3 Febbraio 2023 | Strumenti e approcci

Small gains per la gestione del rischio di malnutrizione e il miglioramento della qualità di vita delle persone anziane: un laboratorio di fotografia sociale in RSA

In questo articolo è presentata un’esperienza laboratoriale sul tema dell’alimentazione, cui hanno partecipato anziani, familiari e operatori di una RSA di Firenze; l’esperienza si colloca in un progetto più ampio di miglioramento della qualità di vita in alcune strutture dell’Azienda USL Toscana Centro. Le modifiche organizzative introdotte a seguito del laboratorio testimoniano i “piccoli guadagni” conseguibili tramite iniziative che coinvolgono i destinatari dei servizi e si basano sul lavoro di squadra.


Come documentato in letteratura, l’alimentazione è una componente fondamentale per il benessere e la salute in ogni fase della vita, ma lo è particolarmente in età anziana: l’alimentazione rappresenta uno dei principali fattori per mantenere lo stato di salute e un elevato grado di autosufficienza nel compimento delle attività di vita quotidiana; i cambiamenti biologici, psicologici, sociali ed economici correlati all’invecchiamento possono esporre a un’inadeguata alimentazione; la presenza contemporanea di più patologie croniche, frequente in età anziana, può causare malnutrizione.

 

 

Malnutrizione e assistenza nutrizionale

La malnutrizione per difetto è stata definita nel 2016 dalla Società Europea per la Nutrizione Clinica e il Metabolismo come uno stato derivante dalla ridotta assunzione o dal ridotto assorbimento di nutrienti, che porta a un’alterazione della composizione corporea, con conseguente penalizzazione delle funzioni fisiche e cognitive e con alterazione della prognosi da malattia (Ministero della Salute, 2020).

 

Il rischio di malnutrizione in età anziana è presente non solo per chi vive al domicilio, ma anche per chi vive in residenze quali le RSA: talvolta l’istituzionalizzazione delle persone anziane si associa a un deterioramento dello stato nutrizionale, poiché ancora oggi l’alimentazione non è considerata una priorità da molti operatori delle strutture socio-sanitarie.

 

Viceversa, un gruppo di lavoro internazionale (International Working Group for Patients’ Right to Nutritional Care) ha definito l’assistenza nutrizionale come un diritto umano, intrinsecamente legato al diritto al cibo e al diritto alla salute, sottolineando che tutte le persone hanno diritto a un’alimentazione appropriata e/o a una terapia nutrizionale basata sull’evidenza, comprese la nutrizione artificiale e l’idratazione. I pazienti malnutriti ricoverati dovrebbero quindi avere accesso obbligatoriamente a screening, diagnosi, valutazione nutrizionale, con interventi dietetico-nutrizionali ottimali e tempestivi: ciò al fine di contrastare morbilità e mortalità associate alla malnutrizione, riducendo al contempo i tassi di malnutrizione correlata a malattia (Cardenas, et al., 2021).

 

Nell’ambito del 44° congresso della Società Europea per la Nutrizione Clinica e il Metabolismo, tenutosi a Vienna nel settembre 2022, è stata sottoscritta la dichiarazione internazionale sul diritto umano all’assistenza nutrizionale (ASPEN, et al., 2022), sottolineando la necessità di assumere un impegno globale a livello politico-istituzionale, clinico e di ricerca, educativo e formativo, giuridico ed etico.

 

La dignità è il fattore universalmente riconosciuto come valore fondamentale dei diritti umani: anche attraverso l’appropriatezza dietetico-nutrizionale è possibile rispettare la dignità umana.

 

 

Qualità dei servizi e rispetto della persona

Oggigiorno, sempre di più le professioni che operano al servizio delle persone si trovano a svolgere il proprio mandato in una società in rapida trasformazione sul piano culturale, istituzionale, politico, economico; si trovano, quindi, a operare in una situazione sempre più complessa, nella quale diventa ancora più difficile mettere concretamente al centro la persona. La bussola che può far mantenere l’orientamento è senz’altro l’etica che regola il comportamento dei professionisti.

 

L’art. 1.4 della Carta etica delle professioni che operano al servizio delle persone riporta: “Diritto all’informazione significa che ogni essere umano ha diritto a essere rispettato in quanto persona, e quindi a manifestare il proprio pensiero e le proprie scelte, sulla base di un’informazione obiettiva e completa sui rischi, le possibilità, i percorsi e le condizioni di efficacia delle soluzioni proposte” (Fondazione Zancan, 2004). Vorremmo mettere l’accento proprio sul rispetto della persona, sul suo diritto di scelta, sul diritto di esprimere il proprio pensiero.

 

Ma cosa significa in concreto rispettare la persona? Significa metterla al centro degli interventi. A nostro parere, in particolare, significa osservarla, ascoltarla e soprattutto darle voce. Talvolta gli operatori tendono a mettersi al posto della persona, poiché si ritengono esperti (soprattutto con le persone anziane, fragili o con disturbi di tipo cognitivo), e ritengono di sapere cosa sia giusto e corretto per quella determinata persona.

 

A cosa, invece, può essere utile osservare, ascoltare e dar voce alle persone? Ciò consente di conoscere approfonditamente la loro storia, i loro desideri, le loro emozioni, i loro pensieri, la loro volontà, i loro bisogni e, soprattutto, permette di coinvolgerle attivamente nelle scelte che riguardano la loro persona…

 

È solo così che, a nostro parere, riusciremo a fornire un miglior servizio ai nostri utenti/pazienti e dunque a implementare la qualità dei nostri servizi.

 

 

Il progetto per migliorare la qualità di vita nelle RSA aziendali

L’azione che viene descritta in questo articolo fa parte di un progetto originariamente più ampio, avviato nel settembre 2019 e rivolto a 7 RSA: si tratta di RSA pubbliche, di proprietà dell’Azienda USL Toscana Centro, gestite tramite appalto a cooperative di servizi. Nel febbraio 2020 la pandemia da Covid 19 ha determinato l’interruzione del progetto, che si è quindi realizzato soltanto in 2 RSA delle 7 inizialmente previste.

 

L’obiettivo generale del progetto è stato quello di migliorare la qualità dei servizi offerti all’interno delle RSA aziendali, attraverso la creazione di specifici laboratori dove gli anziani, insieme agli operatori e anche ai familiari, hanno trovato il modo di arricchire la reciproca conoscenza, hanno potuto riflettere insieme su ciò che veniva realizzato all’interno della struttura, così da individuarne eventuali criticità e contemporaneamente indicare possibili azioni di cambiamento.

 

Le azioni di miglioramento hanno riguardato anche il servizio di ristorazione offerto agli ospiti delle RSA, considerato che la letteratura scientifica sottolinea da moltissimo tempo il valore dell’alimentazione nel mantenimento dello stato di salute e nella conservazione di un elevato grado di autosufficienza e di qualità della vita legata alla salute (HRQoL, Health-Related Quality of Life).

 

Il progetto si è articolato in tre distinti momenti:

 

– Nel primo sono stati organizzati dei laboratori in cui sono state utilizzate le tecniche dell’intervista biografica narrativa (Atkinson, 2002) e quelle della fotografia terapeutica (Weiser, 2013), con lo scopo di approfondire la conoscenza degli ospiti (non solo e non tanto dei loro bisogni di salute, quanto della loro vita passata e di quella attuale, delle loro emozioni e sentimenti).

Figura 1: laboratorio con tecniche di fotografia terapeutica

 

– Nel secondo sono stati organizzati dei laboratori a cui hanno partecipato sia operatori che ospiti, all’interno dei quali sono state utilizzate alcune tecniche di scrittura creativa, in particolare il metodo Caviardage® (Festa, 2019) associate a tecniche di foto-collage, con l’obiettivo di accrescere la conoscenza reciproca.

Figura 2: laboratorio con tecniche di scrittura creativa

 

– Nel terzo è stata utilizzata la tecnica del photovoice di C. Wange (Mastrilli, et al., 2013), con l’obiettivo di “dare voce” agli ospiti per poter capire quali erano gli aspetti che essi consideravano da migliorare all’interno della struttura e quindi successivamente attuare, insieme a loro, una rimodulazione organizzativa. In particolare, in una RSA dove abbiamo realizzato il progetto, l’azione si è andata a incentrare sul servizio di ristorazione, considerato dagli ospiti non perfettamente rispondente ai loro gusti. È stato proprio a partire dalle loro considerazioni che è stato adattato il programma alimentare, in funzione di una valorizzazione delle autonomie, e contemporaneamente sono state create le condizioni per stimolare processi di rimodulazione organizzativa.

Figura 3: laboratorio con tecnica di photovoice

 

Tutti i laboratori sono stati condotti da Beatrice Rovai (assistente sociale, psicologa, esperta in tecniche di fotografia terapeutica) e Marcella Giuggiola (assistente sociale), affiancate da alcuni operatori delle RSA (educatori professionali, animatori, arteterapeuti).

 

Il terzo laboratorio – che è quello che descriveremo diffusamente in questa sede – ha visto la partecipazione anche di 2 OSS e ha coinvolto 15 anziani e 4 familiari.

 

 

Il laboratorio di fotografia sociale alla RSA “Le civette” di Firenze

La tecnica del photovoice ha permesso di utilizzare la fotografia come modalità di espressione della visione degli ospiti della struttura. L’obiettivo era condividere la propria esperienza all’interno della RSA, così da collaborare per un cambiamento/miglioramento organizzativo.

 

Opportunamente adattata alle disabilità degli anziani ospiti, tale tecnica ha messo in evidenza, rappresentandoli attraverso la fotografia, gli aspetti che gli anziani consideravano positivi e che quindi avrebbero voluto mantenere, quelli che avrebbero voluto migliorare un poco e quelli che invece avrebbero voluto modificare. Gli anziani hanno avuto l’opportunità di esprimersi liberamente in merito ai propri vissuti all’interno della residenza, di condividerli con gli altri e, quindi, attraverso le immagini mostrare a tutti la loro visione sulla vita nella RSA.

 

Nella RSA “Le civette” il focus è stato il servizio di ristorazione, individuato dagli ospiti come quello in cui era necessario apportare delle modifiche/cambiamenti.

 

Come sappiamo, la forza delle immagini è superiore a quella delle parole. Il racconto fotografico scaturito dal laboratorio ha espresso in modo potente la voce degli anziani, stimolando un processo di cambiamento: gli esiti del racconto fotografico sono infatti stati utilizzati come occasione di riflessione tra gli operatori, per promuovere azioni di trasformazione organizzativa nell’ottica di miglioramento della qualità.

 

 

Il racconto fotografico

Il racconto fotografico ha messo in luce criticità e richieste specifiche degli ospiti. È stato pertanto utilizzato come occasione per operare, tutti insieme operatori e ospiti, una rivisitazione del servizio di ristorazione, oltre a una rimodulazione dell’organizzazione delle attività svolte durante i pasti.

 

Le fotografie sono state divise in tre ambiti, atti a rappresentare ciò che si voleva mantenere, ciò che si voleva modificare e ciò che si voleva cambiare, semplificandoli in “MI PIACE”, “NON MI PIACE” e “MI PIACEREBBE”.

Box 1 – Alcuni esempi dal racconto fotografico

Gli esiti del laboratorio di fotografia sociale

Da questo racconto fotografico sono emersi alcuni aspetti su cui era necessario impostare una riflessione:

 

  • L’importanza del momento del pasto. Dalle parole degli ospiti e dalle immagini è scaturito che il momento del pasto è considerato molto importante da tutti e diventa centrale nelle giornate delle persone con disturbi cognitivi.
  • L’importanza del rispetto dell’orario abitudinario del pasto. Come si evince dalle immagini raccolte, per gli anziani (anche per quelli affetti da demenza) questo è un aspetto da tenere in seria considerazione. Una signora affetta dal morbo di Alzheimer ha riferito, infatti, che: “cenare alle 18 d’estate significa farlo quando ancora il sole è alto in cielo”; un’altra che gli orari rispettavano più le esigenze degli operatori che le loro. Modulare, pertanto, l’orario dei pasti in base alle stagioni, ma soprattutto ai normali ritmi di vita, risulta fondamentale per l’orientamento temporale degli anziani, specie per coloro che sono affetti da disturbi cognitivi.
  • L’importanza di far scegliere quali cibi desiderano mangiare. È emerso molto chiaramente che è importante lasciare agli ospiti la scelta di quali cibi desiderano mangiare, rispettando le loro abitudini e le loro tradizioni; la richiesta degli ospiti era di poter scegliere cosa mangiare, soprattutto a merenda ma anche ai pasti principali. A merenda veniva di solito proposto lo yogurt e – per organizzazione della struttura – la scelta dei cibi per il pranzo e per la cena era di competenza infermieristica. Ciò che si è voluto modificare è stato soprattutto il modo con cui si sceglievano i cibi da parte degli infermieri, basato sul rispetto delle diete prescritte ma senza considerare le preferenze di gusto (a nostro parere di fondamentale importanza per contrastare il rischio di malnutrizione).
  • L’importanza di rispettare i tempi e i ritmi della persona. Si è evidenziato che devono essere rispettati i tempi di ciascun ospite, evitando che l’operatore si orienti alla mera conclusione dell’attività. Per esempio, è necessario evitare di imboccare una persona che possa mangiare da sola, seppur con qualche difficoltà o lentamente, o di “portarle via il piatto prima che abbia finito di mangiare”.
  • L’importanza di non sostituirsi alle persone nella somministrazione del pasto. È risultato evidente come l’assumere il pasto in autonomia debba essere incoraggiato e incentivato, anche attraverso strategie dietetico-nutrizionali innovative e flessibili (es. inserimento di alimenti finger food), per consentire anche alle persone con deficit cognitivi, comportamentali e funzionali di godere delle proprie funzionalità residue.
  • L’importanza di curare anche la presentazione delle pietanze e della tavola. Le riflessioni degli anziani ospiti hanno fatto emergere anche che, spesso, le pietanze che arrivano in tavola non hanno un aspetto invitante (nella RSA non è presente una cucina interna con un cuoco, i pasti arrivano dall’esterno e gli OSS provvedono allo sporzionamento); alcuni anziani hanno riferito che talvolta è questo il motivo per cui rifiutano il cibo. Inoltre, non deve essere trascurata la presentazione della tavola: aspetto quest’ultimo che, insieme alla presentazione delle pietanze, predispone a mangiare con gusto e ad avere appetito.

 

 

Le azioni intraprese per una migliore qualità di vita

Il racconto fotografico ha evidenziato una serie di criticità sulle quali la direzione della struttura, insieme agli operatori, agli stessi anziani, alle dietiste e ai responsabili del servizio ristorazione ha intrapreso un percorso di riflessione; questo ha portato a una serie di modifiche organizzative:

 

  • Rimodulazione del programma alimentare e degli orari dei pasti, soprattutto riguardo la merenda e la cena, rispettando le stagioni e i normali ritmi di vita. Un lavoro estremamente importante è stato fatto, insieme alla dietetica aziendale, nella rimodulazione del programma alimentare in accordo con l’azienda di ristorazione; attraverso attenti accorgimenti (per esempio inserimento della pizza come piatto unico, finger food appositamente preparati, inserimento di piatti della tradizione contadina toscana) abbiamo cercato di rendere più gradevole e più appetitoso il pasto.
  • Riorganizzazione di alcune attività di animazione, dando agli animatori/educatori il compito di seguire gli anziani nella scelta delle pietanze cercando, nei limiti delle patologie presenti, di rispettare i loro desideri ma anche cercando di mettere in atto strategie per stimolare il ricordo e la memoria delle loro scelte. È stata stimolata una riflessione sulle attività di animazione, affinché potessero andare oltre le consuete attività proposte per strutturarne di nuove che coinvolgessero gli ospiti sul tema dell’alimentazione (per esempio nel curare maggiormente l’apparecchiatura della tavola, creando insieme agli ospiti centro tavola o tovaglie ricamate).
  • Ripensamento delle attività assistenziali, affinché si curasse maggiormente la presentazione dei pasti anche durante le fasi dello sporzionamento; così come è stato ritenuto importante che ci fosse una maggiore attenzione da parte degli OSS al rispetto dei tempi di ciascun ospite, evitando di sostituirsi a loro nelle attività che possono svolgere in autonomia.
  • Riorganizzazione delle attività riabilitative, prevedendo la presenza del fisioterapista durante il pasto per favorire la riabilitazione degli ospiti anche nei movimenti delle mani, per esempio nell’uso delle posate.

 

 

Il lavoro di squadra

La letteratura scientifica ha ben evidenziato come la qualità e l’efficacia dell’assistenza e delle cure prestate in RSA risultino collegate sia alla qualità della relazione con gli anziani ospiti, sia alla qualità delle relazioni fra gli operatori: la disponibilità a lavorare insieme e la capacità di collaborare sono state assunte come elementi rappresentativi della professionalità di ogni operatore.

 

Il progetto ha messo in evidenza come sia fondamentale utilizzare un approccio multidisciplinare: ciò ha permesso di finalizzare tutti gli interventi verso l’obiettivo del miglioramento della vita degli anziani in struttura, contribuendo – come in questo caso – anche ad affrontare gli stati di malnutrizione e, conseguentemente, a stabilizzare il quadro clinico e il declino funzionale degli anziani e a ridurre il ricorso improprio ai servizi sanitari (ricoveri ospedalieri evitabili).

 

Crediamo, infatti, che nessuna professione possa lavorare efficacemente da sola, ma che al contrario debba costantemente integrarsi con le altre professioni, sia per rispettare il valore dell’unicità della persona, sia per rendere efficaci, sul piano metodologico e pratico, i propri interventi.

 

Il progetto ha inoltre consentito di creare un nuovo modo per monitorare e migliorare la qualità del servizio offerto, dato che ha coinvolto dipendenti dell’Azienda USL (assistente sociale, dietiste) e dipendenti delle cooperative che lavorano direttamente all’interno delle RSA. In questa situazione l’assistente sociale svolge il ruolo di direttore dell’esecuzione del contratto, esercitando il controllo sul rispetto del contratto in essere fra l’Azienda USL Toscana Centro e la cooperativa che gestisce la RSA; il dietista svolge il ruolo di direttore dell’esecuzione del contratto sul servizio mensa.

 

La collaborazione fra figure professionali diverse, con ruoli istituzionali e responsabilità differenti ma obiettivi convergenti, ha rappresentato un’occasione significativa per migliorare la qualità dell’assistenza e, quindi, la qualità di vita delle persone anziane ospiti delle RSA coinvolte nel progetto.

 

 

Conclusioni

In conclusione vogliamo evidenziare come gli anziani siano sempre stati presenti e molto partecipi a tutte le attività proposte nell’ambito di questo progetto, proprio perché liberi di esprimere il proprio punto di vista sulla vita in RSA, sentendosi protagonisti e, soprattutto, ascoltati e rispettati.

 

È stato, inoltre, un lavoro molto utile anche per gli operatori, che hanno trovato uno spazio per riflettere sulle attività di routine e poter così modificare comportamenti e modalità operative che rischiavano ogni giorno di più di diventare gesti automatici e irriflessivi.

 

Un progetto, questo, voluto e pensato dal Dipartimento del Servizio Sociale della Azienda USL Toscana Centro, in collaborazione con il Dipartimento delle Professioni Tecnico Sanitarie che – nell’ottica del miglioramento della qualità dei servizi offerti – hanno voluto mettere al centro del proprio agire la persona: ciò in accordo con quanto indicato dall’art. 8 del Codice deontologico dell’assistente sociale (Consiglio Nazionale Ordine assistenti sociali, 2020) e dall’art. 5 della Costituzione etica (Federazione nazionale degli Ordini dei Tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, 2021), per i dietisti.

 

È, infatti, compito di ogni professionista promuovere opportunità per il miglioramento delle condizioni di vita delle persone, riconoscendole come soggetti capaci di autodeterminarsi e agire attivamente, valorizzandone l’autonomia e la soggettività, anche quando le capacità appaiono ridotte.

Bibliografia

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Weiser J. (2013), FotoTerapia. Tecniche e strumenti per la clinica e gli interventi sul campo, Franco Angeli.

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