16 Maggio 2023 | Programmazione e governance

Legge Delega Anziani: intervista ad Antonio Guaita

L’approvazione della Legge Delega per l’assistenza agli anziani non autosufficienti rappresenta per l’Italia un traguardo importante che pone le premesse per la riforma del sistema. Nei prossimi mesi sarà decisiva l’emanazione, da parte del governo, dei Decreti Delegati che dovranno dare operatività al nuovo impianto organizzativo e stanziare le risorse necessarie per attuare la riforma stessa. Di seguito pubblichiamo l’intervista ad Antonio Guaita, direttore della Fondazione Golgi Cenci, che contiene riflessioni e approfondimenti inerenti la Legge Delega e la sua attuazione.


Il Sistema Nazionale Anziani Non Autosufficienti: Lo SNAA

La Legge Delega istituisce lo SNAA (Sistema Nazionale Anziani non Autosufficienti) quale modello organizzativo cui viene affidata la programmazione e il coordinamento delle attività per gli anziani non autosufficienti su tutto il territorio nazionale. Si tratta di un’innovazione importante per il nostro paese, che proviene invece da una storia in cui la non autosufficienza è stata sempre prevalentemente gestita a livello regionale, con enormi differenze tra le regole e i servizi presenti nei diversi territori.

 

–> Quali pensa siano le priorità a cui dare attenzione affinché le regioni possano operare in una logica di omogeneità di “direzione”, tenuto conto delle grandi differenze regionali, valorizzando al contempo le buone prassi già in essere a livello locale?

 

Il punto chiave della reale attuazione di un indirizzo condiviso e anche di buon funzionamento dello SNAA è la formulazione del “Piano Nazionale per l’assistenza e la cura della popolazione anziana non autosufficiente” e dei successivi piani regionali. Il pericolo che vedo nell’ambito di questo processo è che l’elaborazione di questo piano venga interpretato come un compito “legislativo” del CIPA (Comitato Interministeriale per la Popolazione Anziana) e che abbia come interlocutori solo i ministeri. Il Piano, a mio parere, andrebbe sin da subito condiviso con esperti e rappresentati regionali, anche prima della sua versione definitiva. Portarlo, ad esempio, alla sola approvazione della Conferenza stato-regioni non è sufficiente: devono essere previste delle tappe di elaborazione condivisa con esperti e rappresentanti regionali e istituzionali, coordinati dal CIPA in un tavolo nazionale.

 

Uno dei compiti di questo tavolo nazionale del CIPA potrebbe essere la proposta di un “formato standard” per la definizione dei Piani regionali attraverso cui le regioni potranno indicare aree e obiettivi su cui intendono presentare progetti specifici per migliorare l’assistenza ai non autosufficienti. Per realizzare questo processo servono finanziamenti ad hoc a cui le regioni possano accedere per realizzare la riforma, valorizzando e formalizzando al contempo i necessari ruoli di monitoraggio e controllo della attuazione del piano nazionale e di quelli regionali. Purtroppo, in Italia non esiste un Istituto nazionale, quale ad esempio negli USA il “National Institute on Aging” a cui affidare il ruolo di monitoraggio e controllo tecnico scientifico su mandato e per conto del CIPA.

 

Nella storia del nostro paese, un esempio di successo nell’ambito dei piani di programmazione nazionali in area sanitaria è stato il “Piano nazionale demenze” che, per la sua formulazione e poi attuazione, aveva istituito un tavolo tecnico con esperti e rappresentanti regionali, suddiviso per i diversi obiettivi individuati, che ha funzionato bene, anche in termini di positiva collaborazione fra Ministero della Salute e Istituto Superiore di Sanità.

 

 

Assistenza Domiciliare Integrata, Case della Comunità, Punti Unici di Accesso

La Legge Delega punta sul rafforzamento dell’assistenza domiciliare integrata. Case della Comunità e PUA si stanno popolando di operatori per effetto dei concorsi e degli avvisi pubblici effettuati da ASL/ATS. Il loro ruolo sarà prevalentemente esplicato in un ruolo informativo e di front office, di valutazione multidimensionale inerenti le Valutazioni locali oltre che di attivazione di servizi e monitoraggio degli interventi.

 

–> Oltre al potenziamento degli interventi di assistenza domiciliare, obiettivo previsto nel PNRR divenuto già prioritario nelle singole legislazioni regionali, quale ritiene sia il percorso da attuare affinché oltre ad un aumento “numerico” si giunga ad interventi coordinati e integrati fra loro? Qual è il ruolo dei PUA su questo specifico aspetto?

 

Purtroppo, l’esperienza passata e recente non induce a prevedere una “spontanea convergenza” fra operatori e servizi per garantire interventi integrati. La logica della singola prestazione, in molti casi opposta a quella della “presa in carico”, ha di fatto premiato la frammentazione e lo svolgimento del compito senza una reale condivisione dell’obbiettivo globale di cura. Occorre quindi contrastare questa cultura (e la sua traduzione organizzativa) ormai maggioritaria fra le realtà regionali e locali. Non ci si può illudere, dobbiamo sapere che garantire questo cambiamento sarà una operazione complessa per la quale vanno previsti ripensamenti sia organizzativi che culturali, anche attraverso la formazione ad hoc degli operatori di questi servizi. A cominciare dal PUA che tende, e tenderà, a “scivolare” verso formulazioni di tipo autorizzativo, con il rischio di diventare non uno sportello che indirizza bensì un ufficio che autorizza e che, sostanzialmente, mette timbri.

 

Occorrerebbe garantire che il PUA si definisca come un organismo di reale consulenza al cittadino, che sappia informare sulla realtà dei servizi del territorio e che, nel rispetto delle libertà di scelta, sappia indicare i criteri di accesso e di appropriatezza ai vari servizi. Questo come minimo. Ancor più ambizioso ma importante e necessario sarebbe la disponibilità di un servizio per i casi socio sanitari di particolare complessità cui indirizzare anziani non autosufficienti e famigliari, dove la persona può essere valutata nei suoi vari aspetti e indirizzata verso la risposta sanitaria e assistenziale migliore possibile. Questo ruolo potrebbe averlo l’Unità Valutativa: quindi non una Unità Valutativa che “veda le carte” ma che “veda le persone”, costituita da medici e altri professionisti in grado di attuare una reale valutazione multidimensionale, in collaborazione con il medico di medicina generale.

 

Purtroppo, le precedenti Unità Valutative, in moltissime realtà si erano trasformate in “unità autorizzative” basate sulle scartoffie o, nella migliore delle ipotesi, in “Unità collocative” con una visione dei servizi socio sanitari come di “contenitori” dove “mettere” gli anziani non autosufficienti. Da lì alle “Unità svalutative” il passo è breve. Tutti i famigliari che prestano assistenza ad un anziano non autosufficiente, ma anche gli operatori, lamentano la mancanza di un centro che svolga questa azione di “consulenza” qualificata, ben informata e accessibile. Per questo in passato avevamo perorato la causa (persa) di creare una struttura consultoriale per gli anziani, piuttosto che una Unità Valutativa. Va inoltre considerato che oggi, la maggioranza delle richieste di assistenza riguarda persone non autosufficienti affette da deficit cognitivo (demenza) per la presa in carico delle quali è necessario un raccordo con i servizi come i CDCD (Centri disturbi cognitivi e demenze, ex Unità Valutative Alzheimer), oltre ad un loro potenziamento. Questo aspetto, benché lo si metta qui alla fine, è in realtà uno dei temi principali che deve essere affrontato, sia dal punto di vista dei contenuti che dell’organizzazione dell’assistenza domiciliare, semiresidenziale e residenziale.

 

–> Quali sono le strategie di azione che, a suo avviso, potrebbero essere più efficaci per garantire che la platea di erogatori attivi sui territori, che hanno garantito negli anni i servizi ai cittadini, possano lavorare in stretta sinergia con i PUA e le Case di Comunità senza diventare nel tempo puri esecutori di servizi?

 

La domanda è importante ma non penso che allo stato attuale vi siano risposte comprensive e globali a questo tema. Occorrerebbe una fase sperimentale per capire realmente che cosa può funzionare meglio. Si tratta di un tema delicato che mette in gioco da una parte l’indubbio valore della possibilità e libertà di scelta della persona anche nel momento del bisogno, dall’altra la necessità di indirizzare al meglio la spesa pubblica, evitando inappropriatezze dispendiose di risorse sempre scarse. Dare peso alla domanda, regolandola solo per quanto è indispensabile, è un valore irrinunciabile.

 

D’altra parte, non si può pensare di attuare servizi, costosi e che diano garanzia di struttura e qualità, in totale anarchia, confidando che sia solo la tariffa a regolare il rapporto fra domanda e offerta, entrambe libere. I risultati in alcune regioni, come la Lombardia, dove ciò è stato attuato in modo abbastanza estremistico hanno dimostrato che si tratta di un modello che non funziona e che vi è la necessita, come per qualunque azione sociale, di correttivi e di regole anche sul versante della domanda, oltre che di attività di sorveglianza.

 

Ritengo che un sistema, tipo quello degli “assegni di cura”, possa funzionare ma a condizione che:

  • vi sia un organo consultoriale sul territorio che realmente funzioni (PUA, UV) a consigliare e orientare la domanda;
  • che le regole di accreditamento delle agenzie assistenziali pubbliche e private siano chiare, condivise e sottoposte a reale verifica periodica;
  • che il compito di chi riceve assegni di cura e svolge il servizio sia di sottoscrivere o eventualmente formulare/concordare le modifiche del PAI;
  • che il “motore” della richiesta sia il MMG, che deve però essere formato, e che vi sia un raccordo convenzionale con le realtà locali di coordinamento (Casa di comunità, UV), PUA);
  • che vi sia la possibilità per l’UV e alcuni servizi specialistici anche ospedalieri di attivare la richiesta di assegno di cura direttamente informandone il MMG;
  • che vi sia un sistema informativo efficiente che sia in grado non solo di recepire i dati di funzionamento quotidiano di tutto il sistema ma anche di restituire report utili per strategie di “bench-marking” cioè strumenti di sorveglianza e promozione del miglioramento per tutti gli attori del sistema.

 

 

Valutazione Multidimensionale

La Legge Delega introduce la Valutazione Unica Nazionale collegata a quella locale, quest’ultima effettuata dai PUA nell’ambito delle Case della Comunità. In Italia oggi sono attuate più valutazioni in relazione ai servizi attivati/attivabili e, ciascuna di esse, tenuto conto delle indicazioni normative (regionali) prevedono operatori e strumenti di valutazione differenti.

 

–> Quali operatori ritiene siano indispensabili nei setting di valutazione individuati dalla Legge Delega? Per quali ragioni?

 

Occorre distinguere i diversi livelli che la legge delega individua, poiché i loro obiettivi sono diversi. Ad esempio non si può pensare che la Valutazione Multidimensionale Unificata (VAMU) si occupi dei piani di assistenza. Il suo compito è stabilire il grado di autonomia/dipendenza attraverso indicatori misurabili dello stato funzionale nel contesto di vita della persona.  Per questo, è necessario che lo strumento di valutazione abbia caratteristiche di ottima affidabilità sia di “inter rate” che di  “test-retest reliability”,  anche a spese di un suo basso potere di risoluzione fra i diversi livelli delle singole funzioni valutate, con “gradini” ampi, senza necessità di  elaborazioni interpretative del  valutatore. L’apparente grossolanità di alcuni strumenti di valutazione è ben ripagata dalla loro affidabilità complessiva.

 

Si tratta di una valutazione che si può effettuare con una visita veloce, anche online, che non richiede capacità specialistiche ma può essere condivisa fra infermieri, medici, psicologi, educatori, fisioterapisti e assistenti sociali.  Il “core” valutativo dell’autonomia deve essere un terreno condiviso e non “proprietà specialistica” di questa o quella figura (non si tratta certo di un approccio svalutativo delle singole professionalità). La presenza del medico e di una altra professione, sociale o sanitaria, purché formata per la valutazione funzionale dovrebbe essere sufficiente. Andrebbe inoltre ben formulata la motivazione con cui eventualmente questa Commissione chiede visite specialistiche (ad esempio geriatriche, oggi piuttosto inflazionate).

 

La composizione delle UVM che debbono anche formulare un PAI, come già detto, dovrebbe avvenire sempre sulla base della conoscenza della persona e non solo delle “carte” che la descrivono. Perciò deve essere costituita da professionisti di area sanitaria e/o sociale con eventuale possibilità (limitata) di richiedere consulenze specialistiche in caso di dubbi diagnostici. Non si può non tenere conto di come oggi, la grande maggioranza delle richieste specialistiche riguardi persone in cui la causa principale di non autosufficienza è di tipo psichico e legata alla presenza di demenze (ormai nella mia esperienza queste costituiscono la larga maggioranza delle richieste). In questo aspetto, un raccordo con i CDCD è fondamentale per avere strumenti che dialogano e permettono di non ripetere onerose valutazioni già effettuate.

 

–> Quali potrebbero essere gli strumenti di valutazione, oggi disponibili e validati, più opportuni da utilizzare per realizzare una idonea Valutazione – sia in riferimento a quella Nazionale Unica che a quella Locale?

 

L’obiettivo della VAMU è ampio e consente, a mio avviso suggerisce, di usare strumenti largamente di base e affidabili, validati in italiano ma usati a livello internazionale, in cui la semplicità e l’affidabilità facciano aggio sulla dettagliata raccolta di tutti gli aspetti della dipendenza1. Anche qui, l’avvertenza riguarda il deficit cognitivo e la demenza e, di conseguenza, appropriati strumenti di screening che la riguardano. Questa patologia è già, e lo sarà ancor di più in futuro, una delle cause principali di non autosufficienza. Alcuni strumenti utilizzabili potrebbero essere le B-ADL di Katz, le IADL (ma con chiara ri-formulazione della valutazione in base al genere), il MMSE.

 

Questo tipo di valutazione, naturalmente non è sufficiente per fornire indicazioni che siano alla base della attività delle UVM e della formulazione del PAI. in questo setting sarebbe utile uno strumento, sempre validato e di uso internazionale, che consenta poi di essere utilizzato in continuità come punto di raccordo e di partenza per chi deve iniziare a fornire assistenza in ambito domiciliare o residenziale. Tutti gli strumenti devono garantire il loro utilizzo informatico e avere una versione utilizzabile online. Questo con la piena convinzione che la valutazione multidimensionale non si identifica con le scale di valutazione, i numeri e i possibili algoritmi, ma che questi sono solo degli indicatori, il più possibili affidabili, riferiti e riferibili a ragionamenti, decisioni e piani che tengono conto di elementi narrativi e contestuali individuali, non tutti misurabili in modo standardizzato. Come dice Eraclito di Apollo: “Il dio non svela e non nasconde, ma indica”…dove al posto di dio molti potrebbero mettere le scale di valutazione!

 

 

Assistenza residenziale e semiresidenziale

La Legge Delega fa riferimento all’assistenza residenziale e semiresidenziale soprattutto in relazione alla necessità di migliorare le competenze di coloro che operano nell’ambito dei servizi per la non autosufficienza e sul miglioramento della qualità degli ambienti di vita, capace di facilitare le relazioni comunitarie.

 

–> Tenuto conto delle importanti differenze regionali nella regolazione di queste strutture quali crede siano le priorità concrete da porre in atto in merito alle competenze degli operatori e in merito al miglioramento della qualità degli ambienti di vita?

 

Restringo un poco il campo della domanda, assai vasto (ho appena trattato questo tema in due libri: “RSA oltre la pandemia” e “Le RSA luoghi della cura psicogeriatrica”, pubblicati nel 2021 e 2023) per mettere in luce quello che a me pare siano due elementi su cui basarsi per riflettere sulla parte residenziale: la pandemia da COVID 19 nelle RSA e la presenza delle persone con demenza. La pandemia ha colpito duramente nelle RSA dove sono avvenute quasi la metà di tutte le morti (46% secondo dati desunti da 21 paesi del mondo).

 

Ciò ha consentito di riflettere largamente su quanto sia avvenuto nel territorio circostante e su quanto le residenze siano state lasciate per troppo tempo sole ad affrontare a mani nude il virus; al contempo è anche vero che per le RSA la pandemia è stato uno “stress test” che ha messo in evidenza alcuni punti deboli che hanno favorito la mortalità che riporto in estrema sintesi:

  • la condizione psicofisica dei residenti: essere anziani, essere fragili e affetti da demenza sono stati fattori di rischio pesanti per la mortalità. Si tratta di condizioni che descrivono quasi tutti i residenti delle RSA;
  • la mancanza di spazi privati: secondo l’Istituto Superiore di Sanità solo una minoranza di strutture ha potuta avere spazi di isolamento per i contagiati (48 % di quelle che hanno risposto alla survey, quindi probabilmente già selezionate fra le più efficienti). Inoltre, l” indice di affollamento” cioè il rapporto fra numero delle stanze e numero dei residenti è risultato un fattore pesantemente correlato con morbilità e mortalità;
  • la penuria di personale: è stata dimostrato un rapporto inverso fra numerosità del personale e mortalità e morbilità da COVID 19: un aumento di 20 minuti di assistenza per residenti al giorno comportava una riduzione del 22% di casi;
  • il tipo di lavoro del personale di cura: non solo la sua qualificazione, per cui la presenza di medici e infermieri ha contato come fattore di protezione, ma anche il tipo di rapporto di lavoro. Laddove lo staff era composto da persone che lavoravano su più strutture o con alto turn over, la pandemia ha colpito più duramente;
  • il ruolo dei famigliari: spesso critico per le strutture, quando non ostile e di difficile gestione. I familiari si sono sentiti estranei alla struttura.

 

Accanto a questi punti, le RSA hanno dovuto fare i conti con l’alta prevalenza di persone con demenza2e con la necessità di garantire quindi un modello specifico di gestione dei bisogni di questi anziani (anche qui in sintesi):

  • la perdita motoria tardiva: vi è quindi un lungo periodo di non autosufficienza “mobile”
  • la imprevedibilità del comportamento e del bisogno, la instabilità clinica
  • la necessità di sorveglianza: occorre organizzare non solo l’assistenza, che è spesso programmabile in momenti topici della giornata, ma anche la sorveglianza che invece avviene sulle 24 ore per sette giorni su sette.

Oltre alla necessità di attivare proposte organizzative più specifiche per la demenza e più efficaci, occorre anche denunciare situazioni insostenibili, come il basso numero di addetti all’assistenza.

 

Gli aspetti critici di queste strutture, sui quali è necessario intervenire, possono essere raggruppati su due versanti:

  1. la struttura fisica: spazi privati, soluzioni anche tecnologicamente avanzate per la sorveglianza, la sicurezza e l’autonomia dei residenti, spazi per i famigliari, allestimento di strumenti di telemedicina;
  2. il personale: aumento dei numeri minimi dello staff di cura oggi vergognosamente sottodimensionati, contratti di lavoro che assicurino continuità e formazione obbligatoria per tutto lo staff, collegamento con gli specialisti anche attraverso la telemedicina.

 

A questo, aggiungerei un altro aspetto che non deriva direttamente da questi ma è altrettanto importante ossia lo scambio di servizi con il territorio, la necessità per le RSA di essere non solo luoghi di ricovero e cura ma anche centri erogatori di servizi per il resto della popolazione.

Note

  1. Vorrei non entrare direttamente nell’argomento degli strumenti suggerendo questo e quel sistema di valutazione, ben sapendo come molti gruppi sia di ricerca che clinici e assistenziali nelle diverse realtà siano “innamorati” dei loro strumenti.
  2. che ha comportato una mortalità da COVID 2,6 volte maggiore rispetto agli altri anziani

Bibliografia

Bibliografia per approfondimento sulle Unità Valutative

Guaita A., (2009), Le UVG tra benessere dell’anziano ed efficienza della rete, in NNA “L’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia,  Rapporto 2009, Maggioli Editore, pagg 143 – 156.

 

Bibliografia per approfondimento sulle RSA 

Costanzi C., Guaita A., (2021), (a cura di), Le RSA oltre la pandemia, Maggioli editore.
Guaita A., Colombo M., (2023), La Rsa luogo della cura psicogeriatrica, Maggioli editore.

 

Bibliografia per approfondimento sui dati internazionali Covid-19

  • Mortalità territorio – RSA

Comas-Herrera A., Zalakaín J., Lemmon E., Henderson D., Litwin C., Hsu A.T., Schmidt A.E., Arling Florien Kruse G., Fernández J., (2021), Mortality associated with COVID-19 in care homes: international evidence, International Lon Term Care Policy Network.

 

  • Indice di affollamento

Lombardo F.L., Salvi E., Lacorte E., Piscopo P., Mayer F., Ancidoni A., Remoli G., Bellomo G., Losito G., D’Ancona F., Canevelli M., Onder G., Vanacore N., and The Italian National Institute of Health Nursing Home Study Group (2020), Adverse Events in Italian Nursing Homes During the COVID-19 Epidemic: A National Survey, in Frontiers in Psychiatry, V. 11. doi.org/10.3389/fpsyt.2020.578465.

Brown K.A, Jones A., Daneman N., Chan A.K., Schwartz K.L., Garber G.E., Costa A.P., Stall N.M. (2021), Association Between Nursing Home Crowding and COVID-19 Infection and Mortality in Ontario, Canada Supplemental content, in JAMA Intern Med, 181(2), pp. 229–236.
doi.org/10.1001/jamainternmed.2020.6466.

 

  • Personale

Li Y., Temkin-Greener H., Shan MS G., Cai X. (2020), COVID-19 Infections and Deaths among Connecticut Nursing Home Residents: Facility Correlates, in Journal of the American Geriatrics Society, 68(9). doi.org/10.1111/jgs.16689.

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