Premessa
Che la demenza rappresenti, oggi, una vera e propria emergenza sociale in tutti i Paesi industrializzati sia per la numerosità delle persone che ne sono colpite (circa 600 mila nel nostro Paese) sia per i costi sociali ad essa connessi (stimati in 17 miliardi di sterline/anno in UK) è una affermazione che, benché apparentemente scontata, solleva una serie di ampi interrogativi che non possono lasciare indifferenti i professionisti che lavorano nella rete dei servizi, chiamati a fornire ai malati ed ai loro caregivers risposte appropriate e di sostegno. In questa rete deve essere collocata anche la Medicina Legale pubblica che il Legislatore del 1978, con una scelta innovativa, e del tutto originale anche sul piano internazionale, ha individuato (art. 19 della legge 833 istitutiva del Servizio sanitario nazionale) come fonte di garanzia per realizzare il diritto costituzionale alla salute di tutti i cittadini (Benciolini,1988). Poco si è considerato questo ruolo, anche per l’ottusità di una mentalità tradizionalmente assorbita dalla pratica forense e poco incline, purtroppo, a recuperare la dimensione del territorio o, più in generale, quell’ampia visione che viene oggi definita con il termine di medicina legale clinica capace di confrontarsi, al letto del malato ed insieme ai Colleghi delle altre Discipline, con i problemi di salute delle persone e ad assumere, responsabilmente, quei compiti che esigono autonomia di condotta e decisionale.
Il presente lavoro vuole recuperare questa dimensione della Medicina Legale pubblica e riflettere sul tema della valutazione medico-legale della demenza nel settore assistenziale (che è un tema di straordinaria complessità a causa di un impianto normativo che deve esser ri-formulato nei suoi paradigmi costitutivi con la definizione di criteri chiari ed univoci, realmente modulati sull’istanza di integrazione e di rimozione delle difficoltà dei cittadini disabili, e poco esplorato sul piano dell’elaborazione dottrinale) con l’obiettivo di formulare una proposta operativa in grado di dare una risposta ai bisogni di salute di una larga fascia di popolazione, e coerente con quella dimensione bio-psicosociale proposta, a partire dal 1980, dall’Organizzazione mondiale della sanità1.
Le norme sull’indennità di accompagnamento
L’istituto giuridico dell’indennità di accompagnamento, introdotto nel nostro sistema di sicurezza sociale con la legge n. 18/1980, è stato parzialmente modificato con la legge 21 novembre 1988,n.508,e con il decreto legislativo 23 novembre 1998,n.509,in riferimento ai presupposti ed alle condizioni che lo legittimano (Cembrani et al.,2007). Le conferme riguardano le premesse di pertinenza biologica all’origine del diritto (le “affezioni fisiche o psichiche”) e le loro conseguenze individuate nell’“impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore” e/o nella necessità di “un’assistenza continua … non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita”.
Le novità attengono, invece, alle pregiudiziali amministrative che lo legittimano (mentre la legge 18/1980 escludeva “gli invalidi civili gravi ricoverati gratuitamente in istituto”, le due norme emanate nel 1988 circoscrivono il diritto ai soli cittadini residenti nel territorio nazionale purché gli stessi non siano titolari di “analoghe prestazioni concesse per invalidità contratte per causa di guerra, di lavoro o di servizio”, ferma restando la facoltà, per l’interessato, di “… optare per il trattamento più favorevole”) e, soprattutto, la qualificazione dell’impairment, considerato che:
- nella legge n. 508/1988, analogamente alla legge n. 18/1980, il riferimento è alle “affezioni fisiche e/o psichiche” causative di una “totale inabilità”, senza alcuna distinzione in base all’età anagrafica della persona;
- nel decreto legislativo n.509/1988 il riferimento è, limitatamente ai minori ed alle persone ultra 65enni, alle “difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età”.
Le due condizioni che sostengono il diritto all’ indennità di accompagnamento sono rappresentate dalla “inabilità totale” (valutata in relazione al danno funzionale permanente di cui all’art.1 del decreto legislativo n. 509/1988, utilizzando la criteriologia medico-legale individuata dal decreto legislativo n. 509/1988, e dal decreto del Ministero della Sanità 5 febbraio 1992) e, per le persone minorenni ed ultra-65enni, dalle “difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell’età”; compiti e funzioni che non sono stati, tuttavia, qualificati dal Legislatore che sembra, dunque, intenderli in maniera indistinta, con un difetto di esplicitazione che è all’origine di quel corto-circuito interpretativo che finisce per sovrapporle (confonderle) con gli atti quotidiani della vita.
Le norme vigenti qualificano – dunque – le due condizioni alternativamente previste per il diritto all’indennità di accompagnamento, ma non esplicitano né quali siano gli atti quotidiani della vita2 né, tanto meno, come (e con quali strumenti) gli stessi debbano essere esplorati sul piano dell’esame funzionale. Tale vuoto normativo fuorviante che, prestandosi alla libera interpretazione, finisce per essere all’origine di quei fenomeni di ampia dis-equità sociale più volte segnalati nel nostro Paese, è stato colmato dalla Giunta provinciale della Provincia autonoma di Trento con la deliberazione n. 2704 approvata il 9 aprile del 1999 (“Indirizzi per la valutazione dello stato di invalidità civile nei riguardi dei soggetti ultra 65enni”).
L’atto deliberativo, in breve sintesi, individua le scale multi-dimensionali per la valutazione delle difficoltà persistenti da utilizzare nel caso di persone ultra 65enni (l’indice di Barthel mobilità per la valutazione della mobilità, l’indice di Barthel-ADL per la valutazione degli atti quotidiani della vita ed il Mini mental state examination per la valutazione delle funzioni cognitive), i progressivi livelli di gravità delle difficoltà persistenti e le prestazioni sanitarie ed economico-assistenziali erogabili.
L’indice di Barthel-mobilità, nella versione a cui si riferisce l’atto deliberativo, indaga 3 dimensioni (il trasferimento sedia-letto,la deambulazione, la salita/discesa di scale) attraverso una griglia di analisi pre-definita che consente di ottenere i livelli progressivi di difficoltà persistenti nella deambulazione: punteggio di Barthel mobilità da 30 a 40 (persona autonoma nella deambulazione); punteggio di Barthel mobilità da 15 a 25 (persona assistita nella deambulazione); punteggio di Barthel mobilità da 0 a 10 (persona dipendente nella deambulazione con diritto alla indennità di accompagnamento).
L’indice di Barthel-ADL, nella versione semplificata approvata dalla Giunta provinciale di Trento, indaga, a sua volta, 7 dimensioni, ad ognuna delle quali corrisponde una griglia di analisi pre-definita a cui corrispondono punteggi varabili da 0 a 15: alimentazione; bagno; cura del corpo; abbigliamento; controllo dell’alvo; controllo della minzione; trasferimento ed uso del WC.A seconda della combinazione dei punteggi ottenuti si ottengono i livelli progressivi di difficoltà persistenti negli atti quotidiani della vita: punteggio di Barthel-ADL da 50 a 80 (persona autonoma negli atti quotidiani della vita); punteggio di Barthel-ADL da 15 a 45 (persona parzialmente dipendente negli atti quotidiani della vita); punteggio di Barthel-ADL da 0 a 10 (persona totalmente dipendente negli atti quotidiani della vita con diritto alla indennità di accompagnamento).
Per la valutazione delle funzioni cognitive la Giunta provinciale di Trento, tra le diverse batterie neuropsicologiche utilizzate nello screening e nella diagnosi della demenza, ha, invece, scelto il MMSE proposto da Folstein et al. nel 1975: un test di rapida esplorazione delle funzioni cognitive, di veloce somministrazione (da 10 a 15 m’), costituito da 11 items la cui somma dà un punteggio totale compreso da 0 a 30. Anche in questo caso la Giunta provinciale di Trento ha definito su tre progressivi livelli di gravità la disabilità cognitiva (“deficit lieve”, “deficit medio” e “deficit grave”) ma, diversamente dalle altre scale di valutazione multi-dimensionali, non ha definito gli scores che li determinano; nell’atto deliberativo ci si limita, infatti, ad affermare che il “deficit lieve e medio delle funzioni cerebrali superiori” non consente di riconoscere il diritto all’indennità di accompagnamento che viene, invece, riconosciuto nel caso in cui la compromissione sia “grave”.
La valutazione multi-assiale della demenza nel campo assistenziale
Quanto delineato costituisce l’irrinunciabile cornice all’interno della quale devono essere affrontate le aree problematiche riguardo alla valutazione medico-legale della demenza finalizzata all’assistenza economica prevista a favore degli invalidi civili (Cembrani F. e Cembrani V.,2007). Come abbiamo dimostrato manca, nel nostro Paese, una chiara ed univoca indicazione normativa che definisca quali sono gli atti quotidiani della vita, e non esiste nessuna indicazione riguardo a come valutare l’impairment cognitivo nonostante la vera e propria emergenza sociale a cui abbiamo accennato all’inizio del nostro lavoro; la sola eccezione è rappresentata dalla Provincia autonoma di Trento che, ancora nel 1998, ha indicato lo strumento per l’esame delle funzioni cognitive (MMSE) ed i relativi livelli di compromissione funzionale senza affrontare, tuttavia, il problema di quali sono i relativi scores, e con un approccio del tutto riduttivo prevalentemente orientato alla rilevazione della compromissione della memoria, e non già al principio dell’integrità (multi-dimensionalità) della persona che impone la valutazione strutturata dei seguenti domini (Regione Emilia-Romagna,2000)3:
- le funzioni cognitive;
- i sintomi non cognitivi e la depressione;
- la co-morbilità somatica;
- lo stato funzionale.
La valutazione delle funzioni cognitive deve essere supportata dall’esame clinico della persona, orientato a ricercare la presenza di segni neurologici suggestivi di una malattia focale del sistema nervoso centrale, le eventuali incoordinazioni nei movimenti combinati, i segni di un eventuale interessamento extra-piramidale e l’atassia nella marcia; il colloquio clinico ed il MMSE consentono una valutazione sufficientemente completa delle funzioni cognitive qualificandone l’eventuale compromissione e, soprattutto, quantificandone la perdita attraverso un valore numerico a cui non si deve, tuttavia, assegnare un valore taumaturgico per negare o riconoscere sempre e comunque il diritto all’ indennità di accompagnamento.
La valutazione dei sintomi non cognitivi e della depressione rappresenta un momento del tutto fondamentale nella fase diagnostica della malattia per valutare, in particolare, i sintomi del registro depressivo, i disturbi comportamentali ed i disturbi ideativi; tra le molte scale proposte rivestono particolare interesse la Geriatric Depression Scale (GDS) proposta da Yesavage e Colleghi nel 1983, la Cornell scale for depression in dementia e la Scala clinica per la valutazione dell’insight. La Geriatric Depression Scale è una tra le più diffuse scale per la valutazione di sintomi depressivi nell’anziano ed è una scala composta da 30 items: le risposte sono di tipo binario (si/no) e questo rende lo strumento di facile utilizzo nei pazienti con deficit cognitivo. Il punteggio varia da 0 (non depresso) a 30 (massima gravità della depressione),con un cut-off individuato a 11 per la presenza di sintomi depressivi clinicamente rilevanti. La gravità della depressione viene quindi così rappresentata: da 0 a 10 assente, da 11 a 16 depressione lieve-moderata, 17 o superiore depressione grave.
La Cornell Scale for Depression in Dementia (CDS) è una scala disegnata per la valutazione dei sintomi depressivi nei pazienti dementi; essa utilizza una serie standardizzata di items che sono rilevati attraverso un’intervista ad una persona che conosce il paziente (familiare o operatore) ed il colloquio semi-strutturato con il paziente. La scala si compone di 19 items e le risposte hanno un punteggio graduato da 0 (sintomo assente) a 2 (sintomo severo); in popolazioni di dementi uno score superiore a 9 alla CDS identifica i soggetti affetti da sindrome depressiva.
La Clinical insight rating scale (CIRS) è formulata come intervista semi-strutturata, e deve essere preceduta da un colloquio con il caregiver del paziente durante il quale sono indagate le motivazioni della visita, la durata di malattia, le modalità di insorgenza e di progressione dei deficit cognitivi, dall’impatto di questi sullo stato funzionale e la condizione clinica attuale. La CIRS, che valuta un ampio spettro dell’insight, si sviluppa in quattro direzioni: la ragione della visita medica, i deficit cognitivi, i deficit funzionali, la percezione della progressione della malattia. Il punteggio complessivo varia da 0 a 8, ed ogni item può avere un punteggio da 0 a 2. Un punteggio di 0 equivale alla piena consapevolezza, quello di 2 alla totale mancanza di insight; un punteggio di 1 equivale ad una parziale o minima consapevolezza.
Oltre alla valutazione degli eventuali indici di co-morbilità somatica, l’esame clinico dovrà essere successivamente orientato alla valutazione dello stato funzionale o, più appropriatamente, utilizzando la terminologia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, al funzionamento della persona utilizzando, accanto agli strumenti di lavoro approvati dalla Giunta provinciale di Trento, quelle scale di valutazione multi-assiali della demenza in grado di coniugare, su un unico diagramma rappresentativo, i sintomi cognitivi, quelli non cognitivi e le eventuali co-morbilità somatiche: la Clinical Dementia rating (CDR), proposta negli anni ’80 da Hughees e Colleghi,e che ha subito alcune revisioni fino all’ultima proposta da Morris nel 1993, è la scala più conosciuta e che ben si presta al nostro scopo (Peccarisi et al., 2005).
Per ottenere il punteggio della CDR è necessario disporre di informazioni raccolte da un familiare che conosce la persona, e di una valutazione delle funzioni cognitive del paziente con particolare riferimento ai seguenti domini:
- memoria;
- orientamento temporale e spaziale;
- giudizio ed astrazione;
- attività sociali e lavorative;
- vita domestica, interessi ed hobby;
- cura della propria persona.
In base al grado di compromissione viene assegnato un punteggio variabile tra 0 e 3,dove: 0 = normale;0.5 = dubbia compromissione; 1 = compromissione lieve; 2 = compromissione moderata;3 = compromissione severa. Ogni aspetto deve essere valutato in modo indipendente rispetto agli altri. La memoria è considerata categoria primaria; le altre categorie (orientamento, giudizio e problem solving, attività sociali, familiari, hobbies e cura personale) sono, invece, secondarie. Se almeno tre categorie secondarie ottengono lo stesso punteggio della memoria, allora il CDR è uguale al punteggio ottenuto nella memoria.
Il punteggio globale viene ricavato dai punteggi ottenuti in ognuna delle sei funzioni indagate nel modo seguente: il punteggio globale della CDR equivale a quello della categoria della memoria (CDR = M) quando in almeno tre categorie secondarie si ottiene un punteggio uguale a quello della memoria in modo che quattro valutazioni si trovano sulla stessa colonna verticale delle cinque di cui si compone la scala; nel caso in cui in tre o più categorie secondarie si ottenga un punteggio differente (superiore o inferiore) rispetto a quello della memoria, il punteggio CDR è uguale a quello con il maggior numero di categorie secondarie qualunque sia il risultato di M; nel caso in cui, infine, il punteggio di tre categorie secondarie identifichi una colonna posta da un lato di M, e quello delle altre due colonne si trovi sul lato opposto, il punteggio CDR sarà quello di M. Con la scala CDR i pazienti affetti da demenza possono essere perciò classificati in 5 livelli progressivi di gravità: CDR 1 (demenza lieve); CDR 2 (demenza moderata); CDR 3 (demenza grave); CDR 4 (demenza grave); CDR 5 (demenza terminale).
Conclusioni (la nostra proposta operativa)
La valutazione medico-legale della demenza al fine del riconoscimento delle provvidenze economiche previste dalle norme vigenti nel campo assistenziale deve essere strutturata all’interno di un rigoroso percorso diagnostico i cui steps fondamentali sono, dunque, rappresentati:
- dalla rigorosa raccolta anamnestica (fornita anche ai caregivers);
- dall’accurato esame obiettivo finalizzato all’esame della compromissione cognitiva, dei sintomi non cognitivi (della depressione e dei disturbi comportamentali eventualmente associati) e degli altri indici di disabilità prodotti dalle co-morbilità somatiche, in riferimento agli atti quotidiani della vita (ADL Barthel) ed alla deambulazione (Barthel-mobilità);
- dal completamento dell’esame obiettivo con l’ effettuazione del MMSE e degli altri eventuali tests integrativi per la valutazione dei sintomi non cognitivi;
- dall’inquadramento della gravità della demenza utilizzando i livelli progressivi di gravità della CDR;
- dalla formulazione di una epicrisi medico-legale che deve tener comunque conto di tutti gli elementi raccolti in sede anamnestica e clinica e che deve saper coerentemente coniugare tutti i dati semeiologici.
Il che significa abbandonare quella prassi valutativa che porta a riconoscere (o negare) il diritto all’indennità di accompagnamento sulla base della sola applicazione di una testistica (il MMSE) che esplora le funzioni cognitive riconoscendo ad essa quel valore taumaturgico del “si” o “no” sempre e comunque che non le è intrinseco né in ambito clinico né, tanto meno, nell’ambito valutativo. La testistica neuro-psicologica aiuta ma non surroga il procedimento clinico; procedimento che deve essere in grado di identificare la diagnosi e la gravità della compromissione funzionale e di tradurla, successivamente, nell’impairment (nel danno funzionale permanente) che nella persona in età lavorativa dovrà essere medico-legalmente quantificato con riferimento alle Tabelle di cui al Decreto ministeriale 5 febbraio 1992, e nella persona anziana ultra 65enne in relazione alle difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell’ età, prima di procedere all’individuazione dei presupposti che legittimano il diritto all’indennità di accompagnamento.
Indennità di accompagnamento che, nel caso delle persone affette da demenza, potrà essere riconosciuta – ed è questa la nostra proposta operativa – nel caso in cui si documenti almeno una tra le seguenti situazioni:
- la compromissione di tutte le funzioni cerebrali superiori comprovata dal Mini Mental state examination (MMSE) quando il risultato testistico sia pari o inferiore a 17/30, considerato che, in queste situazioni, gli indici di Barthel-ADL risultano compromessi per la riduzione/perdita della capacità di organizzazione e di pianificazione;
- la ripercussione dei disturbi cognitivi e non cognitivi sulla vita sociale qualificata, secondo i criteri diagnostici della Clinical dementia rating scala (CDR), nelle ultime 4 classi (“moderata”, “severa”, “molto grave” e “terminale”), indipendentemente dai tests psico-metrici ed anche quando i risultati del MMSE siano superiori a 17/30;
- l’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore (Barthel-mobilità tra 0 e 10);
- l’impossibilità di compiere autonomamente gli atti quotidiani della vita (ADL-Barthel tra 0 e 10).
Note
- Questo paradigma fondante della salute (ICF) è stato recepito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, approvata nel dicembre del 2006,sottoscritta dal nostro Paese nella primavera del 2007,ed oggi firmata da quasi la metà dei Paesi del mondo
- Il Ministero della Sanità è più volte intervenuto su questa materia (si vedano, al riguardo, le Circolari del 4 dicembre 1981,del 28 settembre 1992 e del 27 luglio 1998) nel tentativo di chiarire la materia, ma con il risultato di un ulteriore caos interpretativo se si considera che le medesime non esplicitano quali sono gli atti quotidiani della vita in relazione ai quali devono essere valutate le difficoltà persistenti (pur individuandoli, a più riprese, nelle “azioni elementari” ed anche in quelle “relativamente più complesse … tese al soddisfacimento di quel minimo di esigenze medie di vita rapportabili ad un individuo normale di età corrispondente …”), non indicano quali sono gli strumenti (griglie) da utilizzare nella loro valutazione e se, analogamente all’impairment lavorativo, esista o meno una soglia di franchigia il cui superamento legittima il diritto all’indennità di accompagnamento e corto-circuitano i problemi creati dal Legislatore graduando le difficoltà persistenti (identificate con l’aggettivo di “lieve”, “medio-grave” e “grave”),in relazione alla misura percentuale dell’impairment lavorativo
- A tali criteri si riferisce, esplicitamente, la legge finanziaria del 2003:“… Le regioni sono altresì chiamate a vigilare sull’applicazione della legge in vigore, in merito all’ accertamento delle condizioni di invalidità ed alla conseguente erogazione di indennità prevedendo, senza maggiori oneri per lo Stato, che le Commissioni deputate accolgano la diagnosi dei medici specialisti del Servizio sanitario nazionale o delle Unità di Valutazione Alzheimer secondo i criteri del DSM IV riconosciuti dall’Organizzazione mondiale della sanità”
Bibliografia
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