1 Settembre 2010 | Cultura e società

Gli immigrati anziani; l’esilio senza regno – tra qui e là

Gli immigrati anziani; l’esilio senza regno - tra qui e là

Questo articolo si basa sul lavoro di sperimentazione medico-sociale condotto dalle équipe pluridisciplinari dell’Istituto di Gerontologia Sociale di Marsiglia su immigrati anziani in condizioni di precarietà, se non di marginalità. Si tratta di persone anziane che spesso vivono sole, versano in condizioni economiche disagiate e presentano un quadro sanitario compromesso (con diverse patologie di cui si sommano gli effetti); inoltre, l’analfabetismo, o la non conoscenza della lingua del paese di arrivo, contribuisce ad escluderle dall’accesso ai diritti sociali e sanitari. Più in generale, e in prospettiva, si pone la questione dell’accesso ai servizi di sostegno domiciliare e a quelli residenziali, nel rispetto della dignità di queste persone nel momento in cui diventano anziani.

 

“Essi fanno il viaggio dalla loro origine; partono per un paese che si chiama “Partire”…. essi amano la possibilità di lasciare, di essere lasciati, e di cercare un ritorno” (Sibony, 1991).  “Da sempre, sulla terra secca, inaridita fino all’osso, di questo paese smisurato, qualcuno camminava senza tregua, non possedendo niente, ma non servendo nessuno, signore miserabile e libero di uno strano regno… Sapeva solo che questo regno da sempre gli era stato promesso e che, ciononostante, non sarebbe stato suo se non, forse, per un attimo fuggente, in cui avrebbe riaperto gli occhi sotto un cielo improvvisamente immobile, e sotto flussi di luce congelata, mentre le voci che salivano dalla città araba tacevano bruscamente. Gli sembrava che il corso del mondo si sarebbe fermato e che nessuno, a partire da quel momento, sarebbe né invecchiato, né morto” (Camus, 1972).

 

Tra le fasce di popolazione anziana, alcune cumulano un certo numero di fattori la cui presenza può favorire, nel tempo, un consistente rischio di dipendenza: si tratta degli immigrati anziani, caratterizzati, di norma, dall’isolamento, dalla precarietà, da condizioni abitative problematiche e da condizioni di salute segnate da un invecchiamento precoce, a causa dell’usura legata alle precedenti condizioni di lavoro.

 

Dopo gli anni ’80,le politiche sociali verso la vecchiaia si sono riorganizzate attorno ai problemi legati alla dipendenza: si diventa sempre più vecchi, ma non necessariamente in buona salute. Tali politiche si sono sviluppate attorno ad un’alternativa: il ricovero in strutture collettive (case di riposo, sanitarie e non, pubbliche o private; lunghe permanenze in ospedale) o il sostegno domiciliare, che necessita di un insieme di servizi (aiuto nella vita quotidiana, coordinamento, sostegno ai caregiver familiari) e che concerne oltre i tre quarti delle persone molto dipendenti, cioè confinate a letto o in poltrona.

 

La possibilità di vivere a domicilio, infatti, si basa sull’intreccio di tre fattori:

  • un domicilio adatto o adattato;
  • un insieme di servizi coordinati;
  • la permanenza di una vita sociale, l’attivazione e il sostegno delle reti informali di aiuto.

 

Questi brevi cenni alle politiche sociali per la vecchiaia ci permettono di collocare meglio la problematica delle persone anziane immigrate e, in particolare, di quelle che vivono isolate, fuori dalle reti familiari. In effetti, ci è sembrato opportuno collocare le difficoltà degli immigrati anziani ricordando che la società nella quale viviamo spesso presenta la caratteristica di non considerare i soggetti se non quando si pongono come un problema, e che questa caratteristica comporta che i soggetti generalmente vengano ritenuti un problema solo se è coinvolta la sfera “economica”. Evidentemente, se il problema è d’ordine economico, lo diventa anche dal punto di vista sociale… Nell’immediato, si può constatare che gli immigrati anziani non costituiscono un tema rilevante nell’agenda politica e sociale, e che i problemi che essi pongono, a seguito dell’invecchiamento, trovano spesso una risposta solo da parte del mondo associativo e dell’impegno sociale militante.

 

A tutti è noto che gli immigrati invecchiano e che, al momento del pensionamento, continuano a risiedere in Francia, anche se il mito del ritorno è stato a lungo presente. Su questo tema del ritorno, ricordiamo, con Sibony (1991), che “l’immigrato somatizza più degli altri la sua pulsione verso l’origine, che diventa compulsiva… la sua frattura di migrante d’essere afflitto da uno spostamento impossibile. Somatizza là dove il richiamo al “viaggio” si incista nell’impotenza…”.

 

L’essere «tra due» mondi marca fortemente l’invecchiamento dei lavoratori immigrati anziani, posti tra un “qui”e un “là”, che partecipa “di una lunga attesa”, e anche di un’attesa di “essere”. Sibony mostra come, per quelli che si trovano in queste condizioni, il corpo può farsi carico di questa memoria “impossibile”. L’avanzare dell’età, con la riduzione delle capacità fisiche, sensoriali e psichiche che comporta, può costituire, soprattutto se connessa a condizioni di vita sociale ed economica non agiate, un terreno favorevole all’insorgere di una sofferenza le cui diverse forme possono condurre ad una riduzione dell’autonomia. Si comincia così a considerare i rischi dell’invecchiamento degli immigrati, specie del loro ingresso nelle età più anziane, nelle quali si pongono, tendenzialmente, problemi legati alla dipendenza fisica e/o psichica, o alla necessità di una loro presa in carico da parte di un sistema di protezione sociale complesso.

 

 

Il Sud della Francia rappresenta, per quanto riguarda sia l’invecchiamento della popolazione, sia le aree di arrivo degli immigrati, un contesto da privilegiare per una migliore messa a punto del binomio salute-precarietà per queste fasce di popolazione. Molte patologie poco conosciute o trascurate, che denominiamo patologie dell’esilio, potrebbero, col tempo, aggravarsi evolvendosi in una situazione di dipendenza i cui effetti saranno penalizzanti sia per il soggetto, sia per la società d’arrivo a causa del costo della presa in carico delle patologie invalidanti o croniche.

 

L’esperienza di medicina sociale preventiva sviluppata dal 1992 dall’Istituto di Gerontologia Sociale offre, a partire dai dati raccolti, l’opportunità di analizzare questo ambito di precarietà ancora poco noto in Francia. Anzitutto, occorre ricordare che al fine di prevenire un invecchiamento precoce o complesso, l’equipe dell’Istituto offre, da 25 anni, una visita medico-sociale annuale agli anziani, ai pre-pensionati e ai pensionati, oltre ad una pratica di educazione alla salute e al buon invecchiamento e da un servizio di Ascolto sociale delle persone isolate, seguite psicologicamente in caso di sofferenza. Queste visite sono assicurate quotidianamente da una equipe di geriatri e di psicologi, specializzati nella conoscenza dei rischi legati all’invecchiamento sul piano fisico, intellettivo, psicologico e sociale.

Nel centro di Marsiglia vi sono vecchi quartieri in difficoltà, con forte presenza di immigrati: le persone ricevute dall’equipe medico-sociale dell’Istituto di Gerontologia sociale sono soprattutto pensionati, talvolta le loro mogli, ma anche beneficiari del RSA (Reddito di Solidarietà Attiva – Revenu de Solidarité Active), disoccupati, invalidi o persone senza copertura sociale, ad esempio i senza fissa dimora. Più dei due terzi sono sposati ed hanno dei figli ma, spesso, la famiglia è al paese di origine ed essi vivono soli. Dal punto di vista etnico, il 96% della popolazione ricevuta proviene dai paesi maghrebini, con una forte predominanza di algerini. I loro redditi sono, nella maggior parte dei casi, molto modesti e inferiori al minimo pensionistico. Più della metà abita in pensioni e circa l’11% risiede in abitazioni per immigrati; tutti gli altri sono affittuari e abitano talvolta, ma raramente, in famiglia :questi ultimi godono di un riconoscimento sociale e della possibilità di una vita più regolare. Il 95% sono pensionati sociali, anche se sono numerosi quelli che non hanno potuto, o saputo, far valere i propri diritti, perché spesso i documenti dell’ Assicurazione sociale non sono aggiornati e i documenti non sono in regola. Tutto ciò comporta che essi finiscano per perdere i loro diritti e che, in caso di urgenza, diventi difficile intervenire rispettando le norme: il 90% di essi, infatti, non ha la mutua, anche tra i percettori del RSA. Dal punto di vista medico, e senza entrare nei dettagli, il 37% delle visite ha rilevato una patologia non diagnosticata o ha permesso di prendere in carico una patologia comune ma trascurata.

 

Nel colloquio con i medici, la prima cosa di cui si lamentano è il «sentirsi stanchi», ma, nel proseguo della visita, emerge che questo non è che uno dei sintomi di una sindrome depressiva più o meno pronunciata: è un modo per esprimere l’isolamento, la solitudine, la lontananza dal paese di origine e dalla propria famiglia, le cattive condizioni di vita e la negativa condizione sociale. Successivamente emergono le lamentele che riguardano soprattutto l’ambito delle patologie reumatiche, e di quelle gastro-intestinali, che non sono slegate all’ambito psicosomatico. Riassumendo, si constata una situazione medico-sociale spesso molto negativa: i loro consumi sanitari sono molto ridotti e i due terzi non hanno un medico curante. Ci sono enormi difficoltà a trovare i mezzi per aiutarli nel quadro delle leggi in vigore. Lo svolgimento della carriera lavorativa (orari di lavoro, periodi di disoccupazione o di lavoro nero, malattie non dichiarate), la loro origine e nazionalità, sono altri elementi che possono spiegare come tale situazione sia nata e come si sia costituito questo stato di precarietà.

 

L’insieme di queste difficoltà e di questi ostacoli all’accesso al sistema di cura sono rafforzati dall’analfabetismo dei lavoratori immigrati anziani: l’analisi delle schede sociali rileva che questo aspetto riguarda il 95% delle persone visitate. Da questo dato derivano diversi problemi, anzitutto per quanto riguarda il contatto periodico con i medici: dato che i soggetti non hanno riferimenti scritti, gli appuntamenti sono spesso dimenticati, specie se sono stati presi con molto anticipo. Inoltre, al termine della visita, l’équipe si confronta col problema dell’osservanza delle prescrizioni: tutto il nostro sistema è basato sulla scrittura e l’analfabetismo ne è escluso. Una prescrizione di medicinali o di analisi da effettuare è anzitutto una carta su cui sono scritte le modalità di impiego. Ma un analfabeta, come può usarla? Quando egli lascia il medico gli resta da un lato un pezzo di carta quasi inutile e, dall’altro, quel che la sua memoria ha potuto immagazzinare. Quando noi rivediamo certi utenti, constatiamo che il livello di aderenza alle cure è disastroso.

 

Un’altra difficoltà rilevata è di ordine medico-amministrativo: molti pazienti hanno documenti non aggiornati. Le persone analfabete non sono in grado di controllare la data di scadenza dei loro documenti e quando qualcuno gliela segnala non possono verificare quel che gli si dice. Complessivamente, molte pratiche amministrative necessitano di documenti che rimangono validi solo per un periodo relativamente breve. L’analfabetismo e le difficoltà di monitoraggio nel tempo comportano che, spesso, quando l’interessato prevede di servirsi dei documenti per l’accesso alle cure, ai servizi pubblici e associativi (per esempio il mantenimento a domicilio), o ai diritti sociali (pensione di vecchiaia), essi siano da rifare. Sul piano sanitario, questo complica molto il compito del medico che può curare efficacemente solo un paziente che beneficia della presa in carico sociale dei costi sanitari. L’intervento sanitario deve allora aspettare che la documentazione sociale sia aggiornata e ciò è più problematico in caso di urgenza.

 

Su questo tema specifico, non si può non constatare l’esistenza di “zone d’ombra” tra le associazioni che cercano di trovare delle soluzioni a questi problemi e le amministrazioni ancora poco inclini a modificare le proprie pratiche. In queste “zone d’ombra” ci sono anziani analfabeti lasciati a se stessi e che si trovano un po’ alla volta coinvolti in una dinamica di esclusione, se non di un esilio interiore. Dall’incrocio di questi parametri emerge una marginalità degli immigrati anziani che viene a fondersi con quella dei «vecchi» deprivati, il cui avanzare dell’età non fa che avvicinare al rischio di esclusione e di perdita dell’autonomia. Peraltro, questa marginalità degli immigrati anziani è paradossalmente rafforzata dal loro isolamento: individuale (pochi hanno la famiglia sul posto), ma anche collettivo nell’ambito del mondo del lavoro.

 

Sibony nella sua opera “Entre-deux: l’origine en partage” ci ricorda che «il fenomeno degli immigrati, la loro concreta presenza, sono da pensare come una prova della verità per tutti i soggetti coinvolti.» Non è poco importante per un paese avere aree di immigrazione, tracce di viaggio iscritte nel tessuto sociale…

 

Gli immigrati sono messi a confronto con la loro origine e con quello che essi vorrebbero diventare di diverso. Come stranieri con problemi in apparenza molto specifici, rivelano al paese d’arrivo i suoi punti di crisi latenti. La cultura che li accoglie potrebbe quasi ringraziarli in quanto la “risveglia”, la mette alla prova ricordandole i suoi problemi identitari, gli enigmi della sua origine; la interroga sulla sua funzione culturale, sulle tappe interessanti da fare nel viaggio dall’origine in cui ciascuno, come può, si trova ad identificarsi. “Trovare il proprio posto”: la questione non è solamente quella del disoccupato, anche se si chiarisce più crudamente quando si manca di un proprio posto. È la questione cedevole e violenta delle persone ‘senza posti’ di tutti i generi, di quelli che cercano il loro posto, che si interrogano su di esso quando si sentono “disinserite”. I disoccupati, i “giovani”, gli immigrati e tanti altri che conoscono il problema di “trovare il proprio posto” e che mantengono vivo questo problema che ciascuno trova nei punti di rottura o di mutamento della sua esistenza. Sarebbe un peccato non avere conosciuto questi momenti critici, momenti di spiazzamento, che impediscono di identificarsi con il posto in cui si è nati, o in cui si è stati.

 

Più complessivamente, si capirà che nelle età anziane tutto è estremamente sedimentato; inoltre, tra gli studiosi di gerontologia sociale è noto che in queste età le ineguaglianze sociali sono accresciute e aggravate. Le precarie condizioni abitative, di salute, della vita sociale e le limitazioni, se non l’impossibilità, ad accedere ai servizi esistenti, alle informazioni concernenti i diritti acquisiti, dovute all’analfabetismo o ad altri diversi motivi, si associano per opprimere la dignità della persona, e questi elementi contribuiscono, dunque, alla perdita dell’autonomia. Gli immigrati anziani hanno una vita d’esilio alle loro spalle. Là, da dove sono venuti, non sono più presenti e qui essi non sono niente a dispetto dei loro sogni di integrazione e di riuscita sociale che essi hanno ridimensionato al servizio del paese di arrivo. Tra questi due mondi, questi due spazi, questi due tempi, resta un cammino da percorrere nel paese di arrivo che, in fin dei conti, non è stato il ‘regno’ atteso, intravisto, sperato. Pertanto, la società di arrivo, qualsiasi siano le sue difficoltà al momento, non deve dimenticare, con Albert Camus (1972), che “per gli esiliati, il regno è tra i più umili degli uomini, quando si è meritato di essere ammessi tra loro”.

Bibliografia

Camus A.L’exil et le royaume.Gallimard, coll Folio, 1972.
Sibony D.Entre-deux: l’origine en partage, Paris, le Seuil, 1991.

Bibliografia consigliata

Argoud D, Pennec S, Le Borgne-Uguen F, Mantovani J, Pitaud P, Redonnet M. Les migrants âgés et les solidarités dans le cadre du maintien à domicile accès aux services. In Vieillir en France, Gunter Narr Tübingen, 29 janvier 2004;116:70-8.
Dherbey B. Pitaud P.La dépendance des personnes âgées; des services aux personnes âgées aux gisements d’emploi.Toulouse, Ed. ERES, 1996.
Montandon A, Pitau P. (a cura di), Vieillir en Exil. Presses universitaires Blaise Pascal 2006.
Pitaud P. (a cura di) Solitude et isolement des personnes âgées; l’environnement solidaire.Ed ERES -pratiques du champ social-Toulouse, 2004.
Pitaud P. Prévenir l’isolement des personnes âgées; voisiner au grand âge .Ed. Dunod, coll Action sociale, Paris, 2004.
Pitaud P. Older immigrants in France – a medical and a social approach of exclusion. In Generations Review – Journal of the British Society of Gerontology 2004;14(3):20-2.
Pitaud P, Dherbey B, Lazreug D. Contribution à une réflexion sur la condition des immigrés âgés, Vieillir dans les villes de l’Europe du Sud.Toulouse, Ed. ERES, 1994.

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