riscontrano oggi in Italia. Sono infatti ingiustificabili sul piano della risposta al bisogno e troppo spesso fondate su un criterio di autoreferenzialità che è di fatto la più grave espressione dell’indifferenza per la condizione di chi ha bisogno d’aiuto. Si crea troppo spesso un circolo vizioso tra ignoranza, mancanza di apertura mentale, autoreferenzialità, basso livello dei servizi prestati. A questo proposito, però, viene immediata la critica ad una responsabilità non esercitata da parte della politica, che non riesce a sconfiggere l’inciviltà connessa con la suddetta circolarità negativa. Non è questa la sede per addossare alla politica ben note responsabilità; resta sullo sfondo l’amarezza di molti perché una maggiore linearità programmatoria e limpidezza gestionale potrebbero essere di grande aiuto alla crescita della rete. Ad esempio, discutere di integrazione sociosanitaria, come si è fatto negli ultimi 30 anni, è il riconoscimento più acuto della non volontà della politica di affrontare i processi evolutivi, accompagnandoli con mano sicura, superando le resistenze corporative e fornendo gli opportuni, necessari strumenti operativi.

 

Un altro punto importante per la costruzione della rete è il riconoscimento del valore individuale del singolo operatore che – pur appartenendo a gruppi organizzati – rimane sempre il fulcro della cura prestata; non voglio ipotizzare un neoindividualismo, ma valorizzare l’impegno di intelligenza e di generosità di molti operatori che nei livelli intermedi costituiscono la struttura portante del sistema, indipendentemente da limiti economici ed organizzativi. Piccoli cambiamenti in
senso positivo permetterebbero di raggiungere risultati rilevanti; da qui il dovere di pensare ad una rete in grado di fornire supporto alle generosità naturali attraverso la cultura, che è alla base di modalità di lavoro più efficaci, e la tecnologia, che permette di raggiungere traguardi di cura sempre più ambiziosi. A questo livello si inserisce anche la problematica sulle diverse modalità di lavoro che caratterizzano i vari servizi, spesso accompagnate da contratti che creano differenze tra gli addetti ai servizi quando di fatto non esistono. Il rispetto della dignità del lavoro è la base perché si possano esprimere al meglio professionalità e generosità.

 

Infine, un aspetto da non trascurare nella progettazione della rete è l’esigenza di flessibilità dei vari nodi, indispensabile per rispondere al bisogno che si modifica con rapidità. Flessibilità significa che l’ospedale deve assumersi – in particolari specifiche circostanze – anche funzioni non strettamente riconosciute, che la casa di riposo può lavorare ad alti costi, ma anche saper adottare un regime davvero di low cost, che l’assistenza domiciliare non sia impostata su modelli rigidi, ma si possa adattare al bisogno, senza per questo richiedere una reingegnerizzazione delle modalità di lavoro (si pensi ad esempio alle esigenze peculiari di malattie come la demenza o la SLA), che l’hospice sia in grado di assistere persone in condizione terminale, anche se non causata da una patologia oncologica, ecc. La rigidità comporta alti costi e scarsa capacità di risposta al bisogno, che è sempre diverso per motivi umani, clinici, psicologici, organizzativi, ecc.

 

Una problematica contigua a quella della flessibilità è rappresentata dall’apertura alle diverse realtà che, con funzioni peculiari, possono contribuire alla gestione della rete, con ruoli di supporto. Ovviamente ci si riferisce prima di tutto alle famiglie, attrici di generosità spontanee non misurabili e spesso di grandissime dimensioni, al volontariato nelle sue molte espressioni e specificità (si pensi ad esempio ai gruppi di autoaiuto tra anziani), ma anche a realtà come la rete delle farmacie, che potrebbero supportare quella per gli anziani fragili, fornendo servizi che contribuiscono ad alleviare le difficoltà di chi deve assistere un anziano a casa (consegna dei farmaci e counselling sugli stessi, consegna di referti, suggerimenti sulle principali tematiche assistenziali, ecc.).

 

Le caratteristiche della rete sopraindicate riguardano prevalentemente aspetti di metodo; vanno approfonditi per costruire la base di qualsiasi intervento; in passato infatti sono stati troppo trascurati per dare attenzione esclusiva ad un’ “ingegneria del particolare” che non ha prodotto grandi risultati, ma spesso solo un’ulteriore espansione della burocrazia. Se si vuole rompere questo trend evolutivo bisogna ripensare alle basi del sistema da costruire; non per rallentare il progresso, ma perché è l’unica metodologia sulla quale costruire un futuro realistico a favore degli anziani fragili.

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