14 Dicembre 2021 | Dati e Tendenze

I caregivers familiari in Italia: intervista a Loredana Ligabue

La pandemia ha aumentato il carico assistenziale che grava sugli oltre 7 milioni di caregivers familiari presenti in Italia. Al maggior impegno nell’assistenza si è aggiunto un ampliamento delle azioni di cura richieste, che coinvolgono sempre più anche giovani e giovanissimi caregivers. Loredana Ligabue propone una visione complessiva del sistema dei caregivers familiari in Italia, evidenziando il processo di riconoscimento di tale figura da parte di alcune regioni e offrendo spunti di riflessione per una riforma della domiciliarità che possa concretamente supportare le famiglie e gli anziani.

I caregivers familiari in Italia: intervista a Loredana Ligabue

Chi sono i caregivers in Italia oggi?

La risposta a questa domanda risulta essere particolarmente complessa. Come è noto infatti non sono disponibili indagini e valutazioni sistematizzate e continuative, a livello nazionale, sul dimensionamento di questo fenomeno.

 

Alcuni dati significativi sono disponibili da un recente studio condotto da Eurocarers in collaborazione con l’INRCA e con il supporto della Commissione Europea che ha analizzato l’impatto della pandemia sui caregivers familiari. Le informazioni emerse da questo studio, intrecciate con i dati disponibili da altre fonti quale, ad esempio, il Rapporto dell’Unione Europea sulle condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari, nello specifico in relazione all’aiuto dato a salute, invecchiamento e patologie degenerative e i dati ISTAT inerenti la conciliazione del lavoro di cura tra lavoro e famiglia, fanno emergere una dimensione enorme del fenomeno in Italia, situazione che si dimostra non particolarmente distante da quanto rilevato negli altri paesi europei.

 

Il 14% della popolazione italiana è impegnato in attività di cura nei confronti di un familiare fragile e, dentro questo dato, emerge una presenza, nuova e rilevante, di giovani adulti, giovani e giovanissimi caregivers che si aggiungono ai caregivers in età lavorativa e ai caregivers anziani nel percorso di assistenza a lungo termine. L’esperienza del caregiving familiare coinvolge sempre più, in modo trasversale, le diverse fasce generazionali, incidendo profondamente sulla vita delle persone, una vita che si collega ad una propria progettualità, alla costruzione di un proprio nucleo familiare, all’attività lavorativa e alla vita sociale. In valori assoluti sono oltre 7 milioni gli italiani che prestano attività di cura a lungo termine e molti di essi – oltre 2 milioni – risultano avere un impegno particolarmente rilevante che supera pesantemente le 20 ore settimanali (di questi il 25% coinvolge caregivers familiari anziani).

 

In questo tipo di analisi va sottolineata la specificità di genere: sui 7 milioni di italiani impegnati in attività di cura a lungo termine di una persona cara, 4 milioni sono di genere femminile e 3 milioni di genere maschile con una rilevante crescita dell’attenzione del genere maschile sulle problematiche di cura, ciò in stretta correlazione con le trasformazioni della composizione delle famiglie.

 

Dentro questo universo la pandemia ha inciso profondamente, peggiorando significativamente il peso della cura, ciò soprattutto considerando l’età dei caregivers coinvolti, la concomitanza di altri impegni aggiuntivi all’impegno di cura (verso il nucleo familiare, di studio, lavorativi, di inserimento sociale) e l’intensità delle cure prestate nel corso della giornata e della settimana che, sovente, si prolunga in modo significativo nel corso del tempo. Nei decenni passati infatti la durata dell’assistenza aveva una dimensione temporale relativamente limitata nel tempo, con un impatto decisamente inferiore nel cambiare la vita della persona impegnata nel dare cura. I dati medi della durata dell’assistenza a lungo termine garantita ad una persona con patologie degenerative sono oggi di 11/12 anni.

 

La pandemia ha aggravato il carico della cura anche a seguito dell’interruzione di molti servizi domiciliari, di laboratori e centri semiresidenziali, aumentando in modo particolare l’isolamento dei caregivers e peggiorando ulteriormente la loro qualità di vita. Inoltre enorme è stato l’impatto psicologico della pandemia, con tutte le paure e le preoccupazioni legate sia al timore che la malattia potesse e possa tutt’ora colpire il proprio caro fragile o sé stesso come caregivers con il rischio di non poter essere più nella condizione di dare il giusto aiuto. La paura dell’allontanamento e della separazione, esperienza vissuta da tutti durante la pandemia ma, in modo particolarmente rilevante dai caregivers di persone in condizioni di fragilità, ha acuito profondamente una situazione che si presentava già gravosa prima dell’irrompere dell’emergenza sanitaria.

 

È cambiata anche la gamma di azioni di cura svolte: in particolare, nelle situazioni che prima della pandemia beneficiavano di servizi formali e/o dell’aiuto di un’assistente familiare, per i familiari caregivers si è reso necessario non solo aumentare l’intensità del carico di cura, ma anche diversificare e ampliare le azioni di cura svolte rispetto al periodo precedente. Più quantità, maggiore intensità, più azioni in un momento di chiusura, di grande stress e di paura.

 

La solitudine che ha caratterizzato per mesi la vita dei caregivers, con il conseguente abbattimento di ogni tipo di relazione sociale, ha impattato soprattutto nei caregivers privi di competenze digitali, non consentendo loro di giovare degli unici strumenti che hanno garantito, durante i mesi di lockdown, i contatti interpersonali a distanza.

 

 

Durante l’emergenza sanitaria quali sono le attività principali che la vostra rete associativa ha svolto per il sostegno dei caregivers familiari?

Anche durante la pandemia la nostra rete associativa ha garantito la realizzazione di molti eventi dedicati ai caregivers. In primis il Caregivers day, esperienza iniziata nel 2011 e mutuata dal contesto inglese, che vede la partecipazione e il coinvolgimento dei familiari, ma anche di amministratori e di vari stakeholders nella promozione e sensibilizzazione verso i diritti dei caregivers familiari e i loro bisogni.

 

A fianco di questi appuntamenti grazie all’Associazione CARER e alla Cooperativa Anziani e non solo abbiamo garantito la realizzazione di gruppi di mutuo aiuto online per i caregivers finalizzati a promuovere la condivisione tra pari indipendentemente dalla patologia della persona assistita; abbiamo garantito percorsi di formazione online e blended, abbiamo sperimentato gruppi di lettura. Questi ultimi hanno avuto e hanno tutt’ora lo scopo di favorire il “disvelamento di sé”, quello che di sé si vuole mostrare verso l’altro perché dal confronto possa nascere una maggiore capacità di affrontare i problemi, di elaborare proprie strategie di coping, di potenziare la capacità di resilienza. Abbiamo infine anche svolto un grosso lavoro di sperimentazione e diffusione di App che potessero supportare le esigenze dei caregivers familiari, alcune delle quali sono state molto utilizzate dai caregivers con un riscontro positivo in termini di utilità e supporto.

 

Oggi stiamo riprendendo le attività, ma sperimentiamo ancora la fatica e la preoccupazione dei caregiver familiari che, pur consapevoli dell’importanza della partecipazione ad interazioni sociali supportive, vivono la preoccupazione di una loro possibile esposizione al rischio di malattia che, inevitabilmente, andrebbe ad impattare drammaticamente sui loro cari. La paura della malattia negli ultimi mesi ha condizionato profondamente non solo la scelta di partecipare ad iniziative territoriali esterne, ma anche di far “rientrare” al domicilio i servizi e gli operatori dell’assistenza, sia della rete formali sia le assistenti familiari con tutte le conseguenze negative, sull’assenza di supporto nell’assistenza, che ne sono derivate.

 

 

Lei ha vissuto in prima persona il percorso legislativo regionale della LR 2/2014 in Emilia Romagna. A distanza di alcuni anni qual è l’impatto di questa norma sui caregivers?

Il primo Caregivers Day si è tenuto nel 2011 ed è proprio stato quell’evento ad evidenziare, con forza, che era assolutamente necessario avviare un impegno concreto verso il riconoscimento dei bisogni e dei diritti dei familiari che si prendono cura di una persona fragile. Da quell’evento è nata l’Associazione dei Caregiver familiari dell’Emilia Romagna che ha. sin da subito, iniziato ad elaborare una proposta di legge per il riconoscimento della figura di caregiver familiare. La proposta, presentata a stakeholders politici è stata oggetto di un lungo lavoro di consultazione sino all’approvazione, nel 2014, della prima legge regionale – Legge Regionale n. 2 del 28.03.2014 – grazie alla quale il caregiver familiare è stato definito, individuato e ne sono stati riconosciuti specifici diritti.

 

Il testo della legge è stato poi declinato in Linee attuative attraverso un gruppo di lavoro composto da rappresentanti dell’amministrazione regionale e dei servizi istituzionali, rappresentanti del mondo associativo, del sindacato e dell’Associazione dei Caregivers familiari. Il testo delle Linee attuative è stato completato e approvato nel 2017 lungo un processo accompagnato dalla realizzazione di molteplici eventi di sensibilizzazione sul tema del caregiving familiare.

 

Un passaggio decisivo è avvenuto nel 2019 con la Deliberazione regionale n 2318 che ha stanziato fondi e risorse specifiche pari a 7 milioni di euro con indicazione delle priorità di intervento, identificando all’interno delle aziende sanitarie i referenti per l’attuazione delle misure deliberate, avviando la costruzione di un assetto organizzativo regionale e, parallelamente, sostenendo lo sviluppo di una culturale regionale sul tema del caregiving familiare. Il percorso ha infine avviato la definizione di piani distrettuali di intervento e di una rete partecipata per dare corpo ai diritti dei caregivers.

 

Gli esiti di questo percorso oggi sono differenziati nei diversi territori perché diverso è il lavoro svolto negli stessi lungo tutto il percorso di questi anni. Ad esempio, diversa è l’attuazione operativa a favore di caregivers nei territori dell’Unione delle terre d’Argine che lavorano dal 2011 nella direzione del sostegno e del riconoscimento del ruolo di caregiver e quindi godono di una storia, di un’elaborazione più matura del tema rispetto ad altri distretti che hanno iniziato un percorso concreto di costruzione organizzativa articolata con la delibera del 2019.

 

Dopo la delibera 2318 del 2019 il gruppo di lavoro regionale ha intrapreso un percorso di elaborazione di una determina (15465 del 10/09/2020) che ha individuato e definito 3 strumenti di base:

  1. Una modalità di autocertificazione del caregiver attraverso il quale il caregiver evidenzia e certifica al sistema dei servizi il suo impegno in attività di cura
  2. Una specifica modalità di interazione tra servizi e caregiver, in modo particolare relativamente all’analisi dei bisogni. Uno degli esiti operativi è stata la definizione di una sezione del PAI specifica per il caregiver
  3. L’identificazione di una scala di valutazione del livello di stress del caregiver (Scala Zarit).

 

Una recente innovazione introdotta negli interventi è il sollievo a domicilio quale nuova modalità di intervento che non porta allo spostamento della persona assistita e garantisce inoltre una continuità di respiro, una boccata d’aria, al familiare che si prende cura. A fianco di queste innovazioni sociali e sperimentazioni è fondamentale garantire servizi come gli sportelli informativi e di orientamento, il sostegno psicologico, i gruppi di auto mutuo aiuto, la formazione nonché il sostegno attraverso gli assegni di cura.

 

Queste iniziative non sono di fatto erogate in tutte le regioni. La diseguaglianza territoriale, dentro le regioni e tra le regioni, è un punto chiave rispetto al quale, parlando del prossimo futuro, è essenziale porre rimedio. È necessario che il cittadino italiano arrivi a conoscere, con chiarezza, le misure e gli elementi che lo Stato garantisce a suo sostegno, sia di natura sanitaria che sociale. Attualmente sono 8 le aree italiane, tra regioni e province autonome, che hanno varato norme sul riconoscimento della figura del caregiver familiare.

 

L’auspicio è che vi sia una capacità di comunicare, tra regioni e territori, le reciproche esperienze e le sperimentazioni in corso allo scopo di accelerare i tempi di riconoscimento nazionale del lavoro svolto dai caregivers familiari e l’attuazione di misure di sostegno basate sulla valorizzazione e sul riconoscimento delle competenze, nella cura dell’assistito e nella conoscenza dei suoi bisogni, del caregiver familiare stesso.

 

 

Oggi è vivo il tema della riforma alla domiciliarità che trova spazio nel PNRR e assegnazione di risorse nella recente legge di bilancio. Cosa ritiene sia importante attuare affinché la domiciliarità istituzionale sia di concreto sostegno ai caregivers familiari?

Il nostro paese è chiamato a definire con chiarezza cosa è l’integrazione sociosanitaria, non a parole ma nei fatti, in un’ottica non di acuzie ma nell’ottica specifica dell’assistenza a lungo termine. Un’assistenza davvero integrata, un’ADI per il lungo termine, che sappia integrare le competenze e specificità professionali con le competenze dei caregivers familiari, vera garanzia della continuità dell’assistenza. Un’assistenza domiciliare che possa garantire una molteplicità di interventi, per soddisfare le necessità di assistenza alle funzioni di vita quotidiana della persona fragile e garantire la sostenibilità e la conciliazione della cura da parte del caregiver familiare.

 

È necessario sviluppare ulteriormente il riconoscimento dei Livelli Essenziali di Assistenza come basi di partenza su cui poi, le singole Regioni si possano muovere sulla base delle proprie culture, conoscenze, esperienze e risorse. L’Emilia Romagna, ad esempio, ha un Fondo per la Non Autosufficienza importantissimo in termine di risorse messe a disposizione; in altre regioni non è così ed è quindi chiaro che i singoli territori si ritrovano ad agire in maniera differente, sia rispetto all’assistito sia rispetto al caregiver, non solo per visione politica e priorità di intervento, ma anche in base anche alle risorse disponibili.

 

La dimensione legata ai fondi e alla diversa esperienza maturata nei territori ha avuto e ha tutt’ora ricadute anche nell’utilizzo delle risorse del Fondo Nazionale Caregiver, conquistato con tanta fatica e pertanto prezioso, pur nella limitatezza delle risorse assegnate; le regioni come l’Emilia Romagna che godono di una legge regionale specifica per i caregivers ha potuto utilizzare queste risorse all’interno di un assetto di servizi già presenti rafforzandoli mentre, le regioni che non hanno una legge regionale di riferimento, hanno di fatto teso ad utilizzare le risorse distribuendole con una logica sostanzialmente di indennizzo monetario.

 

Il futuro di una risposta ai temi dell’assistenza a lungo termine, dell’invecchiamento della popolazione, dell’impegno di cura all’interno delle famiglie, credo che debba passare sempre più dentro due pilastri essenziali:

  • L’integrazione sociosanitaria all’interno di un sistema di servizi concepito per la domiciliarità. Pensiamo a cosa hanno significato le USCA nel contesto della pandemia, pensiamo a cosa potrebbe voler dire lavorare su quella esperienza rafforzandola con competenze di tipo sociale rispetto all’assistenza a lungo termine. Pensiamo a cosa vuol dire un sollievo che non è più solo di tipo residenziale ma può diventare anche di tipo domiciliare. Pensiamo a cosa significa un sollievo che si può articolare in più giornate o in fasce orarie favorendo la riconciliazione lavorativa, familiare e la “ripresa di pezzi di vita” di chi si prende cura. Pensiamo a quanto può significare sostenere il caregiver nella continuità delle sue funzioni di cura attraverso supporti concreti sanitari e sociali domiciliari, che consentono così all’assistito di rimanere nella propria realtà domiciliare. Il valore della domiciliarità non è chiaramente solo in relazione alla struttura abitativa bensì a tutte le relazioni familiari, amicali e di vicinato che danno valore alla storia di ciascuno. Una cura e una domiciliarità che diventino paradigma di tutta la comunità: la responsabilità familiare del caregiver, l’attenzione alla prossimità sostenuta dal buon vicinato, gli aspetti relazionali di inclusione potenziati e arricchiti dal volontariato e dall’ impegno delle istituzioni nel garantire servizi professionali sulle specificità del lungo termine (aperti nell’accessibilità e capaci di seguire i percorsi di vita). Dentro questo cambiamento dei percorsi e delle esigenze di vita dell’assistito e dei caregivers va altresì garantito il rispetto in termini di giustizia sociale e fiscale.

 

  • Il riconoscimento “alla pari” del caregiver intendendo, nello specifico, la garanzia del rispetto di questa figura, garanzia dell’ascolto della sua conoscenza dell’assistito e dei suoi bisogni e valorizzazione della competenza maturata durante il processo di assistenza. La visione dell’assistenza a lungo termine deve necessariamente considerare la figura del caregiver familiare. Come evidenziato nel Piano Nazionale della Cronicità non ci può essere un cronico se a fianco non c’è un caregiver. Questo principio deve essere alla base delle riflessioni e dei lavori del PNRR in materia di domiciliarità e sostegno al Long-Term Care.

 

Di cura tutti abbiamo bisogno nel percorso della nostra vita. Tutti dobbiamo impegnarci a dare con livelli ed impegni differenziati; questo è un principio fondamentale per ricostruire le nostre comunità e i nostri legami sociali. La pandemia ci ha dimostrato che nessuno può stare da solo. La cura non è competenza solo dei professionisti, ma è l’elemento che connette ed unisce le vite delle persone le loro comunità, i loro territori. 

 

 

Un ultimo pensiero ai giovani e giovanissimi caregiver…

I giovani sono spesso invisibili nel lavoro di cura. I primi studi sul loro coinvolgimento nelle attività di caregiving sono nati in correlazione all’emergere del fenomeno dell’abbandono scolastico, principalmente inglese. La rilettura, nel tempo, delle ragioni di questo fenomeno ha reso evidente un legame significativo dello stesso con gli impegni di cura che gravano sulle famiglie, sempre più piccole nel loro dimensionamento, e impegnate in compiti di assistenza sempre più lunghi, in termini di durata, e sempre più intensi. Le fatiche della conciliazione tra i tempi dedicati alla cura di un proprio membro fragile e le attività lavorative ha portato a ricadute pesanti anche sui giovani e sui giovanissimi chiamati a supportare i loro cari nelle attività di cura.

 

I giovani di oggi stanno mostrando un’enorme attenzione ai temi dell’ambiente, alla cura del nostro pianeta. È essenziale che noi diamo valore alla cura a partire dalle loro sensibilità riportando l’attenzione, accanto alla cura del pianeta, alla cura delle persone che lo abitano.

 

Sebbene non via siano dati di riferimento quantitativi validati a livello nazionale, secondo il nostro Osservatorio associativo durante la pandemia è aumentato il numero dei ragazzi e dei giovani che hanno assolto a funzioni di cura (rispetto ai 400mila che venivano stimati questo dato è certamente aumentato). Dobbiamo creare le condizioni affinché, chi è impegnato nella cura, come spesso succede nei ragazzi, non diventi, ad esempio, vittima di bullismo perché, a causa degli impegni di cura, non è nella possibilità di svolgere attività extrascolastiche al pari dei coetanei.

 

Dare valore reale alla cura significa in primo luogo far sì che, ferma restando una dimensione privata della cura, si giunga alla definizione della cura come dimensione sociale, rendendo tali dimensioni complementari e reciprocamente riconosciute, procedendo dall’ascolto e individuazione di bisogni di chi ha necessità di cura e di chi la presta, alla definizione di politiche sanitarie e sociali realmente integrate, alla messa in campo di risorse, all’attivazione di interventi e servizi professionali mirati e integrati con la cura familiare, il volontariato, il sostegno di cura della comunità.

P.I. 00777910159 - © Copyright I luoghi della cura online - Preferenze sulla privacy - Privacy Policy - Cookie Policy

Realizzato da: LO Studio