12 Aprile 2023 | Professioni

La specificità del lavoro in RSA: necessità e opportunità di una formazione dedicata

Il mondo delle RSA, posto sotto i riflettori dalla pandemia, non è ancora sufficientemente riconosciuto rispetto alla specificità di conoscenze e competenze che caratterizza il lavoro di medici e professioni sanitarie: occuparsi degli ospiti anziani enfatizza uno sguardo e un’azione globali sia dal punto di vista clinico, sia dal punto di vista esistenziale. L’articolo sottolinea l’esigenza di riconoscere la specificità – e, implicitamente, la bellezza – del lavoro in RSA e di sensibilizzare l’Università ad approntare appositi percorsi di formazione e di crescita professionale.

La specificità del lavoro in RSA: necessità e opportunità di una formazione dedicata

Da almeno quattro decenni le RSA sono profondamente cambiate rispetto al ruolo che avevano quando sono nate: ciò è avvenuto per rispondere all’evoluzione demografica e clinica delle persone anziane, più numerose e sempre più affette da pluricomorbidità e cronicità complessa. In questi tremendi anni di pandemia gli operatori delle RSA hanno sviluppato una sorta di rabbia positiva, che li ha portati a una consapevolezza mai così evidente prima e a una riflessione che potrebbe apparire banale, ma che in realtà è davvero urgente quanto poco considerata: ovvero, che le figure professionali che lavorano in RSA (medici, infermieri, fisioterapisti, educatori, terapisti occupazionali, arti terapisti…) presentano una loro peculiarità e necessitano quindi di percorsi formativi specifici.

 

Il quadro di sfondo

Partiamo da un concetto semplice e incontrovertibile: le persone anziane gravemente disabili, sia dal punto di vista cognitivo e comportamentale che dal punto di vista motorio e funzionale, non sempre vivono meglio a casa propria. Questo concetto è innegabile, per diversi motivi:

  • non esistono farmaci “miracolosi” che risolvono i problemi (ad esempio i disturbi comportamentali nei malati di demenza) ed è quindi necessario possedere conoscenze e competenze specifiche per gestire l’assistenza a questi malati;
  • nella maggioranza dei casi le reti famigliari di oggi non sono in grado di offrire una buona assistenza continuativa, 24 ore al giorno;
  • la rete territoriale di servizi a domicilio è assolutamente inadeguata per dare risposte concrete a questo tipo di malati e alle loro famiglie;
  • le cure a domicilio si avvalgono di una rete – poco conosciuta ai servizi e spesso “sfuggente” – di badanti, la cui formazione è tutta da valutare.

 

Sappiamo dai dati epidemiologici che in futuro avremo una crescita notevolissima di anziani, con sempre meno supporto famigliare e sempre più problematiche cliniche complesse. Quindi non è più rinviabile l’organizzazione di percorsi formativi ben strutturati, per imparare a prendersi cura sia delle persone anziane fragili e sole sul territorio, che delle persone anziane gravemente segnate da più patologie e che necessitano di assistenza in RSA. È improcrastinabile mettersi nell’ottica di realizzare una rete di servizi adatta alla cura in divenire della persona anziana, con una gradualità di approcci e servizi proporzionata ai bisogni, realizzata da operatori che abbiano seguito percorsi di formazione specifici.

 

Altrettanto fondamentale è modificare la visione dell’opinione pubblica e della politica sulle RSA: prima della pandemia pochi conoscevano il significato di questo acronimo; ora tutti lo conoscono, ma spesso in un’accezione buia, triste e mortale. In realtà in RSA si vive, e spesso molto bene, con molte persone anziane soddisfatte della loro esistenza nonostante tanti limiti e fragilità. Una prova è fornita dall’indagine esplorativa sugli esiti di interventi, trattamenti, pratiche cliniche e assistenziali in relazione alla qualità di vita degli ospiti di RSA, realizzata qualche anno fa nella nostra residenza, tramite oltre 1.500 interviste ad anziani e operatori OSS (Perati, et al., 2020).

Figura 1: visita di bambini da un asilo nido della zona

Le RSA del futuro

Pensando alle RSA del futuro (Perati, 2018), la domanda cruciale da cui partire deve essere questa: “quando sarò anziano, coloro che mi cureranno in una RSA lo faranno perché avranno scelto questo ambito professionale o perché non avranno trovato di meglio?”. Se abbiamo il coraggio di porci questa domanda, allora dobbiamo considerarne altre due:

  • Cosa vogliamo che siano le RSA?
  • Vogliamo finalmente strutturare organici adeguati e dare dignità ai lavoratori sanitari delle RSA, per facilitarne l’uscita dal limbo in cui si trovano, chiedendo un opportuno percorso formativo e un giusto riconoscimento normativo ed economico?

 

Viene spontaneo domandarsi: come mai, se esistono i medici ospedalieri, i medici di medicina generale, i medici specialisti ambulatoriali, non esiste la “categoria” dei medici di RSA? (questa domanda vale anche per gli altri operatori sanitari). Non certo per essere classificati e categorizzati, ma perché è sempre più evidente che gli operatori sanitari delle RSA svolgono ruoli assai diversi dagli omologhi che lavorano in ospedale o sul territorio e quindi necessitano di percorsi formativi dedicati.

 

Le RSA devono diventare luoghi di cura e di vita altamente specializzati per la cura delle persone anziane fragili e gravemente in difficoltà sotto il profilo clinico, cognitivo, psico-comportamentale e relazionale, motorio e funzionale. Entrare a vivere in RSA deve avvenire dopo aver potuto usufruire di servizi domiciliari, territoriali, semiresidenziali o di residenzialità leggera, che siano stati capaci di offrire la giusta risposta alle esigenze specifiche in divenire. Nell’attuale situazione, invece, a volte la RSA rappresenta l’unica risposta anche per persone con patologie meno gravi, come quelle che in Lombardia rientrano nelle classi SOSIA 7 e 81. Modulare la risposta non è solo un ragionamento geriatrico virtuoso e opportuno, ma anche di oculata visione economica.

 

La componente sanitaria delle RSA

Se le RSA devono specializzarsi nella cura di malati complessi con più patologie e gravati da una comorbidità articolata, analizziamo le principali figure sanitarie che in esse lavorano. Il medico non può essere “solamente” un bravo internista-geriatra: deve avere competenze in ambito gestionale nelle équipe di cura (teniamo presente che il lavoro in un nucleo geriatrico di RSA o è fatto in équipe oppure non è!); deve sapere di bioetica e di palliazione, avere competenze in ambito di sicurezza, privacy, rischio clinico, medicina legale; deve saper gestire l’approvvigionamento di terapie farmacologiche e presidi medicali e conoscere i principi di domotica. Deve saper organizzare e gestire le risorse umane ed economiche di tutta la RSA, assieme alla direzione generale e sanitaria; deve avere competenze imprenditoriali, avendo tra l’altro, oggi più che mai, l’ambizione di esportare i saperi sviluppati tra le mura della propria RSA al domicilio delle persone che vivono a casa propria (il famoso tema dell’esportazione del know-how sul territorio).

 

L’infermiere di un nucleo di RSA non deve sapere “solo” di tecniche infermieristiche; deve anche sviluppare competenze specifiche di geriatria e di gestione del personale assistenziale, di cui è direttamente responsabile, circa lo stile e i modi di approccio e di cura. Deve saper osservare gli operatori e – ovviamente – il malato, che è prima di tutto una persona che vive con le proprie numerose difficoltà ma che ancora esprime desideri, aspettative e sogni in una vita vera, e non in una vita che attende semplicemente di finire. Un infermiere di RSA – non solo il coordinatore di nucleo – è un po’ il metronomo della vita in un nucleo ed è tanto più bravo quanto più sa promuovere e assicurare il giusto mix di approccio clinico e relazionale, avendo ben presente che in RSA le persone sono curate ma ancora vivono, tutta lì, la propria esistenza. Di più: in geriatria prendersi cura della persona anziana significa saper accogliere i suoi famigliari e anche questo è compito dell’infermiere, che deve saper affrontare le ansie, i sensi di colpa, le paure, le frustrazioni e i vissuti spesso faticosi dei famigliari.

 

Il fisioterapista non può essere coinvolto soltanto nella cura degli eventi acuti, che necessitano di specifica riabilitazione, ma da “riabilitatore puro” deve diventare “esperto di movimento”, capace di promuovere la possibilità di attivarsi per persone con gravi deficit, ma che ancora aspirano a essere autonome (poco o tanto) anche “semplicemente” per mangiare o vestirsi o spostarsi dalla carrozzina al letto. Deve inoltre essere un esperto – assieme al medico e a tutta l’équipe di cura – nella scelta o meno dell’utilizzo dei sistemi di contenzione fisica, che davvero devono rappresentare una “estrema ratio” e non certo la routine come spesso accade oggi.

 

Gli educatori, i terapisti occupazionali, gli arti terapisti… in RSA devono ambire a diventare – e la pandemia recente lo ha ben dimostrato – il punto di riferimento e di collegamento tra la vita passata e la vita presente della persona anziana, che si deve esprimere ancora con la soddisfazione di vivere situazioni e relazioni piacevoli e stimolanti, attraverso molteplici attività culturali, scientifiche, artistiche, ludiche… Soprattutto l’educatore deve essere un punto di riferimento saldo e un vero esperto di relazioni, capace di rendere il quotidiano interessante e degno di essere vissuto fino in fondo.

 

Quanto detto finora sottolinea la necessità e l’improrogabilità di una formazione specifica a livello universitario, ben programmata e riconosciuta, per tutte le figure sanitarie che operano in RSA. Inoltre, sarebbe opportuno e utile considerare che in RSA si può fare ricerca clinica in modo sistematico, se si disponesse dei mezzi e dell’organizzazione opportuna.

Figura 2: operatori al termine di un corso di formazione

La formazione specifica di chi lavora in RSA: un’opportunità esportabile

Il personale delle RSA vive una peculiarità di ruolo che non è sovrapponibile a nessuna altra attività in ospedale o sul territorio: questa scelta lavorativa non può essere un ripiego, in attesa di altre soluzioni o al termine di una carriera ospedaliera, oppure come riempitivo di una attività libero-professionale. Lavorare nell’ambito della geriatria residenziale comporta la consapevolezza che in tale ambito la propria professione presenta caratteristiche davvero uniche, che necessitano di competenze che devono essere conosciute, promosse e costantemente accresciute.

 

I medici e le professioni sanitarie di RSA rappresentano un “unicum” professionale nell’ambito della cura delle persone anziane: il lavoro in RSA richiede e sviluppa conoscenze e competenze diverse da quello in ospedale o sul territorio, e merita pari dignità. Medici e operatori di RSA vivono quotidianamente la possibilità di farsi carico della persona nella sua globalità: sono quindi abituati a osservare la persona anziana non solo come portatore di una sindrome o di una malattia, ma anche come persona che vive in un contesto relazionale, che necessita di attenzioni e valutazioni che vanno ben oltre quelle realizzabili da un professionista sanitario ospedaliero, spesso abituato a vedere il malato a letto e magari contenuto.

 

Se si sposta l’attenzione verso la geriatria territoriale, viene spontanea una riflessione: pensando alle neo progettate Case della Salute – il cui target di riferimento è rappresentato innanzitutto dalle persone con patologie croniche, quindi soprattutto anziane – chi meglio degli operatori di RSA potrebbe offrire un sapere specifico e ben articolato?

 

La componente amministrativa delle RSA

Anche gli operatori amministrativi delle RSA – nel campo della direzione generale, della ragioneria, dell’economato e anche nella gestione del personale e delle relazioni con il pubblico – stanno sviluppando una competenza specifica che un tempo non era richiesta mentre oggi è essenziale, tenendo conto della complessità del settore e dell’enorme mole di provvedimenti normativi e regolamentari emanati da Stato, Regione, aziende sanitarie locali. Anche questi operatori devono essere riconosciuti nella loro unicità professionale.

 

Proseguendo la riflessione in ambito amministrativo e gestionale, è sotto gli occhi di tutti un’altra questione, anch’essa non più rinviabile, ovvero quella relativa ai Consigli di Amministrazione delle RSA. Se un tempo per essere presidente o consigliere erano sufficienti prestigio, buona volontà e disponibilità, oggi tali caratteristiche non bastano più: è indispensabile possedere competenze specifiche, per rispondere a scelte strategiche decisive.

 

Di fronte a questa considerazione due potrebbero essere le strade. La prima è rivedere gli statuti, per rivalutare l’assetto normativo che riguarda il governo delle RSA. La seconda è dar vita a percorsi di formazione specifici per consiglieri e presidenti, perché possano acquisire precisa contezza della complessità della cura in geriatria e della specificità delle questioni legate alla gestione di strutture così articolate rispetto all’organizzazione del lavoro amministrativo, sanitario e assistenziale. Consideriamo che le scelte, o le non-scelte, dei Consigli di Amministrazione sono spesso decisive per il benessere organizzativo in RSA e sono anche importantissime per le scelte degli operatori sul proprio futuro lavorativo.

 

Per concludere

C’è davvero una sorta di rifiuto, oserei dire una sorta di rimozione provocata da una paura inconscia, che impedisce di prendere atto che le RSA – in una percentuale minima della popolazione anziana, ma che si sta incrementando a causa dell’allungamento della vita – spesso sono l’unica risposta possibile e opportuna per la persona anziana gravemente disabile: non per relegarla, ma per farle vivere la propria esistenza fino al suo compimento naturale con dignità, appropriatezza di cure, aiuto da operatori con competenze specifiche e, infine, anche con serenità e bellezza proporzionate alla situazione di vita presente.

 

Pensando al mondo degli operatori di RSA desidero infine proporre questa riflessione: è giunta l’ora di spogliarsi dei panni di Cenerentola del welfare italiano. La cronicità grave non deve essere curata in ospedale e non può essere curata a domicilio: richiede competenze specifiche, un’attenta considerazione dei costi non solo economici, una capacità di tenuta sotto il profilo sia organizzativo che gestionale. Le RSA rappresentano una risorsa insostituibile, di cui famiglie e società non possono fare a meno.

 

Allora smettiamola di autocommiserarci, facciamo un’analisi critica delle problematiche spesso eternamente rinviate (perché davvero improbabili da risolvere o anche perché pigramente accettate); proviamo a far sentire la nostra voce e uniamo gli sforzi per affermare quello che è un diritto previsto dalla Costituzione Italiana, che all’articolo 32 riconosce in modo preciso il valore della dignità e della salute delle persone, anche quelle anziane. Credo sia nell’interesse di tutti, anche nostro, nella speranza di diventare, un giorno, grandi anziani.

Note

  1. In Lombardia, il riconoscimento di una parte della retta a carico del Servizio Sanitario Regionale si avvale del sistema di classificazione tramite la scheda SOSIA (DGR 12618/2003). Gli ospiti sono ripartiti in 8 classi clinico-funzionali, definite in base a specifici indicatori (riguardo a mobilità, cognitività e comportamento, comorbilità) e correlate al sistema tariffario di remunerazione: la misura dell’importo riconosciuto da Regione Lombardia aumenta all’aumentare della gravità della situazione dell’ospite. La classe 1 corrisponde alle situazioni più compromesse (mobilità grave, cognitività e comportamento grave, comorbilità grave), la classe 8 a quelle meno compromesse (mobilità moderata, cognitività e comportamento moderata, comorbilità moderata); nelle classi intermedie esiste una diversa combinazione rispetto alle aree considerate.

Bibliografia

Perati G. (2018), Residenze sanitarie assistenziali: un mondo che cambia (piccola fotografia delle RSA di oggi e di domani secondo l’esperienza dell’autore), Maggioli.

Perati G., Maffini M.T., Arrigoni F., Ventura M.G., Bertoli A., Croce L., Perati I. (2020), Qualità della vita e qualità delle cure per persone anziane in ambito residenziale: la scala Sant’Omobono, in I luoghi della cura, n. 4.

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