Immergersi nello studio dell’uomo, visto nel complesso, nei particolari e nei rapporti con la natura (cuore dell’antropologia) è un tema talmente seducente, ed al tempo stesso così intrigante che, a volte, rischia di lasciarci smarriti. La dimensione antropologica dell’uomo è sempre stata croce e delizia per le riflessioni di filosofi, sociologi, letterati, ma sta suscitando sempre maggior interesse anche da parte di psicologi e operatori del mondo sanitario.
Quando si analizza l’invecchiamento dell’uomo nella sua globalità, con tutti i risvolti “critici” in esso contenuti, emerge un certo disagio da parte di chiunque affronti il tema. In realtà chi si occupa di gerontologia e geriatria a tempo pieno è costantemente immerso nella complessità dei problemi, anzi, essi divengono “il pane quotidiano” da condividere con tutti gli attori (operatori, pazienti, parenti, politici e amministratori) che, a vario titolo, si trovano ad affrontare (per scelta, o per necessità) il tema della vecchiaia. È evidente che l’invecchiamento e tutto ciò che ad esso è correlato come il pensionamento, il problema del welfare, la disabilità, l’emarginazione, la complessità clinica, la cronicità, la dipendenza e tutte le altre attribuzioni, stanno mettendo “in crisi” la nostra civiltà e l’economia della nostra società. Visto in questa prospettiva il problema è veramente drammatico e sembra non avere soluzione.
Pur con queste premesse, la visione antropologica, ci ha stimolati a scoprire e comprendere le varie dimensioni biopsicofisiche, affettive ed esistenziali dell’uomo e dell’anziano in particolare. Un esempio di questa visione è stato proposto da alcune correnti di pensiero cui appartiene anche il Prof. C. M. Mozzanica, secondo il quale l’attenzione va posta in particolare alla corporeità, all’affettività e all’intenzionalità. Il nostro sguardo, deve quindi essere certamente rivolto alla corporeità nel campo sanitario attraverso l’anamnesi clinica classica, ma bisogna riservare particolare attenzione anche a informazioni quali lo sguardo, la capacità di ascolto, la mobilità del corpo come espressione del sé e al linguaggio non verbale. Il fine è comprendere che cosa l’anziano è ancora in grado di fare e comunicare. Analoga attenzione merita la dimensione affettiva attraverso la nostra capacità di cogliere i sentimenti, le pulsioni, gli istinti, le ansie, le paure, il pianto, il sorriso, la tristezza e la gioia che abitano e agitano il cuore dell’anziano.
Viene da chiedersi quanti di noi colgono e valorizzano, nella raccolta anamnestica, questa dimensione affettiva tentando di colloquiare, con il dovuto rispetto, del mondo interiore dell’anziano. Il metodo clinico geriatrico dà valore, correttamente, al riscontro su come l’anziano espleta le proprie funzioni fisiologiche ma, difficilmente, si sofferma sul suo mondo affettivo, anzi, questa domanda sembra appartenere esclusivamente ad una sfera privata… più intima dei propri bisogni fisiologici. Un ultimo elemento è l’intenzionalità intesa come salvaguardia nell’anziano della capacità di pensiero, della consapevolezza e coscienza di essere, per mantenere la capacità di scoprire e valorizzare costantemente la propria vita.
L’attuale modello economico sanitario sembra mettere in discussione, se non in crisi, il modello antropologico dell’approccio globale all’anziano. Al tempo stesso sta sorgendo l’esigenza di approfondire gli aspetti biopsicosociali delle persone bisognose di cure. È intuitivo che la disponibilità di risorse offre la possibilità di realizzare programmi di intervento più adeguati e raffinati ma, accanto alle risorse economiche, bisogna chiedersi quale spazio intendiamo dare ad un nuovo modello culturale gerontologico e geriatrico che includa veramente la dimensione antropologica dell’anziano.
La parola crisi è traducibile, secondo alcuni ideogrammi cinesi, come “occasione di cambiamento”. Forse si può iniziare a riflettere su ciò che appare critico per tentare di ripensare ad un nuovo modo di considerare l’anziano, l’invecchiamento e la società, per verificare se vi siano altri modelli di sviluppo per la collettività capaci di valorizzare ogni singolo individuo. Questa occasione di cambiamento potrebbe essere un inizio che, almeno in parte, dipende anche da noi.