Oggi, nei servizi socio sanitari rivolti alla persona, la Qualità non è più intesa solo come la misurazione dei processi e dei risultati; il contesto assistenziale, professionale, tecnologico, organizzativo e gestionale ne fornisce i presupposti, ma fondamentali sono l’attitudine e la tipologia comportamentale degli operatori.
Il personale utilizzato nelle attività assistenziali dirette alla persona costituisce mediamente il 70-75% della forza-lavoro impiegata e assorbe il 70% delle risorse economiche. Esso è soggetto a forte usura psicofisica. L’operatore socio sanitario dei servizi alla persona (nei diversi nomi con cui è identificato) è la figura sulla quale ricadono tutte le attività di assistenza diretta all’ospite (anziano, disabile) e al suo ambiente di vita, in ambito sociale e sanitario, svolgendo le sue attività in collaborazione con gli altri operatori preposti all’assistenza sanitaria e a quella sociale, secondo il criterio del lavoro multiprofessionale. Un operatore poliedrico, capace non solo di adattarsi a contesti e bisogni diversi, ma anche in grado di sfruttare in modo dinamico risorse nuove sia di contenuti che di collaborazione. Una figura evoluta e determinante nel sistema assistenziale, dopo un processo storico che ha assunto, su questa professione, contorni e significati diversi e punta, adesso, alla qualificazione, affiancandola, con competenze diverse ma pari dignità, alle altre consolidate presenze quali quelle dell’infermiere, del fisioterapista, dell’educatore, dell’assistente sociale. Tutti devono essere in grado di interagire tra loro, in relazione agli obiettivi della progettazione assistenziale ed in una logica di qualità multidimensionale, sia percepita che offerta.
Il clima relazionale e organizzativo
Per provocare la spinta che può successivamente far germogliare una cultura alla qualità,1 è determinante l’ambiente istituzionale: il contenitore, la struttura, la cornice entro la quale ci sono le persone, le regole, i protocolli, in altre parole l’organizzazione. Ogni singolo operatore viene condizionato dall’ambiente lavorativo e a sua volta influisce sull’assetto organizzativo. Ogni realtà ha seguito un suo percorso e ha vissuto la propria vita organizzativa, ha quindi una sua identità che influenza qualsiasi proposta di cambiamento: “L’organizzazione non è un mero strumento o un mero fatto, ma ha la capacità di cognizione, rappresentazione e comunicazione complesse e con una forte componente espressiva: tratta informazioni, crea simboli e storie, interessi e trasmette una visione del mondo. L’organizzazione, in sostanza, si concretizza in processi intersoggettivi di attribuzione di significati”2.
I centri di servizi3 sono realtà specifiche, che pur diversificandosi tra loro, sono caratterizzati dal fatto di rappresentarsi in un ambiente organizzativo entro il quale si sviluppano le azioni (le attività assistenziali) che definiscono anche il clima relazionale che si instaura tra le persone che vi operano4.
L’ambiente organizzativo di un centro di servizi, dal punto di vista relazionale, può essere caratterizzato da alcuni elementi:
- le finalità sono l’insieme delle competenze, degli obiettivi e dei servizi da erogare;
- la struttura organizzativa, che definisce i ruoli e le funzioni delle persone che la compongono, nonché i legami istituzionali che caratterizzano le funzioni “politica”, che si assume la responsabilità delle decisioni di indirizzo dell’ente e quella “tecnica”, che rende operative le decisioni;
- i sistemi operativi, che rappresentano il modo in cui funziona l’organizzazione e che quindi permettono che le diverse parti possano connettersi e mantenersi in equilibrio (sistemi di controllo e di programmazione con tutte le procedure, sistemi informativi e di gestione del personale);
- la tecnologia, che comprende sia le strumentazioni tecniche ma anche le conoscenze professionali dei singoli operatori.
L’interazione degli elementi sopradescritti fa emergere la dimensione processuale, intersoggettiva e creativa dell’organizzazione che quindi apprende il proprio modo di essere, i valori e i significati dalla quotidianità delle persone che lavorano al suo interno. La cultura organizzativa pertanto, è costruita e legittimata dalle persone che la definiscono e, in quanto tale, può essere modificata.
Il secondo aspetto che definisce le caratteristiche di un centro di servizi è il clima organizzativo: banalmente, è l’aria che si respira all’interno dell’ente, è “il rapporto che si crea tra le persone e la loro organizzazione”.5 Si formano quindi delle relazioni che si posizionano su due livelli differenti: le relazioni tra colleghi e la relazione con l’ente. L’aspetto principale che si pone alla base dell’interazione è la comunicazione, il modo in cui vengono trasmesse le informazioni definisce il tipo di relazione, quali informazioni vengono veicolate contribuisce a creare le fondamenta della cultura che si vuole trasmettere. In ogni organizzazione quindi, si determina uno specifico clima organizzativo che inevitabilmente influisce sull’orientamento operativo dei servizi, sulla sua capacità di creare identità e di riconoscere i valori.
La gestione e l’organizzazione del personale a livello aziendale hanno subito, negli ultimi decenni, un percorso evolutivo dalla c.d. “amministrazione” del personale, attraverso lo sviluppo delle risorse umane, per arrivare alla valorizzazione delle persone. Fra i modelli organizzativi più significativi oggi disponibili va ricordato il “modello delle competenze” il quale pone il suo assunto nel fatto che ogni persona possieda delle competenze che grazie ad una corretta integrazione ed interazione con l’ambiente lavorativo possono trasformarsi in risultati positivi sia per la persona che per l’azienda, arrivando allo stadio di sviluppo e gestione delle risorse umane. Nell’attuale società della conoscenza il capitale di know-how di cui le organizzazioni dispongono costituisce un elemento fondamentale per garantirne l’efficienza e la competitività; in particolare, in un contesto di risorse economiche scarse, la corretta gestione delle risorse umane riveste un ruolo determinante. Un ente gestore di servizi alla persona, come qualunque tipo d’organizzazione, deve assicurare particolare attenzione alla cura del capitale umano. Le risorse umane sono strategiche: valorizzare le persone in sistemi basati sul lavoro di squadra, diffonde lo spirito di responsabilizzazione e lo stile di cooperazione anche con l’esterno. Risorse strategiche sono, altresì, le competenze: occorre riconoscere e sviluppare quelle più significative per lo sviluppo di ogni organizzazione. Ogni organizzazione presenta caratteristiche differenti connesse al proprio contesto e al proprio ambito di azione. Le competenze distintive rappresentano le risorse chiave per la singola organizzazione, quelle che le consentono di differenziarsi e divenire competitiva rispetto alle altre; sono punti di forza specifici di un’organizzazione difficilmente trasferibili o replicabili in contesti diversi. Esse sono rintracciabili nella conoscenza tacita che i membri di un’organizzazione sviluppano attraverso le proprie pratiche di lavoro. Esse non consistono semplicemente nell’insieme di risorse esistenti, ma, spesso rappresentano un vero e proprio potenziale di risorse ancora inespresse.
Il management dell’organizzazione e la qualità del servizio
La gestione delle risorse umane (in generale e maggiormente nei servizi alla persona) richiede delle specifiche competenze manageriali. Abilità necessarie per gestire, valorizzare e sviluppare risorse, sistemi di conoscenze e capitale umano, per sé stessi e per l’intera organizzazione. Saper fare leva sulle competenze, saper valorizzare e gestire l’archivio di conoscenze implementando sistemi di knowledge management, saper (far) condividere la conoscenza. Nelle organizzazioni a carattere socio sanitario il manager deve riuscire a proporsi un modello di relazione in grado di coniugare vicendevolmente più aspetti: comprendere le esigenze proprie e altrui, comunicare in modo efficace ed efficiente, affrontare i problemi in maniera tale da riuscire ad ottenere la collaborazione leale dei propri interlocutori: attraverso autorevolezza ed assertività. Stili che si connotano come competenze sociali in grado di sviluppare, in ogni ruolo coinvolto, la capacità di produrre dei comportamenti e delle risposte professionali efficaci ed efficienti. È un orientamento relazionale contemporaneamente mirato al raggiungimento degli obiettivi funzionali di ciascuno e al contenimento degli stati d’ansia, dei sensi di colpa e dello stress lavorativo. Utile quando si tratta di gestire produttivamente le discussioni, lavorare e far lavorare in maniera collaborativa, affrontare i problemi in modo realistico ed equilibrato, ottenere e manifestare il rispetto degli altri, sviluppare la propria e l’altrui fiducia in sé stessi, integrare il proprio apporto professionale con quello di tutte le persone che compongono il medesimo gruppo di lavoro, elevare il livello qualitativo del servizio, all’interno della propria organizzazione.
Le organizzazioni sono realtà formate dalle persone che le vivono, da ciò deriva che la qualità può essere realizzata solo se gli attori la riconoscono come obiettivo da raggiungere. Nello sviluppo di un’ottica di qualità un ruolo determinante è occupato dal management dell’organizzazione: la direzione e tutti i collaboratori che costituiscono la squadra organizzativa e decisionale. La volontà di innescare una reazione qualitativa e migliorativa deve necessariamente essere patrimonio della dirigenza che, oltre a farla propria, deve innestarla nei diretti collaboratori che a loro volta devono ampliarla al gruppo operativo fino all’ultimo operatore in servizio. Si è detto che è un processo culturale, perciò è lento, in evoluzione perché richiede continui aggiustamenti ed è faticoso. Non si tratta di trovare un processo o una regola e applicarli in tutti i settori ma di una scelta organizzativa peculiare e per questo necessita di una figura manageriale particolare.
Il manager è colui che ha interiorizzato il metodo, gli obiettivi e l’efficacia e quindi si assume la responsabilità di traghettare il gruppo verso un modo nuovo di concepire l’organizzazione, l’assistenza, i residenti e i loro familiari. Vale la pena di precisare che il ruolo che viene richiesto attualmente alla funzione del dirigente, nella realtà dei servizi alla persona, è complessa e delicata allo stesso tempo, è una figura che per prima risulta sollecitata a definire le modalità e le competenze alla base del cambiamento organizzativo.
Viene meno l’immagine (che richiamava ad uno stile gerarchico o burocratico) del dirigente che imponeva la propria direttiva e a cascata gli altri eseguivano. L’idea è più quella di un dirigente che si carica il fardello della progettualità della gestione, che condivide con il gruppo i tempi e i modi per raggiungere gli obiettivi e soprattutto che, nella realizzazione del modello, abbia la possibilità di un ritorno di know how dal basso verso l’alto, una sorta di influenzamento, di contagio reciproco di esperienze e di miglioramento.
Si può quindi definire che l’importanza di una buona gestione va accompagnata da uno sviluppo di leadership, i due aspetti devono trovare un giusto equilibrio in un contesto di Governance sociale/globale orientata alla qualità: va accettato che una buona gestione economico-finanziaria si coniughi con il riconoscimento del valore del capitale umano.
Il direttore-manager, quindi, è la guida che orienta l’attività al conseguimento degli obiettivi dell’organizzazione, attraverso un efficace ed efficiente impiego delle risorse. Il controllo di gestione non deve essere ridotto ad una mera procedura contabile ma va considerato come un processo direzionale che si estende a tutti gli aspetti dell’attività, che influenza il lavoro della dirigenza e permette di perseguire in modo razionale alle decisioni aziendali, allo stesso modo però il manager – leader deve essere il punto di riferimento positivo del personale. Il passaggio dalla gestione puramente strategica alla funzione di leadership può passare attraverso lo sviluppo delle risorse umane. Il capitale umano, se riconosciuto nelle sue potenzialità e valorizzato, può divenire un punto di forza nello sviluppo di nuove culture organizzative.
Sostenere i professionisti della cura
Lavorare con figure professionali “ricche e complesse” comporta anche la necessità di gestirne le possibili fragilità. Lavorare con l’”umano” è sempre coinvolgente e in un certo senso logorante, occuparsi degli altri obbliga a mettersi in gioco continuamente. Come è noto, il termine burn-out si riferisce a disturbi che colpiscono prevalentemente le professioni di aiuto. È caratterizzato da esaurimento emozionale, mancata realizzazione professionale, assunzione di atteggiamenti cinici e spersonalizzanti, scoraggiamento e frustrazione, tendenza ad ammalarsi. Un altro tra gli aspetti negativi è il controtransfert, un processo inconscio che riguarda l’insorgenza di conflitti e problemi irrisolti da parte del “professionista dell’aiuto”, correlati con le emozioni negative che possono pervenire dal contatto con aspetti o particolari della relazione con la persona curata e che in qualche modo richiamano fatti o problemi appartenenti alla nostra vita. Riconoscere ed aiutare a identificare le emozioni di questo tipo permette di raggiungere una migliore comprensione e considerazione dei processi propri d’ogni persona e famiglia. I percorsi di sostegno nell’eventuale disagio, supporto, accompagnamento e sviluppo dell’operatore socio sanitario, ritenuto una risorsa centrale nell’organizzazione dei servizi alla persona, passano sia attraverso modelli veri e propri quali il lavoro di gruppo e per progetti, con idonei strumenti e luoghi di incontro e confronto (equipe, riunioni, colloqui con figure di riferimento), sia attraverso sistemi premianti (facili da proporre dove vengono costantemente previste la valutazione e l’attenzione al risultato), economicamente o con altri vantaggi. Con modalità più specifiche e all’interno di problematiche o situazioni particolari (disagio ma anche inserimento lavorativo e tirocinio) si prevedono soluzioni di supporto a coppia, tra operatori dello stesso livello o meno (mentoring, coaching, ecc.). Ma la risposta principale alle problematicità e lacune professionali, nonché alla necessità di una continua riqualificazione e rimotivazione dell’operatore d’assistenza è data dai piani di formazione ed aggiornamento permanenti, centrati sull’operatore e/o sul gruppo professionale, attraverso il continuo monitoraggio dei bisogni formativi, espressi ed inespressi e la sistematica valutazione delle risorse umane.
I percorsi che possono essere seguiti mediante la formazione vanno dal trasferire la cultura della qualità totale (caratterizzata dal miglioramento continuo delle attività e sulla valenza deontologica del proprio impegno) all’arricchire ed allargare le conoscenze e le abilità professionali, al prevenire il burn-out. Per raggiungere tali obiettivi è necessario elaborare piani pluriennali di formazione, assegnandola a formatori ed organizzazioni in grado di attuarla in modo soddisfacente e verificabile. La formazione costituisce, infatti, un punto nodale ed un passaggio essenziale ed indispensabile per permettere agli operatori di acquisire, rivedere, riconfermare, motivazioni ed attitudini personali, necessarie conoscenze e capacità relazionali e tecnico operative. Attraverso le modalità della condivisione e supervisione delle esperienze dei partecipanti, i percorsi formativi puntano a favorire una costruttiva riflessione sul proprio ruolo, in particolare si cerca di lavorare sulla definizione dei confini tra i problemi del servizio e quelli degli operatori, sull’identificazione dei bisogni, sull’analisi delle dinamiche organizzative ed istituzionali, sul confronto con le problematiche che presentano le persone seguite. Il tutto è finalizzato al mantenimento delle abilità degli operatori, che sostanzialmente si possono riassumere nel:
- saper programmare il proprio lavoro attraverso l’identificazione dei passi necessari per raggiungere gli obiettivi fissati unicamente al gruppo di lavoro interno e saperlo verificare;
- saper instaurare un rapporto empaticamente qualificante con le persone, accordando ad esse il massimo di rispetto ed attenzione;
- saper implementare progettualità e programmi, a condizione di aver instaurato un rapporto genuino e profondo con le persone;
- saper rispondere efficacemente alle eventuali crisi di disagio, isolamento, ecc. che le persone presentano;
- saper orientare le persone in cura verso una crescente padronanza delle regole sociali che governano i rapporti interpersonali nella comunità ed una sempre più soddisfacente espressione dei propri sentimenti ed affetti.
Cinque sono gli obiettivi, universalmente riconosciuti, che vanno considerati come prioritari nella professionalità dell’operatore socio sanitario e devono quindi essere sostenuti con un processo di formazione permanente:
- l’abilità di riconoscere le emozioni (ansia, timore, irritazione, gioia, commozione…) per giungere all’autonomia emotiva, cioè percepire le emozioni come un arricchimento della situazione e non come un fatto negativo legato alla presenza di altre persone, che generi imbarazzo e disagio per il timore di essere giudicati. Lo stato emozionale è alimentato da un eccesso di consapevolezza, quando cioè si richiama l’attenzione più sul come si fa qualcosa piuttosto che sul cosa si sta facendo;
- la capacità di comunicare emozioni e sentimenti puntando alla libertà espressiva, cioè al padroneggiamento delle reazioni emotive;
- la consapevolezza dei diritti della persona, per puntare al rispetto di sé e degli altri e valorizzare il principio della reciprocità (valutare i propri diritti in funzione di quelli altrui);
- la disponibilità ad apprezzare sé stessi e gli altri, puntando all’autostima, alla capacità di valorizzare gli aspetti positivi dell’esperienza, con una visione funzionale e costruttiva del proprio ruolo sociale;
- la capacità di autorealizzarsi, puntando ad un’immagine positiva di sé, con capacità di autocontrollo, di intervento sulle situazioni e di soluzione dei problemi.
Secondo l’Ansdipp6, il manager socio sanitario è un “pilota” che, con una visione e obiettivi chiari, guida e gestisce le risorse per la realizzazione di un “sogno”. In questa metafora si riassumono gli elementi principali dell’identità professionale necessaria per i ruoli direttivi nei servizi socio assistenziali e sanitari. “Pilota” come conduttore responsabile verso il “sogno” di un’organizzazione socio sanitaria che sia orientata a rispondere pienamente alle esigenze degli utenti, che coinvolge e accresce il proprio capitale umano, che non spreca le risorse della comunità. Le specifiche competenze richieste per lo sviluppo del ruolo professionale si configurano come “frammenti” dell’arte manageriale. In sintesi, esse possono sintetizzarsi e distinguersi tra le competenze distintive (nel valore e nell’unicità d’ogni organizzazione), manageriali (saper far leva sulle competenze – saper valorizzare e gestire l’archivio di conoscenze – saper condividere la conoscenza – favorire l’apprendimento), cognitive, di leadership e padronanza di sé, relazionali, realizzative. Nelle professioni di management socio sanitario sono irrinunciabili disponibilità e capacità a relazioni significative, al coinvolgimento mirato dell’ascolto e dell’“essere accanto”, ad una professionalità costruita e mantenuta nel tempo nonché al dialogo ed interrelazione con i soggetti del territorio. La responsabilità nell’organizzazione dei servizi deve passare attraverso l’approccio assistenziale (fatto di bisogni, progettualità, professionalità, scelte) e la cultura organizzativa (dove trovano spazio valori, ideologie, opinioni condivisi).
Oggi nei servizi alla persona la proposta salute deve passare necessariamente attraverso il benessere dell’organizzazione che cura, quindi delle persone che la compongono. Un’esperienza da sperimentare può essere tra le tante l’attivazione in ogni unità operativa degli spazi d’incontro e supporto liberi e disarticolati, quanto accoglienti ed attenti ai bisogni, degli ideali laboratori benessere. Per chi lavora, in questi casi.
Gli operatori (ed i manager che li guidano) sono innanzitutto donne e uomini capaci di guardare il volto dell’Altro e di accettarne il carico di responsabilità, insito nelle storie personali, raccontate ed ascoltate. Sviluppare la capacità di stare in quest’emozione, di leggerne i significati, di attivarne una correlata progettualità, è qualità più importante delle conoscenze professionali in necessaria e costante evoluzione.
Fare gioco di squadra
Il manager – leader non può fare tutto da solo, le sue capacità e le sue competenze, e più in generale, il suo ruolo, vanno messe a disposizione per costruire la squadra, di cui egli stesso deve far parte. La squadra è costituita da quanti agiscono, con la propria professionalità e formazione a creare il servizio. Dal punto di vista teorico, si intende analizzare la squadra suddividendola in gruppi separati per una semplice comodità espositiva, nella realtà questa suddivisione dovrebbe sfumare a favore della ricomposizione del gruppo organizzativo. Si può affermare però che in un’organizzazione questa circolarità va riportata a più livelli cioè il manager lo può fare con lo staff, i responsabili con la loro area e gli operatori nel loro gruppo di lavoro. Tutti gli attori in gioco vanno responsabilizzati per le loro attività, ognuno deve essere consapevole del suo intervento e delle sue azioni.
L’abilità o la lungimiranza del dirigente di delegare ai propri collaboratori una parte delle attività, introduce una relazione di fiducia, di riconoscimento delle capacità dei membri della squadra e genera il miglioramento; creando un clima di condivisione si accetta che si possa sbagliare, non si condanna l’errore perché fa parte del gioco di squadra. Il gruppo più vicino al dirigente, che partecipa alle decisioni e che dal punto di vista operativo deve instillare nel gruppo degli operatori i valori etici e professionali, è la squadra di staff e il middle management che rappresenta il livello di contatto tra lo spazio decisionale e quello di line, il dirigente non può rapportarsi giornalmente con ogni singolo operatore, ci possono essere dei momenti in cui questo avviene, ma nel quotidiano quando un responsabile o coordinatore si rivolge al suo gruppo, è come se parlasse la direzione. Non va accentrato tutto il processo sulla figura del dirigente, è molto importante il concetto di delega da parte della dirigenza verso il basso, va trasferita la fiducia ai più stretti collaboratori, vanno spostati compiti e responsabilità, accettando gli eventuali rischi, continuando a controllare e supervisionare. Per mettere in atto un passaggio di delega, il manager deve avere una profonda conoscenza dell’ambiente lavorativo e delle dinamiche in essere tra i vari soggetti, una conoscenza superficiale dell’organizzazione porterebbe ad una delega formale ma non sostanziale o peggio ancora, creerebbe tensioni e disequilibri all’interno dei gruppi.
Il manager – leader può mettere in atto alcune strategie per stimolare il processo di responsabilizzazione dello staff e delegare competenze, quali:
- Motivazione, attivare e spingere il gruppo verso l’obiettivo.
- Incarico, riconoscere le capacità dei propri collaboratori e con loro definire quale può essere il modo migliore per esprimere le loro potenzialità.
- L’analisi di SWOT, come strumento di pianificazione, offre un quadro di riferimento per la definizione di orientamenti strategici finalizzati al raggiungimento degli obiettivi.
- Fidelizzazione, si crea attraverso la condivisione degli obiettivi, la definizione chiara del percorso che si vuole iniziare e la valorizzazione dell’apporto di ogni collaboratore.
- Coaching, è un metodo finalizzato ad ottenere le migliori prestazioni possibili dagli individui attraverso la crescita e lo sviluppo relazionale.
È sostanzialmente importante un lavoro di integrazione tra le istanze gestionali richieste dalla dirigenza e la condivisione della quotidianità attraverso lo sviluppo, verso l’alto ma anche verso il basso di un gruppo, anche secondo la metafora dell’alpinismo: “Il legame della cordata, “obbliga” gli alpinisti ad unirsi, letteralmente a “legarsi insieme” e a collaborare nella buona e nella cattiva sorte. Si tratta di una metafora della vita di relazione, …, ma notevole ancor oggi in virtù del fatto che di solito esiste un primo e un secondo di cordata, con i relativi ruoli, tensioni, vantaggi, sottomissioni, ribellioni, codici di comportamento. La cordata è una piccola società che lavora per un obiettivo.” …Assai più delle capacità individuali, infatti, contano il coinvolgimento emotivo e la passione”7. Nel paragone, le posizioni in cui gli alpinisti si collocano sono legate alla consapevolezza che hanno caratteristiche e propensioni diverse, la debolezza di uno può essere la forza di un altro, l’aspetto determinante è la conoscenza. In primis la conoscenza di se stessi, delle proprie capacità e della propria professionalità, per potersi dividere con gli altri è fondamentale sapere chi si è e avere coscienza che i propri limiti vanno coltivati e se possibile allentati se non superati per permettere che anche gli altri possano fare lo stesso; se si negano i propri limiti si rimane affossati sempre allo stesso livello e gli altri non vengono visti come un completamento del proprio lavoro ma come dei nemici, non si instaura un rapporto di fiducia ma si rimane sempre guardinghi. In una visione limitata c’è il rischio che per collaborare con gli altri o per prendere un incarico nuovo si faccia la caricatura di un altro professionista. Questa problematica si verifica a tutti i livelli, ma è molto più difficoltosa quando viene vissuta a livello di quadri intermedi.
La certezza di ciò che si è, senza sconti, permette di inserire nell’attività professionale anche la giusta dose di coinvolgimento emotivo e trasmettere la passione di ciò che l’organizzazione vuole raggiungere. Sono soprattutto i quadri intermedi a trasmettere lo slancio positivo, esso non può provenire sempre dal basso, da chi si trova quotidianamente sulla posizione di frontiera. Nello svolgimento del proprio ruolo, le figure intermedie dovrebbero dunque creare le condizioni che consentano ai membri della propria area di sentirsi parte del gruppo e dell’organizzazione come soggetti attivi, non solo destinatari di decisioni prese dagli altri, che partecipano al processo di cambiamento e di miglioramento in quanto portatori di conoscenze ed esperienze professionali.
La conoscenza e la capacità vanno trasferite agli altri attori del sistema per consentire che la sinergia si amplifichi in tutti gli ambiti e soprattutto verso chi dovrebbe ricevere il beneficio di un atteggiamento rigenerativo, la persona anziana.
Note
- Canton E, La Qualità rigenerativa. Un percorso orientato alla qualità nei centri di servizi, Tesi di Laurea Magistrale in Lavoro, Cittadinanza Sociale, Interculturalità, Università Cà Foscari Venezia, 2018.
- De Girolami F., Faggian S., La relazione nelle strutture residenziali. L’operatore, i familiari, l’utente, Carocci Faber Editore, Roma 2006, p.67.
- Con questo termine vengono indicati i servizi residenziali a carattere socio-sanitario in Veneto.
- Ibidem.
- Cavanna F., (a cura di), RSA: oltre la cura, il benessere, Editrice Dapero, Piacenza, 2017.
- Associazione nazionale dei Manager del Sociale e del Sociosanitario – www.ansdipp.it
- Camanni E., Chi te lo fa fare? L’alpinismo come metafora di fatiche e sofferenze sensate, Rivista Spunti n. 15/2012, Studio APS, p.74.