1 Gennaio 2004 | Residenzialità

Tramonto o crisi di crescita delle RSA di grandi dimensioni? Considerazioni in margine ad una ricerca nella Provincia di Milano.


La situazione

Quasi metà delle RSA italiane sono ubicate in Lombardia e quasi 20.000 dei 50.000 posti letto presenti in questa Regione sono situati in strutture di dimensioni uguali o superiori ai 120 posti letto (indicati come ‘ottimali’ dai piani nazionali e regionali).

 

Quale ruolo svolgono queste grandi strutture? Quali sono le loro caratteristiche attuali e le loro prospettive? Alcune indicazioni possono essere suggerite dai dati di una recente ricerca condotta per la Provincia di Milano sulle RSA presenti nel territorio1. In questa provincia vi sono circa 100 strutture nelle quali sono ricoverati poco più di 11.000 anziani2; le realtà molto grandi, con oltre 300 posti-letto, sono solo 7, ma ricoverano quasi 2.900 anziani, pari ad oltre un quarto del totale.

 

Esistono consistenti differenze a seconda del tipo di gestione: le strutture superiori ai 120 posti letto sono il 43% delle strutture pubbliche ed il 27,5% di quelle private. In particolare, si nota (tab.1) che gli enti religiosi sono tendenzialmente di piccole o medie dimensioni (il 47,4% ha meno di 60 posti, il 42,1% tra 60 e 120), mentre le strutture gestite da IPAB, da comuni o fondazioni sono di dimensioni consistenti (ha almeno 120 posti rispettivamente il 37%, il 40% e il 33,3%). Le strutture gestite da cooperative o da società commerciali appartengono, nella stragrande maggioranza dei casi, alla tipologia intermedia.

Posti letto nella RSA
Tabella 1 – Posti letto autorizzati a seconda della natura giuridica della struttura

Quasi tutte le strutture più grandi sono pubbliche, per lo più IPAB; tali strutture, testimoni di un passato di solidarietà civile e di impegno verso i più deboli, vivono oggi una crisi di identità e di appartenenza da parte dei loro operatori, sia difficoltà economiche. Attraverso l’esame di un campione significativo, come le RSA della Provincia di Milano, si possono confrontare alcuni parametri di funzionamento fra le grandi (maggiori di 120 posti letto) e le piccole strutture.

 

Diversi gli elementi che si possono considerare:

  • Le condizioni di dipendenza dei ricoverati
  • La presenza di personale qualificato
  • L’importo delle rette e il ruolo del sostegno pubblico
  • La situazione del personale
  • Il turn-over dei ricoverati
  • Le dimensioni delle liste di attesa
  • Livelli di autosufficienza degli ospiti e presenza di personale sanitario e assistenziale

 

Le strutture maggiori hanno un’utenza caratterizzata da maggiore disabilità: i non autosufficienti totali passano infatti dal 54.4% delle strutture più piccole, al 65.4% di quelle intermedie, all’85% circa di quelle di maggiori dimensioni.

 

Livelli di autosufficienza degli ospiti e presenza di personale sanitario e assistenziale

Le strutture maggiori hanno un’utenza caratterizzata da maggiore disabilità: i non autosufficienti totali passano infatti dal 54.4% delle strutture più piccole, al 65.4% di quelle intermedie, all’85% circa di quelle di maggiori dimensioni.

Tabella 2 – Percentuale media di non autosufficienti totali (NAT) e di non autosufficienti parziali (NAP) a seconda delle dimensioni della struttura

In secondo luogo si rileva che le strutture di ricovero più grandi investono maggiormente nel personale, sia per quanto riguarda gli ausiliari sia, soprattutto, per quanto riguarda i medici. Passando dalle strutture più piccole a quelle più grandi il personale ausiliario sale infatti da 33 a 42 ogni 100 ospiti, le ore settimanali effettuate da medici da 52 a 70 ogni 100 ospiti. Certo, la maggior presenza di medici e personale ausiliario nelle strutture più grandi è in larga misura riconducibile alla maggior incidenza di non autosufficienti; tuttavia si può rilevare che permangono differenze significative anche a parità di tipologie di utenti. Per gli infermieri, al contrario, il numero diminuisce, di poco nelle strutture più grandi, passando da 9.9 a 7.9 ogni 100 ospiti.

 

Tale andamento può essere ricondotto a due fattori. Il primo è che nelle strutture più piccole, spesso gestite da enti religiosi, vi è una consistente presenza di suore infermiere che mancano invece nelle strutture più grandi: basti citare che la presenza di personale religioso addetto all’assistenza sanitaria ai ricoverati riguarda quasi il 50% delle strutture con meno di 60 posti, a fronte del 20% per le strutture intermedie e a poco più del 10% per le strutture più grandi. Il secondo elemento che spiega la non correlazione tra dimensioni della struttura e numero degli infermieri può essere determinato dal fatto che nelle strutture più piccole tali figure assolvono alcuni compiti gestionali sanitari, sopperendo alla minor presenza di personale medico.

Tabella 3 – Numero di personale ausiliario, di infermieri e di ore settimanali prestate da medici ogni 100 residenti, a seconda delle dimensioni della struttura

La maggiore presenza nelle strutture maggiori di non autosufficienti da un lato e di personale sanitario dall’altro sembra tradursi, in rette più consistenti a carico dell’anziano e dei suoi familiari. A questo riguardo è infatti importante sottolineare che la quota che le RSA addebitano per la parte alberghiera/sociale è oggi quasi interamente pagata dalle famiglie o dagli interessati, mentre l’intervento comunale è sempre più marginale e presente quasi solo nelle RSA più grandi: tra le strutture più piccole la quota di ricoverati che non ricevono alcun sostegno pubblico supera l’80%, tra le strutture più grandi tale quota riguarda poco più della metà degli utenti.

Quota alberghiera nelle RSA
Tabella 4 – Percentuale media di ospiti che pagano per intero la quota “alberghiera”

Importo delle rette, turn-over e liste di attesa

In effetti, se analizziamo l’importo delle rette a seconda delle dimensioni delle strutture e del tipo di gestione, risulta che esso dipende molto dal tipo di gestione –sistematicamente le strutture private sono più costose di quelle pubbliche-, ma anche dalle loro dimensioni. Più correttamente, la differenza a seconda delle dimensioni della struttura è relativamente contenuta nelle strutture pubbliche, decisamente consistente in quelle private (nelle prime le strutture più grandi hanno, un costo medio maggiore del 20%, nelle seconde il costo praticamente raddoppia).

 

Importi medi delle rette nelle RSA
Tabella 5 – Importi “medi” delle rette per “Non autosufficienti totali” e per “Non autosufficienti parziali” a seconda della gestione e del numero dei posti letto (lire)

Che cosa giustifica questa disparità della retta a seconda del numero di posti letto e, in particolare, l’accentuazione di tale differenza nelle strutture private?

Dato che tale disparità non è riconducibile alla maggior presenza in tali strutture di non autosufficienti (in quanto abbiamo considerato gli importi medi a seconda della tipologia dell’utenza) ne deriva che essa può essere motivata dalla quantità delle risorse impiegate per dare risposta ai bisogni degli utenti, come testimonia la maggior presenza, nelle strutture maggiori, di équipe professionali. Tuttavia, sembra difficile ricondurre le differenze delle rette solo ad una maggior presenza di personale medico e ausiliario: i dati suggeriscono quindi che le strutture più grandi non solo non riescono ad attivare economie di scala in altri settori -ovvero nelle spese generali-, ma che anzi, soffrano di maggiori costi accessori.

 

Diverse le motivazioni che possono essere alla base di tali costi accessori: si può ipotizzare da un lato che le strutture maggiori abbiano maggior costi amministrativi-gestionali determinati proprio dalle loro dimensioni e, dall’altro, che, oltre a non disporre di personale religioso, possono meno facilmente far ricorso a contratti atipici e, in generale, a forme di assunzione non garantita. I dati della ricerca non consentono di entrare nel merito delle diverse ipotesi che abbiamo abbozzato o di formularne altre: ci preme però sottolinearlo, in quanto da un lato non è possibile ricondurre la disparità di costi a ‘inefficienze’ tradizionalmente attribuite al settore pubblico – dato che l’effetto della dimensione è accentuato proprio nelle strutture private (IRER 1999); dall’altro questi aspetti risultano di grande rilevanza per i decisori pubblici e privati.

 

Se il maggior importo delle rette delle strutture maggiori può essere riconducibile anche alla maggior presenza di personale sanitario, esso sembra avere ricadute problematiche sul turn-over degli ospiti e sulle liste di attesa. In sintesi, si evidenzia che le strutture più grandi hanno sia minori liste e tempi di attesa, sia un maggior turn-over determinato da trasferimenti degli ospiti verso altre strutture – o verso il domicilio. Per quanto riguarda il primo punto, si può citare che il numero di persone in lista di attesa è pari mediamente al 156% dei posti letto nelle strutture più piccole, ma scende al 70% circa di quelle intermedie e al 30% in quelle più grandi; ne deriva che mentre la metà delle strutture più piccole ha tempi medi di attesa superiori agli 8 mesi, tutte le strutture più grandi hanno tempi minori, spesso inferiori ai 3-4 mesi. Per quanto riguarda il secondo aspetto si rileva che l’incidenza dei trasferimenti sul totale delle dimissioni passa mediamente dal 12% per le strutture più piccole, al 25% per quelle intermedie, al 35% per quelle più grandi.

 

Certo, il ruolo giocato dall’importo della retta è ancora più rilevante della dimensione – nelle strutture meno costose sono assai minori sia i tempi di attesa, sia il turn-over dovuto a trasferimenti (per quanto riguarda questo secondo aspetto si passa infatti dall’11% di quelle meno costose, al 19% di quelle medie, al 47% di quelle più costose); rimane tuttavia un ruolo specifico giocato dalla dimensione della struttura: ad esempio nei casi di retta inferiore alle 90.000 lire al giorno, i trasferimenti sul totale delle dimissioni salgono dal 14.5% per le strutture più piccole, al 35.6% per quelle più grandi; nei casi di retta superiore alle 110.000 lire, si passa invece dal 20% al 50%.

 

Il risultato di questi andamenti è che vi è una miglior disponibilità di ricovero in tempi brevi presso le strutture più costose e più grandi, che così possono venir scelte non in via definitiva ma come soluzione ‘tampone’ perché immediata, in attesa di una soluzione migliore: il ritorno dell’anziano al domicilio con assistenza a pagamento, facendo ampio ricorso al mercato dei lavoratori extracomunitari, oppure l’ingresso in una struttura meno costosa e più piccola (Gori, 2002). A sua volta, questa propensione per le residenze più piccole potrebbe essere dovuta sia ad una loro migliore distribuzione sul territorio (e quindi alla vicinanza con i familiari) sia ad una percezione complessivamente migliore, determinata da un ambiente piccolo e vissuto come più ‘familiare’ e più controllabile (Morsicano, 2002). Tuttavia la funzione di ricovero ‘tampone’ e l’aumento del turn-over contribuiscono, ad un aumento dei costi, creando così un circolo vizioso negativo per le RSA più grandi.

 

Conclusioni

Da queste brevi note emerge un quadro senza dubbio problematico per le RSA più grandi: esse sono meglio dotate sul piano assistenziale, ma più costose; hanno una miglior capacità di offrire soluzioni in tempi brevi, tuttavia a causa del maggior costo hanno un elevato turnover. Ne consegue che in queste RSA, con un ruolo di supporto di ‘urgenza’, si ritrovano persone che necessitano di valutazioni accurate con un alto tasso di instabilità clinica, e con meno affezione da parte della famiglia verso il luogo di accoglienza: il risultato è una moltiplicazione di problemi di ‘presa in carico ’ e di costi gestionali. Quali possono essere le strategie possibili?

 

Da un lato si potrebbe riconoscere il maggior costo legato al turn over (ad esempio con una tariffa maggiorata specie per la parte sanitaria nei primi tre mesi di degenza in RSA), dall’altro affinare i sistemi di valutazione dell’instabilità clinica, ancora oggi identificata solo con la comorbosità, ma in realtà più complessa. Di certo, va compreso quanto ‘strutturale’ sia in realtà questo processo, cioè legato ai profondi cambiamenti in atto tra gli anziani: sia per quanto riguarda le condizioni socio-economiche (Facchini, 2001), che il quadro psico-fisico (Guaita, 2001), cambiamenti non destinati a modificarsi in tempi brevi.

 

E’ difficile pensare che il futuro delle grandi RSA consenta una loro ulteriore espansione; al contrario occorrerà valorizzare le capacità di assistenza per i gruppi più difficili, quali i malati di Alzheimer, le altre demenze con disturbi comportamentali, gli stati vegetativi, altre malattie neurologiche degenerative in fase medio grave: ‘specializzando’ le aree si daranno risposte qualitativamente efficaci (Guaita, 2000). Soprattutto, occorrerà riconsiderare la RSA come una risorsa per tutta la rete dei servizi geriatrici (Taccani, Tramma, Barbieri Dotti, 1997), sviluppando esperienze di attuazione di servizi domiciliari, così come di ‘accoglienza veloce ’ dall’ospedale o dall’Istituto di Riabilitazione. I dati non danno insomma sostegno a mentalità del passato che legavano il prestigio di un’istituzione al numero di posti letto che poteva offrire; al contrario, saranno sempre più la differenziazione e la qualità dei servizi esistenti che faranno la differenza (Colombo, 1995), mentre la quantità dei posti letto sembra giocare a sfavore.

Note

  1. L’indagine, condotta nel 2001 e 2002, fa parte di una ricerca più complessiva sui servizi domiciliari e residenziali rivolti alla popolazione anziana nella Provincia di Milano; cfr. C.Facchini, Anziani e rete dei servizi. La residenzialità. Provincia di Milano, 2003.
  2. Pari all’ 1,7 % della popolazione ultrasessantacinquenne residente.

Bibliografia

Le IPAB nel sistema integrato dei servizi, Numero monografico, Prospettive sociali e sanitarie, vol. 32, n. 18, 2002, pag. 1-25
Colombo M., Empowerment nei servizi residenziali per anziani non autosufficienti Animazione Sociale, n. 5, 1995
Facchini C. (a cura di), Anziani: pluralità e mutamento, FrancoAngeli, Milano, 2001
Gori C. (a cura di), Il Welfare nascosto, Carrocci, Roma, 2002
Guaita A. Nuovi bisogni del processo assistenziale geriatrico G Gerontol 2001; 49:777-781
Guaita A. I “Nuclei speciali di cura “per i malati di Alzheimer ed altre demenze: indicatori di qualità dell’intervento G Gerontol 2000; 48: 42 –47, 2000
IRER, Residenze sanitarie assistenziali per anziani: analisi della qualità delle prestazioni, individuazione dei costi standard e analisi economico finanziaria , 1999. ( http// : www.irer.it )
Marsicano S. (a cura di), Abitare la cura. Riflessioni sull’architettura istituzionale, FrancoAngeli, Milano, 2002
Taccani P., Tramma S., Barbieri Dotti A., Gli anziani nelle strutture residenziali, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1997

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