Questo articolo propone ai lettori una sintesi ragionata1 di quanto contenuto nel Rapporto OECD “Care Needed: Improving the Lives of People with Dementia”. In particolare, ci si concentra sul capitolo dedicato all’identificazione dei malati (cap. 2), a quello inerente l’ageing in place (cap. 3) e all’ultima parte che si sofferma sui servizi sanitari e di lungo-assistenza (cap. 4).
Identificare le persone con demenza
Nonostante non ci sia una cura per la demenza, la diagnosi tempestiva permette ai malati e alle loro famiglie di accedere a servizi ed interventi che possono essere di grande aiuto.
L’importanza dei medici di base
I medici di medicina generale, che in molti paesi sono figure centrali nel processo di diagnosi, sono spesso riluttanti e poco inclini a svolgere un ruolo così rilevante. In proposito il Rapporto evidenzia come in diversi casi questo atteggiamento sia riconducibile alla mancanza di capacità ed esperienza. A questo tipo di problematica si affianca la riduzione del numero di medici di medicina generale e l’aumento del numero di pazienti, con la conseguente riduzione del tempo disponibile per ciascuno di essi (lo studio cita il caso della Slovenia, ma questo quadro potrebbe riproporsi a breve anche in Italia). Per sostenere i medici nella valutazione e diagnosi della demenza sono stati sviluppati diversi strumenti caratterizzati dalla facilità di impiego e linee guida che in alcuni casi sono state appositamente disegnate per i medici di base. La tabella 1, dove l’Italia non compare, mostra che sono almeno 16 i Paesi OECD in cui esistono specifiche linee guida, non necessariamente sviluppate da ogni singola realtà ma anche da associazioni o organizzazioni non governative.
Lo studio sottolinea che le linee guida, per essere efficaci, dovrebbero essere accompagnate da appositi momenti formativi e suggerisce che la formazione potrebbe essere più efficace se rivolta a pochi e se intensiva.
Nei prossimi anni il rapporto tra rischi e benefici dei programmi di screening per la demenza potrebbe cambiare, qualora i risultati dei trial in corso riguardanti l’efficacia dei trattamenti in fase preclinica (cioè quelli che vanno somministrati prima della manifestazione dei sintomi) dovessero mostrare risultati positivi (i primi risultati sono attesi nel 2019-2020). Se così sarà, i governi dovranno affrontare il difficile problema di come identificare la popolazione che potrebbe beneficiare di questi interventi precoci.
Ad oggi, dunque, nonostante l’importanza crescente della gestione dei problemi clinici nell’ambito delle cure primarie, i medici specialisti continuano ad avere un ruolo importante per la diagnosi della demenza e nell’identificazione della tipologia (fra cui la malattia di Alzheimer, la demenza a Corpi di Lewy e la demenza vascolare). La disponibilità di specialisti varia notevolmente da un paese all’altro: per gli psichiatri ed i neurologi, ad esempio, vi sono 17 medici ogni 100.000 persone in Portogallo e 57 in Svizzera, mentre l’Italia, secondo questa rilevazione, si posiziona in una situazione intermedia.
Le Unità di valutazione
Il Rapporto prosegue evidenziando l’importanza delle memory clinics – da noi Unità di Valutazione Alzheimer (UVA) e ora Centri per i Disturbi Cognitivi e per le Demenze (CDCD) – presenti in maniera fortemente differenziata nei vari paesi (tabella 2). L’Italia, da questo punto di vista, è fra i paesi messi meglio (27.000 anziani per ogni UVA/CDCD nel 2017).
Quasi nessun paese ha definito delle linee guida ufficiali per l’attività delle memory clinics e questo ha portato ad una notevole variabilità dei servizi offerti, spesso legati all’iniziativa del singolo. In proposito, lo studio cita le esperienze di “standard minimi” di Svizzera e Danimarca. Il Rapporto evidenzia il ruolo crescente delle memory clinics nel supporto post-diagnostico, inteso come quell’insieme di servizi, interventi, risorse e loro coordinamento che una persona con diagnosi di demenza può ricevere. Questo tipo di attività è di particolare importanza quando le opportunità di cura e assistenza sono frammentate ed i malati e le loro famiglie faticano a venirne a conoscenza e ad accedervi.
Il ruolo giocato delle memory clinics dopo la diagnosi è centrale per i casi non comuni di demenza e i casi complessi come le demenze frontotemporali, ai quali secondo il Rapporto dovrebbe essere assicurato il follow up in modo continuo lungo il corso della vita.
L’importanza dei dati
Il secondo capitolo dello studio OECD si conclude dedicando un’ampia riflessione al tema dei dati nazionali e standardizzati, lamentando come la loro assenza sia di ostacolo al miglioramento dei servizi e delle politiche.
La registrazione della diagnosi di demenza all’interno del sistema sanitario è importante per capire come i malati utilizzano i servizi disponibili, per misurare eventuali differenze nella qualità e quantità del loro utilizzo e, in definitiva, per misurare i progressi e l’efficacia delle politiche attuate.
Le differenze fra i paesi nel livello e nella modalità di raccolta, conservazione, condivisione e uso dei dati sono notevoli. Negli anni recenti alcuni paesi (6) hanno sviluppato appositi Registri per la demenza a livello nazionale o regionale – fra cui la Svezia (SveDem) e la Danimarca (Danish Dementia registry) – ma anche con questo modello rimane aperta la sfida della raccolta dei dati provenienti dai differenti settings assistenziali (in particolare l’assistenza di base) e di come assicurare una copertura completa.
Lo Svedish Dementia Registry (SveDem), secondo il Rapporto, è il registro più completo attualmente in uso nei paesi OECD. Fondato nel 2007, include le persone che ricevono una nuova diagnosi di demenza. I dati raccolti sono di tipo demografico e clinico in relazione alla diagnosi di demenza (punteggio MMSE, tipologia di demenza, risultati della valutazione diagnostica), cui si aggiungono informazioni riguardanti i trattamenti farmacologici e non ricevuti dal paziente, la disponibilità di servizi sociali di supporto, il tempo intercorso per ricevere la diagnosi formale dopo la prima segnalazione; quando il paziente è ricoverato in struttura di assistenza a lungo termine vengono registrati anche dati di tipo infermieristico. I dati vengono raccolti dal 100% delle memory clinics e dal 79% dei medici generici. Il sistema, dunque, è in grado di fornire dati attendibili sull’incidenza della demenza nel paese e altre informazioni importanti per i ricercatori, fra cui 7 indicatori volti a misurare la qualità dei trattamenti e dell’assistenza, accompagnati da target di servizio da raggiungere (tabella 3).
Il Danish Dementia Registry è stato avviato nel 2005 e nel 2016 è stato ampliato con l’obiettivo di coprire l’intero territorio nazionale. I dati, in occasione delle nuove diagnosi di demenza, vengono raccolti dai servizi specialistici e da tutte le memory clinics, mentre i medici generici non sono obbligati ad inserire i dati. Il registro restituisce 8 indicatori di processo e di volume (tabella 3), alcuni dei quali già utilizzati nella definizione delle policy a livello nazionale.
Se i Registri di Svezia e Danimarca sono nati con l’intento di raccogliere dati specifici – già esistenti ma non sistematizzati oppure mai rilevati in precedenza – ve ne sono altri basati sull’uso di dati raccolti per finalità amministrative. In proposito il Rapporto cita i casi di Israele e Francia, che hanno sviluppato registri a partire dai dati delle compagnie assicurative.
In Francia la Banque nationale Alzheimer, avviata nel 2009, punta a raccogliere tutti i casi di demenza attraverso le memory clinics, i memory research centres e i medici specialisti. Le informazioni raccolte fanno riferimento alla diagnosi di demenza, informazioni demografiche e informazioni di base riguardanti i trattamenti farmacologici e non, oltre alle condizioni di vita. Uno studio ha sottolineato l’importanza di rivedere l’impianto del registro per collegarlo a dati di altre fonti come il database del sistema assicurativo sanitario nazionale (che potrebbe fornire informazioni sul consumo di medicinali, ospedalizzazione ed altre informazioni) e con il Registro nazionale delle cause di decesso. Il Registro Alzheimer francese è in fase di ristrutturazione allo scopo di migliorare la qualità dei dati.
Sostenere la vita in comunità
Promuovere le condizioni affinché le persone con demenza possano continuare a vivere nelle proprie comunità, ritardando o evitando la loro istituzionalizzazione, è il primo obiettivo che molti paesi OECD si sono posti. Tale obiettivo è menzionato nei piani nazionali strategici di diversi paesi tra cui Australia, Irlanda, Giappone, Norvegia, Svezia, Inghilterra. Le politiche di questi paesi sono volte ad incoraggiare le persone con demenza a rimanere al proprio domicilio più a lungo possibile attraverso interventi diversificati, volti a migliorare l’accesso alle cure e ai servizi post diagnosi, ad implementare il coordinamento dei servizi e a promuovere le Dementia Friendly Communities sostenendo, in linea generale, i caregivers nella gestione dell’assistenza.
La figura 1 mostra le tendenze relative alla disponibilità di posti letto nelle strutture residenziali ogni 1000 abitanti ultra65, dal 2005 al 2015. E’ evidente la progressiva riduzione del numero di posti letto operata nei paesi maggiormente impegnati nello sviluppo delle Dementia Friendly Communities. Ad esempio, la Svezia, nel periodo analizzato ha ridotto la disponibilità nelle strutture residenziali di n. 23,5 posti letto ogni 1000 abitanti nella popolazione over 65. Tale riduzione può essere attribuita agli sforzi per sviluppare le Long Term Care domiciliari. L’Italia, secondo il Rapporto, nello stesso periodo ha aumentato la disponibilità di posti letto in struttura residenziale di 3.3 posti ogni 1000 abitanti nella popolazione over 652.
Le terapie
Poche le novità che emergono dal Rapporto OECD nel campo delle terapie farmacologiche. Viene riconosciuto il valore delle terapie non farmacologiche soprattutto nel miglioramento della qualità di vita delle persone con demenza e dei loro familiari e nel supporto concreto nella gestione della quotidianità, contribuendo a ridurre alcuni disturbi comportamentali, promuovendo il mantenimento della relazione ed evitando l’isolamento (stimolazione multisensoriale, arte, musica e danza terapia, pet therapy, reminiscenza, massaggi e stimolazione cognitiva).
L’accesso a servizi coordinati e integrati: un anello debole ovunque
L’attivazione di percorsi post-diagnosi, il coordinamento dei servizi e la realizzazione della funzione di case management si caratterizzano per essere un anello debole ovunque. Orientarsi nel sistema dei servizi risulta essere difficile in tutti i paesi e i cittadini, sovente, non conoscono quali sono i servizi disponibili e, per questa ragione, faticano ad accedervi. L’organizzazione dei servizi territoriali, anche in relazione ai ruoli di coordinamento, si diversificano non solo di paese in paese ma, spesso, si rilevano difformi modalità nell’accesso ai servizi e nell’organizzazione anche all’interno di uno stesso territorio nazionale.
Il miglioramento dei percorsi di accesso alle cure e il case management rappresentano i punti chiave in molti piani strategici nazionali. In alcuni paesi si rilevano progetti di informazione alle famiglie volte a supportarle nell’accesso ai servizi attraverso lo sviluppo di siti internet dedicati quale, ad esempio, PREPARE, progetto sviluppato ed utilizzato in Irlanda3 .
L’analisi delle modalità organizzative di accesso alle cure attuate nei diversi paesi OECD evidenzia una discreta diffusione di servizi finalizzati al coordinamento delle cure, ossia centri specializzati di riferimento per il paziente simili, per diversi aspetti, alle nostre Unità di Valutazione Geriatriche, che vengono gestiti in alcune realtà dai medici di assistenza primaria, soprattutto nei casi meno complessi e, in altri casi, dai Comuni. La tabella 4 riporta la disponibilità di questi servizi in paesi OECD selezionati; l’Italia non viene citata.
La disponibilità di centri di coordinamento delle cure e la presenza di una figura professionale con funzione di case manager dimostrano la loro efficacia, soprattutto nel ridurre e nel ritardare l’istituzionalizzazione, in particolare se attuati precocemente, alla diagnosi, e nelle prese in carico di lungo periodo.
Sono soprattutto i “casi complessi” a beneficiarne.
Diverse sono le esperienze attive in tale direzione:
- il progetto MAI in Francia
- Memory teams in Norvegia: si tratta di centri, diffusi in quasi tutto il paese, che garantiscono una valutazione multidisciplinare in struttura o a domicilio, attivabile direttamente dalla famiglia anche in fase pre-diagnosi. I professionisti del memory team sono membri della rete pubblica delle cure per le persone affette da demenza, garantendo in questo modo cure di continuità
- l’esperienza della Danimarca prevede la disponibilità, garantita da molti comuni, di una figura di coordinatore della presa in carico delle persone con demenza che svolge molteplici funzioni tra cui visitare le persone al proprio domicilio, garantendo il monitoraggio dei sintomi e informando sui servizi disponibili.
Demenza e comunità
Le Dementia Friendly Communities possono concretamente contribuire a migliorare la qualità di vita per le persone affette da demenza: questo è uno dei messaggi sottolineati nel rapporto OECD. Il concetto di Dementia Friendly Community è nato in Giappone con l’obiettivo di ridurre lo stigma nei confronti della demenza e sensibilizzare le comunità ad accettare e a mettere in atto atteggiamenti inclusivi nei confronti delle persone affette da demenza. Il Giappone ha iniziato, prima e più rapidamente di altri paesi, ad affrontare le sfide poste dall’invecchiamento demografico attuando, nell’ultimo decennio, profonde riforme nelle Long Term Care, sia sul fronte dell’organizzazione dei servizi che su campagne socioculturali volte a sensibilizzare la popolazione. Ad esempio, nella gestione dello wandering, grave disturbo comportamentale e principale preoccupazione per chi è affetto da demenza e vive nel contesto di una comunità, il Giappone ha promosso la costituzione di gruppi di volontariato che si attivano nel caso in cui una persona affetta da demenza si perda. Si tratta di esperienze sviluppate grazie alla collaborazione tra i diversi membri della comunità: i volontari, le famiglie, la polizia locale, ecc.
Circa il 90% dei paesi OECD ha attuato qualche forma di attività “friendly” per le demenze; la maggior parte di esse sono realizzate da volontari e le loro caratteristiche variano sensibilmente, persino all’interno di ciascun paese. In Austria, ad esempio, sono stati attuati programmi di formazione integrata rivolta agli agenti di polizia grazie all’intervento della Security Academy of the Interior Ministry. Il programma formativo prevede tre moduli di base volti a supportare gli agenti nel riconoscere le persone affette da demenza e li aiuta ad adottare strategie comportamentali per approcciarsi ad esse in modo adeguato, soprattutto in presenza di disturbi comportamentali quali, ad esempio, l’agitazione.
Nelle politiche di Dementia Friendly Communities altri soggetti privilegiati, individuati come destinatari di percorsi formativi ad hoc, sono i farmacisti soprattutto in relazione al ruolo professionale che rivestono e che li conduce ad incontrare frequentemente malati di demenza. I programmi di formazione specifica attivi sono orientati a formare i farmacisti nel riconoscere i primi segnali di demenza, offrire informazioni di supporto alle famiglie e facilitare l’invio ai servizi specialistici. Molti sono i paesi che stanno lavorando affinché i farmacisti, unitamente ai medici di assistenza primaria, supportino le persone con demenza.
In linea generale si evidenzia che i programmi di formazione per Dementia Friendly Community possono essere rivolti a tutta la popolazione e richiedono investimenti finanziari e temporali relativamente bassi. I primi programmi in Gran Bretagna richiedevano un’ora di tempo ed erano visibile tramite un video4.
L’importanza di misurare i risultati dell’assistenza per le persone con demenza che vivono nelle comunità
Sono pochi gli studi standardizzati volti a rilevare gli outcomes per le persone affette da demenza che vivono al domicilio, nei contesti comunitari. Pochi sono i paesi impegnati a valutare come le persone vivono nelle comunità: solo 8 sue 21 paesi OECD (38%) hanno riferito di poter stimare la prevalenza di persone affette da demenza che vivono nella Comunità, seppur in assenza di un monitoraggio continuativo; l’Italia non è tra questi. Solo 11 dei paesi OECD (il 52%) è in grado di identificare le persone che hanno ricevuto la diagnosi e che ricevono servizi a domicilio; l’Italia non è tra questi. La tabella 5 mette in evidenza i paesi che presentano disponibilità di dati riferiti alle persone con demenza che vivono al domicilio; l’Italia non è tra questi.
La famiglia al centro dei percorsi di cura
Il rapporto OECD conferma che, ovunque, il primo carer è la famiglia. Allo stato attuale più di 1 persona su 8, over 50, assiste una persona, con o senza demenza almeno una volta la settimana (figura 2)5.
Le donne costituiscono la maggioranza dei caregivers informali in tutti i paesi OECD; 3 su 5 caregiver sono donne (l’Italia si posiziona sopra la media). I caregivers non sono spesso preparati a rispondere all’evoluzione della malattia e, il peggioramento progressivo delle condizioni del malato, unitamente all’emergere di bisogni sempre più complessi, possono contribuire ad aggravare lo stress emotivo conducendo, il caregiver stesso, in situazioni di burn out.
Le politiche per ridurre gli effetti negativi del caregiving informale sono cresciute; tutti i paesi hanno sviluppato interventi finalizzati a migliorare la qualità di vita dei caregivers. Negli ultimi anni alcuni paesi tra cui Australia, Irlanda e Norvegia, hanno dichiarato il loro impegno a ridurre il carico che grava sui caregivers attraverso lo sviluppo di piani e strategie mirate. In Austria il piano strategico per la demenza identifica il caregiver informale come target primario su cui concentrare interventi e sforzi, volti soprattutto ad incrementarne competenze e abilità. Anche in Norvegia sono previsti interventi di formazione, supporto e sollievo per i caregivers informali. L’Inghilterra ha riconosciuto nuovi diritti per i caregivers informali tra cui la valutazione dei bisogni da parte delle autorità locali e la conseguente pianificazione di supporti e sostegno.
Le politiche di sostegno per i caregivers lavoratori
Molti sono i paesi che hanno sviluppato politiche di sostegno per i caregivers lavoratori. Lo scopo di questi interventi è quello di proteggere, con opportune strategie, i caregivers informali che, per dedicarsi all’assistenza dei propri familiari malati, sono spesso costretti a ridurre o, a rinunciare, all’attività lavorativa con evidenti conseguenze negative sulle finanze familiari. Più della metà dei paesi OECD (19) attuano politiche di protezione dei caregivers lavoratori consentendo l’utilizzo di congedi, per parte del tempo retribuiti, l’adozione di orari di lavoro flessibile, telelavoro o lavoro da casa, la riduzione temporanea dell’orario di lavoro, tutte misure utili ad offrire un aiuto concreto soprattutto quando la durata della malattia si protrae negli anni.
Ad esempio, in Inghilterra, tutti i dipendenti (anche coloro che sono caregiver) possono richiedere un accordo di lavoro flessibile dopo un periodo di qualificazione iniziale di 26 settimane. In Germania è stato recentemente introdotto un congedo di assistenza familiare specifico per sostenere i dipendenti che necessitano di occuparsi di un familiare che richiede assistenza. I lavoratori possono richiedere un congedo per la durata massima di 6 mesi a tempo pieno, oppure scegliere di lavorare part-time per un massimo di 24 ore settimanali. È garantito l’accesso ad un congedo di tre mesi quando il lavoratore assiste un proprio familiare nel fine vita. In aggiunta al congedo è possibile accedere a prestiti senza interessi, subordinati alla dimensione occupazionale, volti a sostenere i caregivers tenuto conto della riduzione del reddito (stabilità finanziaria).
Altri servizi intervengono a sostegno dei caregivers (ricoveri temporanei in centri specializzati, ricoveri in urgenza, centri diurni) che offrono un tempo di riposo e di pausa dai compiti di assistenza e che diversi studi confermano come componenti essenziali di un sistema di sostegno ai caregivers. In alcuni paesi tra cui Norvegia, Danimarca, Irlanda e Svezia l’accesso ai servizi/ricoveri di sollievo viene definito in base alla necessità valutate e viene consigliato o prescritto come parte del piano di cura personalizzato sviluppato in concerto con il care manager. In Austria i servizi di sollievo sono disponibili tra i diversi servizi di sostegno per coloro che svolgono funzione di caregiver. Tenuto conto dei costi elevati dei ricoveri di sollievo alcuni paesi hanno definito il numero massimo di giorni utilizzabili, ogni anno, dai malati (es in Nuova Zelanda tale limite a fissato a 28 giorni annui, in Israele oltre i 15 giorni non è più previsto il rimborso da parte dello stato).
I servizi diurni sono disponibili in tutti i paesi ma la domanda supera ampiamente la disponibilità effettiva. Inoltre, sovente, tali servizi non sono specifici per i malati di demenza. La loro efficacia viene confermata da molteplici studi, soprattutto in relazione all’opportunità di interazione sociale che i malati sperimentano frequentando ambienti di socializzazione partecipando ad attività di stimolazione specifica per le demenze. Molti sono i paesi OECD che dichiarano la centralità dei servizi diurni a sostegno dei malati di demenza e dei loro caregivers (in Cile i centri diurni sono un pilastro degli interventi nazionali a sostegno dei malati affetti da demenza)6.
L’importanza di valutare le politiche esistenti
Le strategie di miglioramento dei diversi programmi atti a sostenere i caregivers delle persone affette da demenza deve basarsi sulla misurazione e valutazione dell’efficacia delle politiche esistenti. I paesi che hanno iniziato a raccogliere dati utili sull’assistenza ai malati di demenza e ad individuare indicatori capaci di valutare l’efficacia delle politiche attuate sono pochi (Australia, Canada, Stati Unit e Inghilterra) e non prevedono l’analisi dei costi.
La tabella 6 è suddivisa in strumenti di misura dei risultati (outcomes), delle esperienze (experiences), dei costi (costs) mettendo in evidenza quanto siano maggiormente diffusi gli strumenti di misurazione degli outcomes rispetto alle altre due aree di misura considerate.
L’Australia è l’unico paese ad aver avviato un sistema di misurazione di outcomes relativi ai sistemi assistenziali per le demenze che includa la verifica dei costi. “Invecchiamento, disabilità e caregiver” è il nome di un progetto di ricerca australiano che, unitamente ad altri studi in corso, è impegnato nella raccolta di tali informazioni relative a persone over 60, persone con disabilità e i loro caregivers comprendendo diverse dimensioni di analisi (caratteristiche dei caregivers, impatti emotivi del lavoro di cura, modelli di servizi utilizzati, tempo libero, supporti utilizzati, esiti sulle carriere lavorative, benefit ricevuti per l’assistenza, formazione, costi complessivi).
I servizi di cura e di Long Term Care per la gestione delle fasi avanzate della demenza sono pochi
Il rapporto OECD evidenzia che i servizi capaci di affrontare e gestire le fasi avanzate della demenza si rivelano pochi e inadeguati. In diversi paesi stanno emergendo nuovi modelli di servizi istituzionali, specializzati nel far fronte ai bisogni delle persone con demenza nelle fasi più severe della malattia. Si tratta di setting assistenziali di tipo residenziale, simili a piccole comunità, che offrono un’alternativa alle case di riposo tradizionali e che consentono ai malati di condividere ambienti e spazi familiari con altri residenti e con uno staff formato promuovendo le interazioni sociali e l’indipendenza con un impatto positivo sulla qualità della vita. L’accesso a questi setting assistenziali, che in molti paesi sono frequentemente a gestione privata, risulta condizionato dai costi.
Il personale nei servizi per le demenze
La frequenza di sintomi comportamentali della demenza sono stati associati con il livello di formazione e apprendimento degli operatori dei servizi, oltre ad altri fattori e, gli interventi volti a potenziare la formazione del personale, sono risultati efficaci nella gestione e riduzione dei disturbi comportamentali (Boustani et al., 2005; Chenoweth et al., 2009; Spector et al., 2013).
Percorsi di formazione specifica per le demenze agli operatori dei servizi potrebbero migliorare la qualità di vita dei pazienti. Tutti i paesi riconoscono, nella formazione del personale, uno degli strumenti più importanti per garantire efficacia e qualità nei servizi per le demenze e molti di essi investono risorse specifici per migliorare le competenze degli operatori dei servizi. Ad esempio, in Inghilterra, tutti gli operatori che lavorano in organizzazioni che interagiscono con persone con demenza sono obbligati a fare una formazione specifica sulle demenze, in linea con i propri livelli professionali (The Dementia Core Skill Education and Training Framework). Approssimativamente l’85% degli operatori che lavorano con i dementi hanno completato una formazione certificata per le demenze. In Olanda e Svezia per poter lavorare nei centri per la demenza è necessario conseguire una formazione di base. L’Australia offre programmi, finanziati a livello nazionale, specifici per la presa in carico e la cura dei denti (Dementia Training Australia). Esperienze similari sono quelle in Danimarca e Norvegia (Dementia ABC educational programme) dove i centri di cura per le demenze possono accedere a fondi pubblici per finanziare la formazione dei propri operatori.
Investire nel personale rappresenta un driver importante in tutti i paesi, soprattutto tenuto conto che gli operatori dediti agli interventi assistenziali non godono di livelli di specializzazione molto alti e conducono una professione che espone quotidianamente a forti carichi emotivi e stress. Basso stipendio, stress lavorativo e un basso prestigio sociale genera scarsa soddisfazione negli operatori assistenziali con impatti negativi sui servizi, evidenziabile ad esempio nel turn over elevato del personale nelle strutture. Questi elementi, uniti ai trend demografici relativi all’invecchiamento della popolazione, mettono i governi di fronte a sfide e dilemmi le cui soluzioni spesso non risultano sempre conciliabili tra loro. Aumentare gli stipendi degli operatori della cura può senz’altro accrescere l’attrattiva verso queste professioni ma ciò, al contempo, significa aumentare i costi pubblici dell’assistenza, oggi non facilmente sostenibile dai paesi.
Tuttavia sono comunque attive forme di incentivo economico per chi sceglie di diventare professionista della cura dei pazienti con demenza, spesso subordinate a specifici vincoli. Alcuni paesi, ad esempio, hanno avviato strategie di intervento su questo fronte fissando dei minimi salariali. La Nuova Zelanda, nel 2017, ha introdotto concrete possibilità di incremento degli stipendi delle professioni di cura associando però tale incentivo economico all’acquisizione di formazione specifica ed esperienza. Anche in Norvegia è in corso una politica di incentivo salariale per gli operatori dell’assistenza applicabile dopo il completamento di percorsi di formazioni specifica. La Germania presenta un’esperienza analoga.
La gestione dei sintomi comportamentali rimane una tra le principali sfide
I trattamenti farmacologici antipsicotici, utilizzati allo scopo di garantire maggior serenità al malato, sono usati frequentemente nella gestione dei disturbi comportamentali.
Molti paesi hanno introdotto linee guida sull’utilizzo dei farmaci antipsicotici. Gli USA hanno introdotto forme di regolazione dell’utilizzo di questi farmaci nei contesti istituzionali residenziali incentivando la formazione al personale come leva per individuare tutte le strategie alternative per gestire i disturbi dei pazienti ed evitando quindi, ove possibile, di ricorrere al trattamento farmacologico. Allo scopo di rafforzare l’adesione a tali politiche sono stati introdotti incentivi economici per i servizi virtuosi. Il Rapporto evidenzia inoltre che formazione del personale sociosanitario può anche ridurre l’uso delle contenzioni. Gli operatori formati nel trovare ed utilizzare strategie alternative nella gestione dei sintomi comportamentali e psicologici riducono significativamente l’utilizzo delle contenzioni nei setting istituzionali (Testad et al., 2005; Kopke S. et al. (2012).
Gli studi riportati suggeriscono l’importante di proseguire nello sviluppo di processi formativi atti ad addestrare gli operatori nel trovare strategie alternative alla gestione dei BPSD per ridurre il ricorso ai farmaci e alla contenzione. Risulta inoltre fondamentale monitorare tali strategie, utilizzate per il controllo e la gestione dei disturbi comportamentali, allo scopo di ridurre l’assistenza inappropriata. Alcuni paesi hanno iniziato ad utilizzare sistemi di monitoraggio dei processi assistenziali (SweDem Dementia Registry).
Migliorare la qualità delle cure ospedaliere
Il rapporto evidenzia che le strutture ospedaliere nei paesi OECD non sono adatte a far fronte ai bisogni dei pazienti con demenza. Il ricovero in ospedale può affrettare il declino cognitivo e funzionale delle persone con demenza, con maggiore rischi di mortalità sia per brevi o lunghi ricoveri, rispetto a chi non è affetto da demenza (Sampson et al., 2009; Morrison and Siu, 2000; Nightingale et al., 2001).
Alcuni paesi hanno cercato di migliorare la capacità del personale di assistere le persone affette da demenza con maggiore efficacia. In Australia, in alcuni ospedali per acuti, è disponibile il Dementia Behaviour Management Advisory Service, un servizio specializzato per aiutare le persone che manifestano disturbi comportamentali e psichiatrici. In Irlanda, nei setting ospedalieri, vengono garantite consulenze da parte di infermiere specializzate nella gestione dei pazienti con demenza che svolgono anche un ruolo di collegamento e integrazione tra l’ospedale e i servizi territoriali. Esperienze simile sono attive in Slovenia e in Inghilterra.
Il Delirium è un segno diffuso, spesso non riconosciuto, delle carenze, nei contesti ospedalieri, nella gestione dei malati affetti da demenza. In alcuni paesi tra cui la Svizzera, l’Inghilterra e la Nuova Zelanda vengono adottati protocolli mirati per la gestione del delirium. I reparti geriatrici funzionano meglio, tuttavia non sono sufficienti a rispondere a tutte le domande di ricovero. La disponibilità di informazioni sulla diagnosi di demenza consentirebbe agli ospedali di identificare in modo immediato i malati, all’atto del ricovero; ad oggi ciò rappresenta un obiettivo ancora da raggiungere.
Il Rapporto rileva, in diversi paesi, la carenza di disponibilità di informazioni sulla diagnosi di demenza, tra i diversi setting di cura e ciò non consente di disporre di dati rappresentativi di prevalenza nelle diverse realtà territoriali né di garantire forme di assistenza adeguate. Un paziente che accede al pronto soccorso può avere già ricevuto una diagnosi di demenza, registrata nei data base dell’assistenza primaria o dell’Istituto di assistenza a lungo termine che lo ha in carico, ma se questa informazione non è condivisa con il personale ospedaliero, in fase di valutazione e ammissione in Ospedale, il paziente stesso potrà non essere riconosciuto e codificato come affetto da demenza. Ciò può influenzare non solo l’accuratezza dell’accettazione amministrativa e diagnostica, ma anche la qualità dell’assistenza che il paziente può ricevere. In tal direzione in Canada il Canadian Chronic Disease Surveillance System collega i dati ospedalieri, la fatturazione del medico, i dati relativi ai farmaci e il registro delle assicurazioni sanitarie riferiti al 97% della popolazione. L’elaborazione di adeguate Linee guida per la diagnosi possono aiutare a migliorare l’accesso e la gestione della persona affetta da demenza in ospedale, quali ad esempio l’ICD9 o ICD10.
Morire bene: fine vita e cure palliative
Nei paesi OECD le persone affette da demenza continuano ad avere un insufficiente accesso alle cure palliative nonostante, la demenza stessa, sia una malattia non guaribile per la quale, l’approccio palliativo personalizzato e con finalità di supporto rappresenta lo strumento principale per garantire una buona qualità di vita al paziente. Le Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT) molto spesso risultano poco applicabili alle persone con demenza e molti paesi si stanno attivando affinché le persone possano essere informate in modo adeguato e in tempi consoni per poter effettuare scelte personalizzate. Ad esempio, in Nuova Zelanda, tutte le persone che ricevono assistenza domiciliare ricevono informazioni sulle DAT. L’utilizzo delle DAT è comunque molto limitato e raggiunge il 4% dei malati in Inghilterra (2% in Galles). Lo sviluppo di adeguate Linee Guida per il paziente con demenza nelle fasi del fine vita potrebbe aiutare i paesi a garantire percorsi adeguati e una migliore qualità di vita nelle fasi della terminalità.
La tabella 7 riporta la situazione di diversi paesi OECD relativamente alla disponibilità di accedere e utilizzare le DAT e alla disponibilità di un sistema organizzativo e giuridicamente efficace di protezione giuridica e rappresentanza legale. Nella sezione relativa all’Italia risulta indisponibile l’utilizzo effettivo delle DAT e risultano invece garantite forme di protezione giuridica e rappresentanza legale ma solo relativamente alle aree finanziarie e patrimoniali.
Risulta evidente che accompagnare un malato di demenza nel fine vita è particolarmente difficile per le difficoltà di comunicare e comprendere i bisogni e la volontà del malato stesso. Per tale ragione sarebbe opportuno promuovere la discussione sulla modalità di gestione del fine vita prima che la demenza non consenta più al malato di esprimere la propria volontà. I paesi sono chiamati ad occuparsi di più del modo di morire dei malati con demenza.
Foto di Gerd Altmann da Pixabay
Note
- Il lavoro si giova delle preziose indicazioni di Antonio Guaita in merito ai punti di particolare interesse.
- Questo tendenza all’aumento dei posti letto non si ritrova nei risultati dell’indagine Istat sui Presidi residenziali socio assistenziali e socio sanitari, che indica un andamento tendenzialmente calante
- In Italia un tentativo, in questa direzione, è attuato dalla Federazione Alzheimer
- Anche in Italia sono in corso esperienze analoghe
- La definizione di caregiver informale differisce nei diversi studi. 1. United Kingdom è riferito alla Gran Bretagna
- per un approfondimento dei servizi diurni in Italia https://www.luoghicura.it/wp-content/uploads/2019/01/NNA_Approfondimento_2018.pdf
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