Dal libro di Robert L. Kane & Joan C. West, Vanderbilt University Press, Nashville, 2005
Robert Kane, uno dei fondatori della geriatria a livello mondiale, ha descritto in un volume la frustrazione personale incontrata negli anni di assistenza alla propria madre affetta da demenza. Kane, essendo un esperto di sanità pubblica, insiste molto nel suo “It Shouldn’t Be This Way.The Failure of Long Term Care” sulle ricadute organizzative che possono derivare dalla sua esperienza, conscio del proprio peso politico e del proprio prestigio culturale. Anzi, formalizza questo concetto quando sostiene che spesso i familiari sono ritenuti non affidabili nelle loro proteste perché troppo emotivamente coinvolti, mentre un familiare che è anche un professionista della materia riesce ad ottenere un ascolto più incisivo (proprio in quest’ottica ha fondato negli USA un’associazione nazionale di professionisti direttamente coinvolti nell’assistenza ad un parente anziano ammalato).
Kane fa una serie di proposte forti, mettendo in luce che oggi il sistema di cure prolungate negli Stati Uniti (ma che dire dell’Italia?) è assolutamente inadeguato a sostenere un numero crescente di persone che devono transitare tra servizi che non parlano tra loro, medici che non si impegnano nel coinvolgere il paziente e la sua famiglia nelle decisioni per il futuro, anche perché non ritengono di interesse indicare una prognosi, quando invece è spesso questa che permette di prendere decisioni motivate e adatte alla singola persona. Nella migliore delle ipotesi molti oggi ritengono il sistema delle cure prolungate un contenitore indistinto, dove si trova (talvolta!) un’assistenza caritatevole, ma dove quasi mai vige la logica di un rapporto paritario tra chi ha bisogno e chi offre il servizio.
Il coinvolgimento diretto di un medico nelle difficoltà ripetute che si incontrano in questo itinerario e nel senso di frustrazione che il cittadino vive può trasformarsi in un contributo a cambiare le cose sia perché lo stesso medico diviene portavoce accreditato di una condizione insostenibile, sia perché egli si può venir a trovare nella condizione di decisore sul piano clinico o di programmatore. Questa condizione ha riflessi anche di carattere generale, perché non è pensabile che il sistema delle cure prolungate possa continuare in una condizione di marginalità e di confusione (purtroppo ciò è vero anche in Italia,soprattutto nelle aree dove il comparto è poco sviluppato e alla ricerca di una prospettiva di sviluppo armonico). Il coinvolgimento nel dibattito culturale e nelle decisioni concrete, nonché nell’attuazione dei servizi, di medici che hanno vissuto personalmente la crisi di dover gestire un proprio caro alla ricerca di un servizio adeguato e continuativo può rappresentare un contributo di grande valore pratico, oltre che una forte testimonianza civile.
Oggi nei sistemi di cura prolungata vi è una crisi indotta da incertezze nei vari ambiti che concorrono a costruire un sistema di protezione della persona anziana non autosufficiente. Vi sono problemi culturali, clinici, organizzativi ed economici; tutti però restano senza risposta se non si cerca di dare un significato al senso della vita delle persone in età avanzata che devono ricorre ai servizi. Sostenere che non è compito dei servizi organizzati farsi carico di questo è un grave errore, perché mette in luce un atteggiamento pessimista che entra in crisi di fronte ai numerosi e pesanti problemi che via via si pongono. Organizzare quindi sistemi di supporto che coinvolgono il paziente e la sua famiglia, offrendogli la possibilità di decidere il suo futuro rispettandone la dignità e la libertà è – come sostiene Kane alla luce della sua personale esperienza – l’unico modo per non essere travolti dalle difficoltà. “Il sistema di long term care deve essere più umano e più competente.
Non si deve avere il problema di scegliere tra qualità delle cure e qualità della vita. La cura della persona e le cure mediche non devono essere in contrasto tra loro. La fragilità che talvolta si accompagna al diventare vecchi è così traumatica di per se da non aver bisogno di essere peggiorata dal sistema di assistenza”.