Può non sembrare, ma gli anziani non autosufficienti hanno occupato per mesi il centro della scena pubblica. Sono loro, infatti, i principali percettori delle prestazioni d’invalidità civile, la cui crescita ha scatenato – nel primo semestre di quest’anno – l’enfasi mediatica e politica sui cosiddetti “falsi invalidi”. I tre/quarti delle risorse per l’invalidità civile vengono destinati all’indennità di accompagnamento, che rappresenta anche il principale intervento pubblico a sostegno delle spese per remunerare le assistenti familiari (“badanti”): queste ultime sono il focus di questo numero della rivista.
I dati
L’enfasi sui “falsi invalidi” è cominciata in aprile con la pubblicazione del Rapporto Annuale dell’Inps. Nel Rapporto si evidenzia che la spesa per le prestazioni d’invalidità civile è passata da 10.911 milioni di euro nel 2002 a 16.000 milioni nel 2009, vale a dire una crescita del 47% in otto anni (Inps, 2010). Non entro qui nelle motivazioni che hanno portato – a partire da tali cifre – a una serie d’inchieste giornalistiche e di dichiarazioni di politici sullo “scandalo dei falsi invalidi”, motivazioni a mio parere dovute a un clima generale stretto tra la complessità dei problemi reali e la ricerca di capri espiatori per le difficoltà del paese1. Mi concentro, invece, sui dati, che ritengo ricchi d’implicazioni.
La tabella 1 illustra come si è articolata la complessiva crescita della spesa tra le due tipologie in cui si dividono le prestazioni d’invalidità civile, cioè le pensioni d’invalidità e l’indennità di accompagnamento2.
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Per arrivare agli attuali 16.000 miliardi di euro, pari a poco più di un punto di Pil, tra il 2002 e il 2009 la spesa dedicata alle pensioni è cresciuta del 15%, mentre quella destinata all’indennità del 61%. La tabella 2 descrive in che modo si suddivide l’incremento globale di spesa tra le due misure. Dei 5.089 milioni di maggiori stanziamenti nel periodo considerato, 4.605 sono stati per l’indennità e 484 milioni per le pensioni.
L’aumento, quindi, è concentrato sull’indennità. La grande maggioranza dei fruitori (3 su 4) dell’accompagnamento è anziana, e la utilizza perlopiù per remunerare la badante. La percentuale di persone con almeno 65 anni che la ricevono è passata dal 6,0% nel 2002 al 9,5% nel 20083. L’utenza anziana dell’indennità, quindi, si è ampliata notevolmente: è cresciuta in sei anni del 58% (Tab. 3)4.
Alla ricerca di una spiegazione
Perché, tra gli anziani, il ricorso all’indennità di accompagnamento è cresciuto così tanto nel decennio che si sta concludendo? Cosa c’è dietro la corsa che ha por tato l’utenza ad aumentare del 58% in sei anni? Penso si possano individuare alcune ragioni, divisibili in tre gruppi, che, seppure con un peso differente e con un impatto variabile nei diversi contesti locali, hanno tutte svolto un ruolo significativo. È un mix tra fenomeni presenti da tempo e realtà più recenti.
L’incremento della domanda
L’aumento dei “grandi anziani”.
L’indennità è l’unica misura nazionale stabile a sostegno delle spese causate agli anziani dalla non autosufficienza. Tra gli anziani aumentano in modo particolare le persone con almeno 75 anni di età (+ 23% tra il 2002 e il 2009)5, che sono i principali percettori dell’accompagnamento.
La crescita d’informazione e consapevolezza
In passato la prestazione era meno conosciuta dalla popolazione, e a molti pareva impossibile che la non autosufficienza comportasse il diritto a un sostegno economico indipendente dal reddito (si pensava che i diritti si limitassero alla sanità). Nell’ultimo decennio sono aumentate sia l’informazione in proposito sia la consapevolezza dei propri diritti di anziani e famiglie. Si tratta di un fenomeno non misurabile ma che in molte aree del paese mi pare abbia giocato un ruolo cruciale.
Le peculiarità del welfare italiano
La diffusione delle assistenti familiari
L’indennità costituisce il principale contributo pubblico utilizzabile dalle famiglie nella remunerazione delle badanti, la cui presenza nel nostro paese è aumentata esponenzialmente durante gli scorsi anni. Il valore delle detrazioni e deduzioni fiscali esistenti è assai minore6; a differenza di queste, inoltre, l’accompagnamento può essere utilizzato, data l’assenza di controlli sull’effettivo uso, anche quando l’assistente è impiegata in forma irregolare. Il nesso tra aumento delle assistenti familiari e maggiore diffusione dell’indennità è indiretto ma, a mio parere, rilevante. L’esigenza di pagare le badanti, infatti, ha portato un numero crescente di famiglie a domandarsi se esista un sussidio pubblico utilizzabile a tal fine e, di conseguenza, a richiedere l’accompagnamento.
I pochi servizi di cura a domicilio
La diffusione delle assistenti familiari s’intreccia con le debolezze del welfare pubblico. Su questo aspetto, più ancora che sugli altri, bisogna essere cauti nelle generalizzazioni poiché alcune Regioni stanno migliorando notevolmente, grazie ai “Fondi Regionali per la non autosufficienza”. Sembra possibile, comunque, rilevare una tendenza valida anche in gran parte delle realtà avanzate. L’offerta a domicilio di servizi a titolarità pubblica è composta perlopiù da interventi di natura sanitaria, prevalentemente infermieristici, concepiti come prestazioni per rispondere a una specifica criticità/patologia ben circoscritta.
La presenza di servizi di assistenza tutelare (aiuto nelle attività di base della vita quotidiana), di aiuto domestico, di sorveglianza e più in generale di cura (care) è esigua. Infatti, i servizi sociosanitari dell’Adi sono cresciuti costantemente nel decennio ,ma si concentrano su singole prestazioni, mentre i servizi sociali dei comuni sono assai pochi e in tendenziale diminuzione (Guaita e Casanova, in press). L’unica risposta pubblica alla pressante richiesta delle famiglie di essere sostenute nell’impegno quotidiano di cura, dunque, è l’indennità di accompagnamento.
Le carenze degli interventi a tutela del reddito
Le prestazioni d’invalidità civile svolgono, tradizionalmente, una funzione integrativa rispetto alle debolezze delle politiche contro la povertà e la disoccupazione, in particolare nelle aree economicamente più deboli. La recente lettura della storia italiana proposta dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianfranco Miccichè: «a un’area, quella del Nordest, già piena d’imprese, si è consentito di non pagare tasse, perché per 20 anni non si è fatta una sola indagine fiscale; contemporaneamente, in Sicilia, piuttosto che meccanismi strutturali di compensazione alla disoccupazione, si è permessa la facile concessione dell’invalidità civile” (Miccichè, 2010)», non è altro che l’attualizzazione della nota affermazione fatta da Ciriaco De Mita negli anni ’80: «se al nord c’è la cassa integrazione al sud ci deve essere la pensione d’invalidità7».
Nel decennio che sta terminando, l’indennità di accompagnamento sembra aver svolto questa funzione integrativa in misura crescente. Peraltro, il maggior ricorso all’indennità nelle Regioni meridionali non si presta a semplificazioni. Le analisi di Chiatti su dati Istat8, infatti, mostrano una certa correlazione tra il tasso di fruizione della prestazione e il tasso di non autosufficienza in Italia (Chiatti et al., in press). L’elevato impiego dell’indennità nelle Regioni meridionali è in parte dovuto a una presenza della non autosufficienza superiore rispetto al resto del paese, aspetto che non sorprende poiché la diffusione di quest’ultima è sempre inversamente correlata ai livelli di sviluppo economico e d’istruzione (Istat, 2009). In ogni modo, spiega solo una parte del suo utilizzo particolarmente esteso: si vedano – nel grafico 1 – le collocazioni anomale di Umbria, Calabria, Campania, Sardegna e Abruzzo.
Gli incentivi insiti nella prestazione
L’assenza di requisiti d’accesso standardizzati
L’accertamento dei requisiti per ricevere l’indennità è basato su criteri generici e non standardizzati (a differenza di quanto accade per le pensioni d’invalidità). Le norme, infatti, indicano che ha diritto all’accompagnamento chi “si trovi nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore” e/o “abbisogni di un’assistenza continua, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita”. Le leggi vigenti, però, non esplicitano quali siano gli atti quotidiani della vita cui fare riferimento per individuare tali condizioni e né, tanto meno, in che modo e con quali strumenti valutativi questi debbano essere esaminati sul piano funzionale (Cembrani e Cembrani, 2008)9. Esiste, pertanto, un ampio spazio di discrezionalità nel decidere chi possa ottenere l’accompagnamento e chi no, discrezionalità che consente di ampliare l’utenza nel rispetto delle regole formali.
La separazione tra chi eroga e chi finanzia. L’indennità è finanziata dallo Stato, senza vincoli di bilancio, mentre le decisioni in merito a chi la può ottenere spettano alle Regioni, attraverso le Commissioni delle Asl10. Queste sono le regole riguardanti la suddivisione delle responsabilità tra i diversi livelli di governo circa l’erogazione e il finanziamento dell’accompagnamento, introdotte con il decreto 112/1998. Dato che ricevono le domande, ma non sostengono la spesa, le Regioni hanno un incentivo a rispondere positivamente alle richieste. Si tratta di una constatazione cara ai Ministri Sacconi e Tremonti, i quali probabilmente la sovrastimano poiché la individuano come il problema principale delle prestazioni d’invalidità civile (che il federalismo dovrebbe – nelle loro dichiarate intenzioni – risolvere). Una parte di verità, in ogni modo, pare esserci.
Un inciso
La diffusione dell’accompagnamento si può prestare a strumentalizzazioni. Prima di concludere, pertanto, vorrei richiamare alcuni punti essenziali, anche se ben noti ai lettori di questa rivista:
- a) la spesa pubblica per l’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia è inadeguata e inferiore al resto d’Europa (Huber et al., 2009);
- b) bisognerebbe incrementare le risorse pubbliche dedicate e anche, in diversi casi, utilizzare meglio quelle disponibili;
- c) l’indennità di accompagnamento rientra tra questi ultimi, basti pensare ad alcuni suoi limiti: l’ammontare uguale per bisogni diversi11, l’esiguità dell’importo per le situazioni più gravi, la mancanza di un collegamento con la rete dei servizi, l’assenza di verifiche sull’utilizzo (Facchini, 2007; Lamura e Principi, 2009).
L’Italia risulta l’unico paese europeo dove queste criticità sono tutte presenti, negli altri le prestazioni simili ne hanno solo alcune e, da anni, si lavora per ridurle ulteriormente. Ad esempio, la riforma tedesca del 2008 ha introdotto un collegamento con i servizi e forme di case management (Rotghang, 2010), e nel dibattito inglese si discute su come superare la separazione tra la prestazione monetaria comparabile all’accompagnamento (attendance allowance) e la rete dei servizi (Humphries et al.,2010). Quando si esamina la crescita dell’indennità, quindi, bisogna ricordare che il problema italiano non è l’eccessiva spesa per gli anziani non autosufficienti, anzi è il contrario: il problema italiano è che si spende male.
Conclusioni
Nel presente editoriale ho proposto alcune ipotesi sulle ragioni della corsa che ha visto la percentuale di anziani fruitori dell’indennità di accompagnamento salire rapidamente nel recente passato, come sintetizzato nella tabella 4. Si tratta di un fenomeno rilevante, basti pensare che, mentre nei sei anni del periodo 2002-2008 l’utenza anziana è cresciuta del 58%, nei precedenti dieci – un arco temporale quasi doppio – è aumentata del 20% (Lamura e Principi, 2010).
Credo che analizzare le motivazioni della corsa descritta possa servire al fine di ragionare su come migliorare sia la misura esaminata sia l’assistenza agli anziani non autosufficienti in generale. Il tema, però, è stato sinora lasciato alle polemiche giornalistiche e politiche. I lettori de “I Luoghi della Cura”, invece, potrebbero dar vita a una stimolante riflessione di merito, discutendo le ragioni suggerite per spiegare l’accelerazione e proponendone altre. Spero vorranno farlo contribuendo ai prossimi numeri della rivista.
Desidero ringraziare Antonio Guaita e Rosemarie Tidoli per alcune stimolanti osservazioni a precedenti versioni del testo. La responsabilità di quanto scritto è esclusivamente mia.
Note
- In proposito mi permetto di rimandare a Gori, 2010
- Le pensioni d’invalidità sono erogate a disabili con reddito inferiore a una certa soglia e percentuale d’invalidità tra 74 e 100% compreso. Le ricevono persone entro i 65 anni con disabilità non causata da infortuni sul lavoro, quindi in questa condizione dalla nascita o che hanno avuto un incidente (ad esempio automobilistico) o una malattia. Servono a compensare i redditi che l’impossibilità (totale o parziale) di lavorare impedisce di guadagnare e ammontano a 257 euro mensili. L’indennità è fornita alle persone con il 100% d’invalidità e che hanno bisogno di assistenza continua per deambulare e/o svolgere gli altri atti quotidiani della vita. È indipendente dalle loro condizioni economiche e dall’età. È pari a 480 euro mensili e serve a sostenere le spese aggiuntive dovute alla necessità di assistenza continua. Chi ha una pensione d’invalidità e vive la disabilità più grave riceve anche l’indennità di accompagnamento. Gli utenti dell’indennità sono prevalentemente anziani e, perlopiù, hanno almeno 75 anni. Per chiarezza s’impiegano solo i termini “pensione d’invalidità” e “indennità di accompagnamento”, da intendersi come riassuntivi delle diverse prestazioni d’invalidità civile, che sono riconducibili a queste due tipologie principali. Si noti, in particolare, che l’insieme delle “pensioni d’invalidità” comprende gli assegni d’invalidità e le pensioni di inabilità
- In questo caso i dati disponibili arrivano al 2008 e non al 2009 come per le precedenti tabelle. La terza tabella è stata costruita con modalità leggermente differenti dalle prime due e non è, quindi, perfettamente sovrapponibile. Per gli aspetti metodologici si vedano Inps, 2010 e Lamura e Principi, 2010
- In valore assoluto l’incremento è stato maggiore perché, in questo periodo, la popolazione con almeno 65 anni è a sua volta cresciuta sensibilmente. Secondo i dati Inps, il numero di percettori anziani è passato da 639.000 nel 2002 a 1.131.000 nel 2008
- Nel medesimo periodo, le persone in età 65-74 anni sono aumentate del 6%
- “La disciplina fiscale consente, solo a chi ha un reddito non superiore a 40 mila euro annui, una detrazione del 19% di un importo non superiore a 2.100 euro annui per l’assistenza ad anziani non autosufficienti. Il totale dà 399 euro. Esiste inoltre la possibilità di una deduzione fiscale dai redditi del datore di lavoro, entro un limite massimo di 1.549 euro. Anche sommando le due possibilità, le agevolazioni risultano molto limitate. A fronte di oneri contributivi che possono raggiungere i 3.000 euro all’anno, l’attuale sconto fiscale sfiora, nel migliore dei casi, il 15% di tali oneri” (Pasquinelli e Rusmini, 2009)
- Frase riportata da numerose fonti, ad esempio Mafai, 1993
- A causa delle differenti modalità di rilevazione, i dati Istat sui tassi di utilizzo dell’indennità non sono direttamente comparabili con quelli di fonte Inps presentati sopra
- In particolare le leggi 18/1980 e 508/88, e il decreto legislativo 509/1998. Per una disamina critica della normativa e delle circolari ministeriali applicative si suggeriscono le lucide analisi di Cembrani, 2009 e Cembrani e Cembrani, 2008
- La descrizione del meccanismo è evidentemente semplificata ma quelli illustrati paiono i punti chiave. Dall’inizio del 2010 questo meccanismo è stato come noto- oggetto di alcuni cambiamenti, i cui esiti saranno da monitorare nei prossimi anni
- Tranne il caso dei ciechi, qui non considerato
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