24 Febbraio 2023 | Recensioni

Storia della vecchiaia nella cultura occidentale

Recensione:
“Storia della vecchiaia nella cultura occidentale. Dalla venerazione all’ageism, di Carla Costanzi, prefazione di Nicola Palmarini, Maggioli Editore, 2022.


“Storia della vecchiaia” recita il titolo del volume, ma quello che si trova in questo libro va anche al di là del titolo. Il quesito all’origine di questo testo riguarda la ricostruzione del ruolo sociale assegnato agli anziani nella storia del mondo occidentale: davvero andando a ritroso nel tempo troveremo sempre anziani rispettati e tenuti in grande considerazione dagli altri membri della collettività? Solo l’epoca moderna e la sua esaltazione della giovinezza hanno prodotto il discredito di tutto ciò che riguarda lo status di anziano? E ancora: il conflitto tra generazioni è fenomeno esclusivamente contemporaneo o ha precedenti in epoche più o meno remote?

 

A questi interrogativi il libro risponde con documentate testimonianze di fonte letteraria, normativa, amministrativa, nonché manufatti artistici ritenuti indicatori delle opinioni e dei sentimenti prevalenti in determinati gruppi sociali in circoscritti momenti storici. Infatti, è stato scritto applicando un metodo di indagine che è insieme storico, quindi sempre ben documentato, antropologico, per cui sono indagati anche gli aspetti culturali, il clima di ogni epoca, e sociale, con alcune analisi stimolanti sul contesto delle relazioni famigliari e sociali. Tutto questo analizzando un arco temporale che va dalle società nate all’albore della storia, come gli Ebrei, fino al mondo contemporaneo con i suoi veloci cambiamenti e le molteplici contraddizioni con cui oggi i vecchi si confrontano. In questo ampio excursus la visione che Costanzi vuole offrirci è che i vecchi di oggi e la loro collocazione sociale sono il risultato di un lungo cammino che li ha “creati” nei secoli precedenti.

 

Il doppio volto della vecchiaia che attraversa i secoli

Il libro si compone di cinque capitoli, più una introduzione, una conclusione e una post fazione ma gli elementi contradditori sono palesi già dai primi capitoli che riguardano mondi antichi in cui lo stereotipo vedrebbe i vecchi sempre venerati. Sulla base di una capacità di lettura dei documenti storici, compresa la letteratura e il teatro, ci viene dimostrato che non è così. Vi era infatti un doppio approccio ai vecchi che comprendeva sia il rispetto e la considerazione per chi invecchiava “bene”, sia il dileggio e l’esclusione sociale per chi invecchiava “male” o non seguiva i canoni di comportamento considerati propri dei vecchi. Questa doppia presenza culturale e sociale si ripete, in modi diversi, in epoche e paesi distanti. Un lungo cammino occorrerà, ad esempio, perché l’indigenza di chi, per vecchiaia, non è più in grado di provvedere a sé stesso trovi un aiuto dalla comunità e, un cammino ancor più lungo, sarà necessario perché questo venga riconosciuto come un compito dell’insieme della comunità.

 

Un così complesso condensato di cose non poteva essere breve ma, a merito di Costanzi, l’intero volume è contenuto in poco più di 200 pagine suddivise in cinque “macro” capitoli. Il primo capitolo è, per così dire, di definizione dei termini e dei metodi su cui il libro è costruito, a partire dalla sfuggente definizione di vecchiaia. Poi si susseguono i capitoli che seguono un ordine storico. Il secondo si occupa del mondo ebraico, greco e romano. Il terzo del medioevo, partendo dalla tarda antichità per arrivare a comprendere il 400. Il quarto capitolo, assai corposo, ci accompagna dal cinquecento fino all’ottocento, mentre il quinto dal novecento fino ai giorni nostri.

 

I cinque capitoli dedicati ciascuno a un periodo storico: risposte diverse ma con tratti simili

Si può dire che ciascun capitolo ha dei temi che lo caratterizzano, ma vi è una unitarietà di sguardo che ben spiega l’autrice nella post fazione: “Il punto d’avvio delle riflessioni che il libro propone è stata la verifica dell’assunto, molto diffuso nell’opinione comune, che un tempo, a differenza di quanto vediamo oggi, gli anziani godessero di rispetto condiviso e si riconoscesse la loro saggezza d’autorità. Ripercorrendo la storia delle culture sviluppatesi nel continente europeo (ma a partire dall’altra sponda del mediterraneo, il mondo giudaico, dove affondano le radici della cultura occidentale) abbiamo però trovato clamorose smentite: solo quando la scrittura non era patrimonio condiviso….la loro funzione di serbatoio di esperienze li rendeva fondamentali e quindi rispettati. Ma già alcuni secoli prima di Cristo, questa idilliaca considerazione era svanita…Salvo alcune rarissime eccezioni- come l’istituzione della Festa della Vecchiaia durante la rivoluzione francese, o la collocazione di alcuni anziani rispettati però per il potere economico o politico e non per l’età- la storia della vecchiaia è connotata da negatività…”.

 

 

Il mondo giudaico

Ad esempio, nella storia del popolo ebraico, così come la tramanda la Bibbia che sappiamo essere un insieme di scritti anche temporalmente distanti fra loro, già si trovano queste due componenti. Da una parte nell’esodo vi è Mose che prende le decisioni, assistito da un consiglio di 70 anziani su cui Dio ha assicurato far scendere il suo spirito, ma in Qoelet, l’intellettuale che scrive l’Ecclesiaste attorno al III secolo a.C. parla della vecchiaia in modo assai disincantato (a parte i molti altri scritti analizzati anche in funzione delle diverse vicende del popolo ebraico).

 

L’avvento del cristianesimo si intreccia con la mutata condizione storica dello stato ebraico. Secondo l’analisi dell’autrice la predicazione di Gesù si intreccia con questo periodo storico, appunto di crisi politica “… a ciò si aggiunge la grande rivoluzione portata dalla predicazione di Gesù che, pur inserendosi all’interno della vita del suo popolo, porta un messaggio che sradica dalle fondamenta le regioni stesse della religione, della politica e dei rapporti sociali. In questo egualitarismo non vi è quindi una particolare attenzione ai vecchi … per Gesù non conta più essere giovano o vecchio, uomo o donna, giudeo o greco ma conta l’intenzione del cuore e quindi il valore della coscienza”.

 

Il mondo greco e romano

Il mondo greco e quello romano si incontrano e sviluppano una grande osmosi culturale. Ma nel corso dei secoli, anche qui la vecchiaia non trova affatto una definizione unitaria e una considerazione sociale sempre elevata, anzi. Molto, ci dice l’autrice si è costretti a desumere da testi che sono poetici, letterari, e la discussione su quanto riflettano la vita reale è ancora aperta, a cominciare dai poemi arcaici dell’Iliade e dall’Odissea, ma anche nelle tragedie ben note, dove più spesso la vecchiaia è rappresentata come sede di saggezza, ci si riferisce sempre ai ceti elevati. Forse con la commedia, ci dice, ci avviciniamo di più al reale e lì le figure stereotipe di vecchi negativi abbondano (lubrico, ubriacone, avaro, che nasconde la sua età e si imbelletta, etc).

 

Questi aspetti, anche peggiorati, saranno ripresi nelle commedie romane, con rappresentazioni ridicole e grottesche della vecchiaia, forse in questo anche riflettendo una ribellione al patriarcato assoluto dei “pater familias”. Tutto questo ha però anche in quel mondo eccezioni ed esempi controcorrente che rendono meno lineari le conclusioni su questi periodi storici rispetto alla condizione dei vecchi. Viene citata ad esempio Sparta, retta da un consiglio di trenta ultrasessantenni, forse senza escludere le donne che in effetti in quella città potevano avere ruoli di potere. Anche nella cultura romana dove prevalente è la descrizione negativa della vecchiaia, si apprezzano gli sforzi di autorevoli e famosi personaggi pubblici come Cicerone con il “De Senectute” (dedicato per altro ad un sessantacinquenne ricco e in buona salute e forse considerando il periodo storico, per difendere il ruolo dei senatores). Riguardo a questo l’autrice analizza anche vari altri aspetti di queste immense civiltà, dagli scritti dei filosofi alle rappresentazioni statuarie.

 

L’alto medioevo

La caduta dell’impero romano e i tragici avvenimenti del quinto secolo farebbero pensare ad una ampia cesura storico culturale anche per quanto riguarda i vecchi. Nel terzo capitolo, in realtà, l’autrice ci dice che non è stato così perché il ruolo degli anziani, ad esempio nella famiglia, perpetua a lungo il modello romano. Viene citato invece come avvenimento più rivoluzionario l’editto di Teodosio che impone il cristianesimo come religione di stato e ne facilita una diffusione per altro già assai larga.

 

Gli scritti protocristiani dell’alto medioevo sembrano ripetere le peggiori descrizioni di Plauto e Giovenale, ma qui usate per affermare la caducità delle cose del mondo come la bellezza e la forza della gioventù. Si prospetta in quest’epoca un destino tripartito : i vecchi poveri che entrano nella categoria dei mendicanti, quelli che hanno un sostegno famigliare e le élite sociali, dove si diffonde una specie di rivoluzione culturale dei vecchi stessi, che in gran numero, volontariamente si ritirano nei conventi per trascorrere l’ultima parte della vita in grazia di Dio ma in ciò riconoscendosi come vecchi ( tutti grandi monasteri avranno una parte dedicata a questi vecchi: secondo l’autrice primo esempio storico di segregazione come metodo di sostegno alla vecchiaia, seppure si tratti di autosegregazione).

 

Dall’autunno del medioevo al seicento

Nel tardo medioevo cominciano a delinearsi differenze fra nord e sud d’Europa, per lo più collegate alle diverse strutture famigliari. Anche il suo “autunno” quattrocentesco, pur per noi così ricco dal punto di vista artistico e culturale ma che fu anche epoca di guerre feroci e di pestilenze terribili, non migliora la rappresentazione sociale dei vecchi. Ma quanto bisogna ancora attendere perché qualcosa cambi davvero nell’atteggiamento sociale verso gli anziani? A questa domanda risponde l’ampio e cruciale capitolo quarto, che analizza il passaggio dal 500 all’800, il cui filo conduttore è ben riassunto nel titolo: “La lenta evoluzione verso la responsabilità collettiva”.

 

La partenza di questo ampio tratto storico non è positiva per i vecchi: infatti la rivalutazione della cultura classica degli umanisti comprende anche il culto della bellezza e lo spregio per la vecchiaia, cui le voci dei filosofi cinquecenteschi e seicenteschi non pongono granché rimedio. D’altra parte, anche in questi periodi non mancano gli aspetti che convivono e contraddicono questo diffuso sentire: “…il Rinascimento contraddicendo nei fatti l’opinione diffusa sulla vecchiaia, affida agli anziani grandi responsabilità: sovrani, ministri, uomini di guerra, diplomatici, mercanti, uomini di Chiesa sono assai spesso avanti negli anni”. L’assolutismo della società patriarcale inizia ad indebolirsi nel seicento, ponendo anche in questo le premesse degli importanti rivolgimenti politico sociali del secolo successivo. Riguardo a questo, Costanzi riporta con interessante abbondanza di dati la divaricazione fra i due sessi, con diversità numerose e importanti nell’affrontare la vecchiaia così come nella considerazione sociale.

 

Il settecento, epoca delle rivoluzioni

Ma il settecento, giustamente definito epoca delle rivoluzioni, quanto ha mutato della visione e del ruolo sociale dei vecchi? Intanto cominciano a contare i numeri per il generale incremento demografico e per un certo seppur ancora limitato aumento della aspettativa di vita. Ma il settecento è anche il secolo in cui nasce la famiglia moderna ci dice l’autrice, riportando giudizi storici condivisi, con l’affermarsi progressivo della famiglia “affettiva”. Intanto però la presenza dei vecchi nelle famiglie si differenzia molto fra campagna e città dove spesso il destino dei vecchi e soprattutto di vecchie povere era assai peggiore: chi moriva di fame, chi mendicava, chi rubava, chi andava in ospedale, perché in molte realtà urbane crescono gli ospedali/ospizi con connotazioni essenzialmente sociali e spesso religiose. Avranno lunga vita e importanti trasformazioni sino ad arrivare a noi i luoghi di segregazione ma anche di aiuto collettivo verso i più bisognosi, e l’ottocento ne attuerà poi diverse declinazioni.

 

Anche nelle rappresentazioni artistiche della vecchiaia qualcosa sembra cambiare a favore di sguardi più comprensivi e coinvolti verso gli uomini e le donne in vecchiaia. Questa evoluzione sembra tradursi in un nuovo sentimento collettivo in cui le autorità pubbliche, soprattutto nel Nord Europa, iniziano a farsi carico dei vecchi poveri, sostituendo i monasteri con grandi “ospedali” e poi istituti di ricovero spesso di grandi dimensioni. In questo, il libro sottolinea le differenze fra paesi cattolici e protestanti fra nord e sud d’Europa. Interessante a questo proposito la parte di analisi sulla rivoluzione francese e poi sull’Inghilterra del settecento, due punti chiave per capire nei secoli successivi la crescita della responsabilità pubblica verso i poveri vecchi. L’analisi è molto ricca perché, a questo punto, i documenti d’epoca su questi temi sono numerosi e di lettura molto interessante: ad esempio il confronto fra Francia e Inghilterra aiuta capire molte delle radici storiche che non abbiamo del tutto lasciato nella nostra attuale organizzazione sociale. Infatti viene riportata in dettaglio la nascita e la crescita di diverse soluzioni istituzionali di ricovero in Inghilterra (Worhouse, Almhouse ad esempio) che possono essere un utile confronto anche per l’attuale discussione sulle RSA.

 

Dall’ottocento ai giorni nostri: l’assunzione contradditoria della responsabilità collettiva verso i vecchi incapaci

In effetti l’ottocento eredita e sviluppa questa tendenza al coinvolgimento della responsabilità pubblica, ma certo con interventi che non garantivano chi non era in grado di lavorare: “.. la sopravvivenza degli anziani dell’Ottocento dipendeva sì dalla disponibilità di erogazioni provenienti dal settore pubblico, da quello privato e dalla famiglia, ma soprattutto in perfetta analogia con quanto accadeva nei secoli precedenti, dalla condizione di salute e quindi dalla possibilità di lavorare”. Questo nonostante l’andamento demografico che portava ad aumentare il numero dei vecchi nella popolazione, forse anche per il ritardo delle discipline mediche nel comprendere il fenomeno. Infatti, benché in Francia nell’ottocento molti luminari iniziarono ad occuparsi dell’invecchiamento, riporta il dato che il 41% degli anziani moriva senza una diagnosi di morte.

 

Quindi è con questo retaggio che la vecchiaia si affaccia al novecento e fino ai giorni nostri. Infatti il titolo del quinto capitolo riporta: “I giorni nostri: la persistenza dell’ageismo”. Questa capitolo opportunamente si apre con la rivoluzione demografica del XX secolo cioè l’invecchiamento della popolazione per l’aumento della longevità e la diminuzione della natalità, nonostante il temporaneo “baby boom” del secondo dopoguerra. Sono riportati molti dati che sottolineano anche le diversità geografiche ( e storiche) di questo andamento, con anche i dati finali della riduzione delle differenza fra uomini e donne.

 

L’invecchiamento delle popolazioni è stato variamente commentato come segno di declino, con strisciante colpevolizzazione verso i vecchi. A mitigare questa visione negativa, il paragrafo si occupa del pensionamento che, nel finire dell’ottocento, già aveva avuto ad esempio in Germania una importante legislazione (tra il 1883 e il 1889 l’Impero tedesco introdusse l’assicurazione obbligatoria contro le malattie e gli infortuni nonché l’assicurazione invalidità e vecchiaia per i lavoratori e altri salariati) e che nel novecento riguarderà molto presto tutte le nazioni europee. Nonostante questo e i molti dati riportati, vengono riferite anche critiche verso il sistema pensionistico, per lo più legate alla spesa crescente, ma non solo, con uno sguardo anche agli effetti sociali negativi. Infatti il titolo del paragrafo riporta: Il pensionamento: conquista o drastica esclusione dalla vita sociale?

 

A questa domanda leggendo il testo verrebbe da rispondere: “conquista e possibile esclusione dalla vita sociale” ma a queste complesse questioni il libro dedica dieci fitte e interessanti pagine. Logicamente correlato con questi temi dell’età contemporanea si riporta l’analisi successiva sul rapporto fra Welfare e anziani, che vede al centro dell’analisi il tentativo di passare dalla soluzione istituzionale unica per anziani fragili e non autosufficienti a una varietà di servizi sia residenziali che domiciliari. Emblematica a questo proposito l’esperienza della Danimarca che viene analizzata in specifico, in quanto possibile esempio virtuoso di applicazione di questi nuovi concetti. Tuttavia la conclusione di Costanzi su questo è abbastanza amara per l’Italia: “Una dettagliata disamina delle politiche rivolte alla popolazione anziana in Italia ci porterebbe troppo lontano dall’obbiettivo di queste pagine; tuttavia una considerazione conclusiva è d’obbligo e si può sintetizzare in pochi concetti: da molti, troppi decenni il tratto prevalente che connota gli interventi pubblici destinati a questa quota di popolazione coincide con un sostanziale immobilismo. A ciò si va a sommare una scarsa lungimiranza… e si continuano a sottovalutare i notevoli cambiamenti qualitativi e quantitativi in corso nel variegato universo degli anziani”.

 

Lo svolgimento del volume nelle parti successive analizza il passaggio dal novecento al duemila, dal xx al xxi secolo, da vari punti d vista, ciascuno analizzato in una prospettiva storica e sociologico-culturale. Questi i contenuti: La medicina, non esente da “ageismo”, l’evoluzione del pensiero gerontologico, la letteratura femminista e gli “age studies”, la vexata quaestio del ruolo della famiglia, per terminare con un documentato e originale paragrafo, di 17 pagine, sulla rappresentazione contemporanea della vecchiaia nell’arte e nei media.

 

Le considerazioni conclusive

La “considerazioni conclusive” che ripercorrono il percorso del libro arricchiscono di ulteriori punti vista e approcci critici il tema trattato, soprattutto nel paragrafo, quasi un sottotitolo, “La terza età fra grande opportunità e persistente ageism”. In conclusione a questa “lettura” del libro di Carla Costanzi non si può non sottolineare anche la presenza di altre due parti importantissime come la postfazione, che chiarisce intendimenti e punto di vista da cui è nato il libro, e l’introduzione di Nicola Palmarini, di lettura avvincente. Terzo elemento da sottolineare è la iconografia: ampia, sempre appropriata e che aiuta a comprendere molti aspetti culturalmente complessi come la rappresentazione della vecchiaia, descritti nel volume, con merito anche dell’editore Maggioli che ha realizzato un volume accurato e ben stampato.

 

Il Libro termina con uno sguardo positivo al futuro: “ Siamo all’inizio di un processo potenzialmente rivoluzionario, di cui pertanto il libro potrebbe essere considerato la prefazione, una sorta di decalogo al negativo di criticità da smantellare per formulare una nuova e più adeguata immagine di vecchiaia e conseguenti coerenti azioni”.

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