23 Giugno 2023 | Recensioni

Vita da vecchi. L’umanità negata delle persone non autosufficienti

Recensione:
“Vita da vecchi. L’umanità negata delle persone non autosufficienti, di Antonio Censi, Edizioni Gruppo Abele, 2021.


In una società che privilegia l’attività, la giovinezza, la gradevolezza dell’aspetto esteriore, le persone anziane e non autosufficienti sono, spesso, individui ai margini. Di fronte al vertiginoso aumento delle persone anziane non autosufficienti la nostra società non si è ancora occupata di indagarne “il profilo sociale e di intercettarne quelle forme di sofferenza che non derivano tanto dal declino biologico quanto dalla perdita del governo di sé e della propria vita, oltre che dal coinvolgimento in relazioni interpersonali…”. L’autore, nel testo, evidenzia che oggi, l’unico ruolo socialmente riconosciuto a queste persone dai corpi fragili e non più (ri)produttivi sia quello di consumatori di prestazioni sanitarie o di «clienti delle aziende di servizi», senza una seria analisi rispetto alle loro reali attese.

 

Come evidenzia Gianni Tognoni nella prefazione, Vita da Vecchi è un libro scritto dall’interno: Antonio Censi ha infatti all’attivo una vita di lavoro nel settore socio-assistenziale per anziani. E inizia con una notizia che, nella sua paradossalità, è sconcertante: ad oggi nessuna istituzione italiana è in grado di sapere con esattezza il numero delle persone anziane non autosufficienti.

 

Tre sono gli ambiti di riflessione proposti in questo libro:

  • il primo ambito mette in luce gli effetti che il paradigma bioeconomicistico della non autosufficienza esercita sulla percezione dei bisogni espressi dagli anziani non autosufficiente;
  • il secondo ambito indaga le principali limitazioni che la non autosufficienza pone ai singoli anziani nell’ambito della vita quotidiana;
  • il terzo configura un paradigma della non autosufficienza alternativo a quello bioeconomicistico.

 

 

La superficialità dello sguardo pubblico verso gli anziani non autosufficienti

Antonio Censi mette in luce la linea adottata, sul piano internazionale, per la pianificazione dei servizi per gli anziani non autosufficienti (long-term care), centrata sul paradigma del care multidimensionale che si fonda su uno sguardo complessivo dei molteplici fattori di fragilità che caratterizzano la condizione dell’anziano.

 

Il testo propone esiti di ricerche a carattere nazionale e internazionale che danno evidenza di quanto in Italia il sistema di assistenza per gli anziani sia molto ridotto rispetto agli altri paesi occidentali e fortemente schiacciato su prestazioni ad alto contenuto sanitario, trascurando qualità alberghiera e abitativa. Inoltre evidenzia come il processo di privatizzazione dell’assistenza, in atto da anni, accompagnato dal parallelo disinvestimento delle politiche pubbliche in questo settore abbia causato evidenti conseguenze sul piano dell’aumento dei costi a carico delle famiglie e sull’abbassamento degli standard di qualità.

 

La logica organizzativa della RSA fondata su un modello bioeconomicistico e aziendalistico ospedaliero

L’assistenza degli ospiti in RSA – che la pandemia ha messo prepotentemente al centro del discorso pubblico – si fonda su organizzazioni fortemente burocratizzate, che pongono le persone in rigide categorie nosografiche (per età, per malattia, per necessità) orientate a rispondere ai bisogni della non autosufficienza con risposte prevalentemente sanitarie, non considerando invece in modo prioritario che “la patologia fondamentale della vecchiaia è una patologia di relazione, in cui solitudine, isolamento e sentimento di abbandono sono i fattori principali responsabili del decadimento psichico”. Figlie di una visione puramente biomedica dell’invecchiamento, le RSA – introdotte in Italia a metà degli anni ’90 – sono strutture di spiccata natura aziendalistica dove la persona anziana non autosufficiente è destinata a perdere i legami, i contatti, il governo di sé, della propria vita e delle relazioni umane.

 

In Vita da vecchi, Antonio Censi racconta le situazioni in cui i residenti vedono disattesa la loro aspettativa prioritaria, che non è solo quella di essere curati e assistiti, ma anche – anzi, soprattutto – di essere riconosciuti parte di una comunità accogliente e umanamente compresi: «La fragilità è una condizione che attraversa e accomuna tutte le generazioni. Diventare vecchi può essere concepito come una espressione all’ennesima potenza di quella fragilità che ci costituisce come esseri umani».

 

Per l’autore, queste strutture rispondono non solo alla necessità di trattare le persone anziane, ma assolvono la funzione latente di proteggere la società dalle ansie associate al declino fisico e psichico. Esempi virtuosi esistono, ma i tempi da dedicare all’instaurazione di relazioni percepite come significative e socialmente valorizzanti per l’anziano sono spesso affidati all’attività di volontariato o inseriti fra una prestazione sanitaria e l’altra, a vantaggio di “competenza tecnica e incomprensione umana”. Le strazianti vicende in cui sono state coinvolte le RSA durante la pandemia dovrebbero indurci a una riorganizzazione radicale di questi servizi, rivelatisi palesemente inadeguati a coniugare la qualità dell’assistenza con il riconoscimento identitario e la comprensione umana dell’esperienza dei residenti.

 

Costruire un nuovo modello per l’assistenza all’anziano non autosufficiente

Il libro tocca un tema di estrema attualità e mette in evidenza la necessità di ripensare i modelli di accoglienza e di cura dei più fragili nella società. La vera sfida oggi è preservare la dignità di chi ha avuto e ha una vita che va riconosciuta, e non messa da parte. L’invito dell’autore è volto a ricostruire modelli assistenziali della cura capaci di garantire, anche nei setting residenziali, un vivere quotidiano in cui l’anziano possa riconoscere sé stesso e trovare senso di continuità alla sua vita.

 

È una sfida che invita a non porre più al centro della cura l’aspetto prestazionale bensì la sua dimensione relazionale e di riconoscimento dei bisogni dell’altro, sul piano della decisionalità, degli spazi personali, della continuità delle relazioni, del riconoscere valore alla dignità e all’identità sociale degli anziani non autosufficienti. Per pensarsi e riconoscersi umani, a prescindere dall’età.

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